— Quanto sono grandi i draghi?
Seserakh allargò le mani di circa una iarda. — A volte, più grandi — rispose.
— E non possono volare? Né parlare?
— Oh, no. Le loro ali sono solo moncherini. Ed emettono una specie di sibilo. Gli animali non parlano. Ma i draghi sono animali sacri. Sono il segno della vita, perché il fuoco è vita, e loro mangiano il fuoco e sputano fuoco. E sono sacri perché vengono al sacrificio di primavera. Anche se nessun uomo andasse là, i draghi si radunerebbero ugualmente. Noi andiamo là perché i draghi vanno là. I sacerdoti raccontano sempre tutte queste cose prima del sacrificio.
Tenar rifletté alcuni istanti su quanto aveva appreso. — I draghi qui nell’Ovest — disse — sono grandi. Enormi. E sono capaci di volare. Sono animali, però sanno parlare. E sono sacri. E pericolosi.
— Ebbene — fece la principessa — i draghi saranno pure animali, però sono più simili a noi dei maledetti-stregoni.
Pronunciò "maledetti-stregoni" come un’unica parola e senza un’enfasi particolare. Lei ricordò quell’espressione dalla propria infanzia. Significava il popolo oscuro, le genti hardiche dell’Arcipelago.
— Perché?
— Perché i draghi rinascono! Come tutti gli animali. Come noi. — Seserakh la guardò con sincera curiosità. — Dato che eri una sacerdotessa del Luogo più sacro delle tombe, pensavo sapessi molte più cose di me a questo proposito.
— Ma là non avevamo nessun drago — replicò Tenar. — Non sapevo nulla dei draghi. Per favore, amica mia, raccontami.
— Bene, vediamo se posso raccontare la storia… È una storia invernale. Ma immagino che comunque si possa raccontarla in estate, qui. Tanto, qui è tutto sbagliato. — La principessa sospirò. — Ebbene, all’inizio, sai, all’inizio del tempo, eravamo tutti la stessa cosa, tutte le persone e gli animali, facevamo le stesse cose. E poi abbiamo imparato a morire. E così abbiamo imparato a rinascere. Forse come un certo tipo di creatura, forse come un altro. Ma non è tanto importante perché in ogni caso si muore ancora e si rinasce ancora, e prima o dopo si è ogni cosa.
Tenar annuì. Finora, la storia le era familiare.
— Ma le cose migliori in cui trasformarsi quando si rinasce sono le persone e i draghi, perché quelli sono gli esseri sacri. Così si cerca di non infrangere le proibizioni, e si cerca di osservare i precetti, per avere maggiori possibilità di diventare di nuovo una persona, o comunque un drago… Se qui i draghi sanno parlare e sono così grandi, mi rendo conto che diventare drago si può considerare una ricompensa. Mentre essere uno dei nostri draghi non mi è mai sembrata una prospettiva allettante… Ma la storia vera e propria parla di quando i maledetti-stregoni scoprirono il Vedurnan. Era una cosa, non so cosa fosse, che disse a degli uomini che se avessero accettato di non morire mai e di non rinascere mai, avrebbero potuto imparare a compiere la stregoneria. Così loro scelsero quello, scelsero il Vedurnan. E andarono all’Ovest con esso. E il Vedurnan li fece diventare oscuri. E loro vivono qui. Tutta la gente di qui… sono quelli che scelsero il Vedurnan. Vivono, e possono compiere le loro maledette stregonerie, ma non possono morire. Solo i loro corpi muoiono. Il resto di loro rimane in un luogo oscuro e non rinasce mai. E sembrano uccelli. Però non possono volare.
— Sì — sussurrò Tenar.
— Questo non l’hai appreso ad Atuan?
— No — disse.
La sua mente stava ricordando la storia che la donna di Kemay aveva raccontato a Ogion: all’inizio del tempo, uomini e draghi erano una cosa sola, ma i draghi avevano scelto la selvatichezza e la libertà, e gli uomini avevano scelto la ricchezza e il potere. Una scelta, una separazione. Era la stessa storia?
