La ragazza la strinse forte, a lungo, si staccò da lei, si girò senza una parola, e seguì Yenay fuori dalla porta.
Tenar rimase immobile, sentendo il freddo dell’aria notturna dove un istante prima aveva sentito il calore del corpo della figlia.
Quindi andò alla finestra. Luci, giù al molo, un andirivieni di uomini, il rumore degli zoccoli dei cavalli che venivano condotti lungo le strade ripide che scendevano al porto. Ormeggiata al molo, una nave maestosa, una nave che lei conosceva, la Delfino. Osservò dalla finestra e vide la figlia sul pontile. La vide salire a bordo, infine, guidando un cavallo che aveva recalcitrato, e vide Lebannen che la seguiva. Vide le cime d’ormeggio che venivano mollate, il docile movimento della nave al traino dell’imbarcazione a remi che la rimorchiava fuori dal porto, l’improvviso sbocciare delle vele bianche nell’oscurità. La luce della lanterna di poppa tremolò sull’acqua cupa, rimpicciolì lentamente fino a diventare una minuscola stilla luminosa, e sparì.
Tenar girò nella stanza, piegando gli indumenti che Tehanu aveva indossato, la sottoveste di seta e il sopragonna, raccolse i sandali leggeri e li accostò un attimo alla guancia, prima di metterli via.
Rimase sveglia nel grande letto e con l’occhio della mente rivide in continuazione la stessa scena: una strada, e Tehanu che la percorreva da sola. E un nodo, una rete, un ammasso nero aggrovigliato che scendeva dal cielo, uno sciame di draghi, lingue di fuoco che guizzavano verso di lei, i suoi capelli che bruciavano, gli abiti che bruciavano… No, si disse Tenar. No! Non sarebbe accaduto! Costringeva la propria mente a liberarsi da quelle immagini, poi però le vedeva ancora… la strada, e Tehanu che la percorreva in solitudine, e il nero stormo fiammeggiante in cielo, che si avvicinava.
Quando le prime luci dell’alba cominciarono a tingere la stanza di grigio, finalmente si addormentò, esausta. Sognò di trovarsi nella casa del vecchio mago sull’Overfell, la sua casa, ed era indicibilmente contenta di essere là. Prese la scopa da dietro la porta per spazzare il pavimento di quercia perché Ged aveva lasciato che si coprisse di polvere. Ma in fondo alla stanza c’era una porta che prima non c’era. Quando l’aprì, trovò una stanzetta bassa, con i muri di pietra dipinti di bianco. Ged era accovacciato, rannicchiato con le braccia sulle ginocchia e le mani penzoloni. La sua testa non era la testa di un uomo, ma la piccola testa nera beccuta di un avvoltoio. Con voce fievole e rauca, il marito disse: — Tenar, non ho ali. — E quando lo disse, lei fu invasa da una tale rabbia, da un tale terrore, che si svegliò, ansimando, vedendo il sole che illuminava una parete della stanza, e udendo gli squilli argentini delle trombe che suonavano la quarta ora del mattino.
Portarono la colazione. Mangiò un po’ e conversò con Bacca, l’anziana serva che lei aveva scelto tra il seguito di domestiche e dame di compagnia che Lebannen le aveva messo a disposizione. Bacca era una donna intelligente, capace, nata in un villaggio all’interno dell’isola, e Tenar andava più d’accordo con lei che con la maggior parte delle signore di corte. Quelle erano garbate e rispettose, ma non sapevano come comportarsi con lei, non sapevano come rivolgersi a una donna che era per metà una sacerdotessa karg, per metà una contadina di Gont. Si rendeva conto che per loro era più facile essere gentili con Tehanu, nonostante la scontrosa timidezza della ragazza. Per la giovane potevano provare compassione. Per lei, no.
Bacca, invece, era compassionevole, e le fu di grande conforto quella mattina. — Il re la riporterà a casa sana e salva — dichiarò. — Pensi che le farebbe affrontare un pericolo se non fosse anche in grado di proteggerla? Mai farebbe una cosa simile! Non lui! — Era una consolazione illusoria, però la serva era tanto convinta di ciò che affermava che Tenar dovette convenire, al che si sentì leggermente sollevata.
Aveva bisogno di fare qualcosa, perché l’assenza della figlia era ovunque. Decise di andare a parlare alla principessa karg, per vedere se la ragazza fosse disposta a imparare qualche parola di hardico, o almeno a dirle il suo nome.
