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Nelle due visite precedenti, l’avevano pregata di attendere in un’anticamera, quindi le schiave velate l’avevano condotta in una stanza interna, l’unica sala buia di tutta la casa ariosa. La principessa l’aspettava in copricapo tondo e veli rossi che scendevano fino al pavimento, immobile, quasi facesse parte degli arredi, lì impalata come un camino di mattoni, come aveva detto lady Iyesa.

Questa volta le cose andarono diversamente. Non appena entrò nell’anticamera, udì degli strilli provenienti dalle stanze interne, e lo scalpiccio di persone che correvano in varie direzioni. La principessa irruppe nell’anticamera e con un grido selvaggio cinse Tenar con le braccia. La donna era piccola, e la principessa — una giovane alta, vigorosa, colma di agitazione — urtandola le fece perdere l’equilibrio, ma la sorresse con braccia forti. — Oh, lady Arha, lady Arha, salvami, salvami! — stava gemendo.

— Principessa! Che succede?

La ragazza piangeva di paura o di sollievo o entrambe le cose, e tutto ciò che riuscì a capire dai suoi lamenti e dalle sue suppliche fu un vaniloquio a proposito di draghi e sacrifici.

— Non ci sono draghi a Havnor — disse severa, liberandosi dalla sua stretta. — E non sarà sacrificato nessuno. Che storia è questa? Cosa ti hanno raccontato?

— Le donne hanno detto che stavano arrivando i draghi, e che avrebbero sacrificato la figlia di un re e non una capra perché sono stregoni, e io ho avuto paura. — La principessa si asciugò il viso, serrò i pugni, e cercò di dominare il panico che l’aveva assalita. Si era trattato di terrore puro, incontrollabile, e Tenar provò compassione per lei. Non lasciò però trasparire il suo compatimento. Quella ragazza doveva imparare a fare appello alla propria dignità.

— Le tue donne sono ignoranti e non conoscono l’hardico a sufficienza per capire quello che la gente dice. E tu non lo conosci affatto. Se lo parlassi, sapresti che non c’è nulla da temere. Il personale della casa sta forse correndo qui e là, piangendo e strillando?

La ragazza la fissò. Non portava cappello, né veli, solo una specie di sottoveste leggera, perché era una giornata calda. Era la prima volta che la vedeva davvero, e non come una sagoma vaga attraverso i tessuti rossi. Sebbene avesse gli occhi gonfi di pianto e il volto chiazzato, la principessa era splendida: capelli fulvi, occhi color bronzo, braccia ben tornite, seno prosperoso, vita snella… una donna che stava sbocciando nel rigoglio della propria bellezza e del proprio vigore.

— Ma nessuna di quelle persone sarà sacrificata — replicò infine la giovane.

— Non sarà sacrificato nessuno.

— Allora perché stanno arrivando i draghi?

Tenar trasse un respiro profondo. — Principessa — disse — ci sono parecchie cose di cui dobbiamo parlare. Se vorrai considerarmi un’amica…

— Certo — fece lei. Avanzò e strinse forte il braccio destro della donna. — Tu sei mia amica, non ho altri amici, verserò il mio sangue per te.

Per quanto fosse ridicolo, capì che era vero.

Ricambiò la stretta della ragazza, pur se con minor forza, e disse: — Tu sei mia amica. Dimmi il tuo nome.

La principessa spalancò gli occhi. Sul labbro superiore c’era ancora una gocciolina di muco e un lieve gonfiore. Quello inferiore fu percorso da un tremito. Sospirando, la ragazza disse: — Seserakh.

— Seserakh, il mio nome non è Arha, ma Tenar.

— Tenar. — La giovane annuì, e le strinse nuovamente il braccio.

— Ora — disse la donna, cercando di riprendere il controllo della situazione — ho camminato a lungo e ho sete. Per favore, sediamoci, e gradirei bere un po’ d’acqua. Poi potremo parlare.

— Sì — annuì la principessa, e si precipitò fuori dalla stanza come una leonessa che si lanciasse all’inseguimento della preda. Si udirono ancora strilli e grida nelle sale interne, e altri rumori di piedi che correvano. Apparve una schiava, che si sistemò il velo con mano tremante e farfugliò qualcosa in un dialetto così marcato che Tenar non la capì. — Parla nella lingua maledetta! — urlò la principessa dall’interno dell’appartamento. E la schiava pigolò penosamente in hardico: — Sedere? Bere? Signora?