Ma l’immagine nel suo cuore era quella di Ged accovacciato in una stanza di pietra, la testa piccola, nera, beccuta…
— Il Vedurnan non è l’anello di cui continuavano a parlare, vero? Quello che dovrò mettere, vero?
Tenar si sforzò di non pensare alla Stanza dipinta e al sogno della notte scorsa, e provò a concentrarsi sulla domanda di Seserakh.
— Anello?
— L’anello di Urthakby.
— Di Erreth-Akbe. No. Quell’anello è l’Anello della pace. E lo porterai solo se e quando sarai la sposa di re Lebannen. E sarai una donna fortunata a diventare la sua regina.
L’espressione di Seserakh era curiosa. Non era accigliata o cinica. Era rassegnata, in parte faceta, paziente, l’espressione di una donna con qualche decennio in più. — Non vedo dove sia la fortuna in questo, cara amica Tenar — commentò. — Devo sposarlo. E così sarò perduta.
— Perché sarai perduta se lo sposerai?
— Se lo sposo, dovrò dirgli il mio nome. Pronunciando il mio nome, lui mi ruberà l’anima. È questo che fanno i maledetti-stregoni. Dunque tengono sempre nascosti i loro nomi. Ma se mi ruberà l’anima, io non potrò morire. Dovrò vivere in eterno senza il mio corpo, un uccello che non può volare, e non rinascerò mai più.
— È per questo che hai tenuto nascosto il tuo nome?
— L’ho rivelato a te, amica mia.
— Un onore che apprezzo — disse Tenar, energica. — Ma puoi rivelare il tuo nome a chiunque desideri, qui. Non possono rubarti l’anima. Credimi, Seserakh. E puoi fidarti di Lebannen. Lui non… non ti farà alcun male.
La ragazza aveva colto l’esitazione. — Ma vorrebbe potermelo fare — disse. — Tenar, amica mia, so cosa sono, qui. Nella grande città di Awabath dove si trova mio padre, ero una stupida e ignorante donna del deserto. Una feyagat. Le donne di Awabath ridacchiavano e si davano dei colpetti di gomito quando mi vedevano, quelle sgualdrine impudenti con la faccia scoperta. E qua è peggio. Non capisco nessuno e nessuno mi capisce, ed è tutto diverso! Non so nemmeno cosa sia il cibo che mangio, è cibo da stregoni, mi da ilcapogiro. Non conosco le proibizioni del posto, non ci sono sacerdoti a cui chiedere, solo donne stregone, tutte nere e con la faccia scoperta. E ho visto come mi ha guardato lui. Sai, si vede attraverso il feyag! Ho visto la sua faccia. È molto bello, sembra un guerriero, ma è uno stregone nero e mi odia. Non dire che non mi odia, perché so che è così. E penso che quando saprà il mio nome manderà per sempre la mia anima in quel luogo.
Dopo un po’, guardando tra i rami mossi dei salici sopra l’acqua che scorreva tranquilla, sentendosi triste e stanca, Tenar disse: — Quello che devi fare, allora, principessa, è imparare il modo di farti apprezzare da lui. Non hai altra scelta, no?
La ragazza scrollò le spalle, l’aria afflitta.
— Per cominciare, sarebbe utile che tu capissi quel che dice.
— Blablabla-blablabla… Sembra che tutti farfuglino questa cantilena.
— E quando sentono noi, loro hanno la stessa impressione. Via, principessa, come puoi piacergli se sai dirgli solo blablabla-blablabla? Guarda… — Tenar alzò una mano, la indicò con l’altra, e disse la parola prima in kargico, poi in hardico.
Seserakh ripeté entrambe le parole in tono rispettoso, obbediente. Dopo qualche vocabolo di altre parti del corpo, affinò l’abilità nella traduzione. Si drizzò meglio sulla sedia. — Come dicono "re" gli stregoni?
— Agni. È una parola della Vecchia lingua. Me l’ha detto mio marito.