Nelle terre dei Karg le persone non avevano un vero nome da tenere segreto, a differenza delle persone di lingua hardica. Come i nomi d’uso hardici, i nomi kargici spesso avevano un significato: Rosa, Alder, Onore, Speranza; oppure erano tradizionali, spesso il nome di un antenato. La gente li pronunciava apertamente ed era fiera dell’antichità di un nome tramandato di generazione in generazione. Lei era stata strappata ai genitori quando era ancora troppo giovane per sapere perché l’avessero chiamata Tenar, ma pensava che potessero averla chiamata così in omaggio a una nonna o una bisnonna: Quel nome le era stato tolto quando era stata riconosciuta come Arha, l’innominabile rinata, e lei lo aveva dimenticato finché Ged non glielo aveva restituito. Per lei, come per lui, era il suo vero nome; ma non era una parola della Vecchia lingua; non conferiva a nessuno alcun potere su di lei, e lei non lo aveva mai nascosto.
Era perplessa, adesso, nel constatare che la principessa lo nascondeva. Le sue schiave la chiamavano solo principessa, o signora, o padrona; gli ambasciatori parlavano di lei come della somma principessa, o figlia di Thol, o signora di Hur-at-Hur, e via dicendo. Se la poveretta aveva soltanto dei titoli, era ora che avesse anche un nome.
Tenar sapeva che non era decoroso che un’ospite del re andasse in giro da sola nelle strade di Havnor, e sapeva che Bacca aveva delle incombenze a palazzo, così chiese un accompagnatore. Le assegnarono un affascinante valletto — o meglio un paggetto, perché aveva appena una quindicina d’anni — che l’aiutò ad attraversare le vie quasi fosse una vecchia malferma. Le piaceva passeggiare in città. Andando alla Casa del fiume, aveva già scoperto e ammesso nel proprio intimo che era più facile senza la figlia accanto. La gente guardava la ragazza e si girava subito dall’altra parte, e Tehanu camminava austera e orgogliosa, soffrendo, detestando quelle occhiate furtive. La madre soffriva con lei, forse più della figlia stessa.
Ora poteva attardarsi e osservare le botteghe, le bancarelle del mercato, le varie facce e vesti provenienti da tutto l’Arcipelago, abbandonare la via diretta e lasciare che il valletto le mostrasse una strada dove i ponti dipinti che univano un tetto all’altro formavano una specie di arioso soffitto a volta. Da qui pendevano rampicanti dai fiori rossi, e tra quei festoni vivaci la gente metteva gabbie di uccelli attaccate a pali dorati, e il tutto sembrava un giardino aereo. "Oh, vorrei che Tehanu potesse vedere questo spettacolo" pensò Tenar. Ma era meglio non pensare alla figlia, a dove avrebbe potuto trovarsi in quel momento.
La Casa del fiume, come il Nuovo palazzo, risaliva al regno della regina Heru, cinque secoli addietro. Era in rovina quando Lebannen era salito sul trono; il sovrano l’aveva restaurata con estrema cura, e adesso era un posto incantevole, tranquillo, arredato in modo sobrio, con pavimenti scuri lucidi senza tappeti. File di strette portefinestre scorrevano da parte per aprire l’intero lato di una sala e offrire una veduta dei salici e del fiume, e si poteva uscire sui grandi balconi di legno costruiti sopra l’acqua. Le dame di corte avevano detto a Tenar che era il luogo che il re preferiva per trascorrere una notte in solitudine, o in compagnia di un’amante, il che — lasciavano intendere — rendeva ancor più significativo il fatto che Lebannen avesse sistemato la principessa lì. Lei sospettava invece che il sovrano non volesse la principessa sotto il suo stesso tetto, e avesse semplicemente scelto l’unico altro posto adatto a ospitarla, ma forse le dame di corte avevano ragione.
Le sentinelle in alta uniforme la riconobbero e la lasciarono passare, i domestici l’annunciarono e si ritirarono con il suo valletto a sgusciar noci e spettegolare, che sembrava costituire la loro principale occupazione, e le dame di compagnia vennero a salutarla, ansiose di vedere una faccia nuova e di avere qualche notizia della spedizione del re contro i draghi. Terminata la trafila, Tenar poté finalmente accedere alle stanze della principessa.