Erano state collocate due sedie al centro della stanza buia dall’aria viziata, una di fronte all’altra. Seserakh era in piedi accanto a una sedia.

— Mi piacerebbe sedermi fuori, all’ombra, sopra l’acqua — disse Tenar. — Se per te va bene, principessa.

La ragazza gridò, le schiave scattarono, le sedie furono portate sul grande balcone. Le due donne si sedettero affiancate.

— Così va meglio — disse. Le faceva ancora una strana impressione, parlare in kargico. Non aveva alcuna difficoltà con la lingua, ma aveva la sensazione di non essere se stessa, che fosse qualcun altro a parlare, a recitare una parte gradevole.

— Ti piace l’acqua? — chiese la principessa. Il suo viso aveva riacquistato il colorito normale, crema scuro, e gli occhi, non più gonfi, erano oro azzurrognolo, o blu con macchioline dorate.

— Sì. A te non piace?

— La detesto. Non c’era acqua dove vivevo.

— Un deserto? Anch’io ho vissuto in un deserto. Fino a sedici anni. Poi ho attraversato il mare e sono venuta nell’Ovest. Amo l’acqua, il mare, i fiumi.

— Oh, il mare… — Seserakh, contorcendosi, si prese il capo tra le mani. — Oh, lo detesto, lo detesto. Ho vomitato l’anima. Continuamente. Giorni e giorni e giorni. Non voglio più vedere il mare. — Lanciò una rapida occhiata attraverso i rami dei salici, al placido torrente sotto di loro. — Il fiume non mi disturba — disse, l’aria sospettosa.

Una schiava portò un vassoio con una brocca e dei calici. Tenar si dissetò bevendo lunghi sorsi di acqua fresca.

— Principessa — disse — dobbiamo parlare di molte cose. Primo: i draghi sono ancora lontanissimi da qui, nell’Ovest. Il re e mia figlia sono andati a parlare con loro.

— A parlare con loro?

— Sì. — Stava per proseguire, poi però chiese: — Ora, per favore, parlami dei draghi di Hur-at-Hur.

Quando Tenar era bambina, ad Atuan, le avevano raccontato che c’erano draghi a Hur-at-Hur. Draghi nelle montagne, briganti nel deserto. Hur-at-Hur era un luogo povero e sperduto, che non produceva nulla di buono, tranne opali, turchesi e tronchi di cedro.

Seserakh fece un sospiro profondo. Gli occhi le si bagnarono di lacrime. — Piango, se penso a casa — disse, con tale innocente candore che anche a Tenar s’inumidirono gli occhi, — Bene, i draghi vivono sulle montagne. A due o tre giorni di viaggio da Mesreth. Ci sono solo rocce, lassù, e nessuno li molesta, e loro non molestano nessuno. Ma una volta all’anno scendono dalle montagne, strisciando lungo una certa via. È un sentiero, tutto di polvere fine, fatto dalle loro pance che lo percorrono trascinandosi ogni anno dall’inizio del tempo. È chiamato la Via dei draghi. — Vide che Tenar ascoltava con estrema attenzione, e continuò. — È proibito attraversare la Via dei draghi. Non bisogna assolutamente mettervi piede. Bisogna aggirarlo, a sud del Luogo del sacrificio. I draghi cominciano a scendere a primavera inoltrata. Il quarto giorno del quinto mese, sono arrivati tutti al Luogo del sacrificio. Nessuno di loro è mai in ritardo. E tutti gli abitanti di Mesreth e dei villaggi sono là ad aspettarli. Poi, quando tutti i draghi sono scesi lungo la Via dei draghi, i sacerdoti iniziano il sacrifico. Ed è per questo… Non celebrate il sacrificio di primavera ad Atuan? Tenar scosse il capo.

— Ebbene, è per questo che ho avuto paura, capisci, perché può essere un sacrificio umano. Se le cose non andavano bene, sacrificavano la figlia di un re. Altrimenti, solo una ragazza comune. Ma non lo fanno da molto tempo, neppure quello. Non lo fanno da quando ero bambina. Da quando mio padre ha sconfitto tutti gli altri re. Da allora, sacrificano soltanto una capra o una pecora. E raccolgono il sangue nelle ciotole, e gettano il grasso nel fuoco sacro, e chiamano i draghi. E i draghi si avvicinano strisciando, e bevono il sangue e mangiano il fuoco. — Chiuse gli occhi un istante; anche Tenar li chiuse. — Poi tornano sulle montagne, e noi torniamo a Mesreth.