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Mentre rispondeva, Tenar si rese conto che a quel punto era sciocco tirare in ballo l’esistenza di una terza lingua; ma non fu quel particolare ad attirare l’attenzione della principessa.

— Hai un marito? — La giovane la fissò con fulgidi occhi leonini, e rise forte. — Oh, meraviglioso! Credevo fossi una sacerdotessa! Oh, ti prego, amica mia, parlami di lui! È un guerriero? È bello? Lo ami?

Dopo che il re fu andato a caccia di draghi, Alder non sapeva proprio cosa fare; si sentiva del tutto inutile, riteneva ingiustificata la propria permanenza a palazzo, mangiava a sbafo il cibo del re, aveva sensi di colpa per i guai che si era portato appresso. Non potendo starsene seduto in camera tutto il giorno, usciva a passeggiare nelle vie, ma lo splendore e l’attività della città lo sgomentavano, e non avendo denaro né una meta, non gli restava che camminare finché non era stanco. Allora, tornava al palazzo di Maharion chiedendosi se le sentinelle dal volto arcigno lo avrebbero lasciato entrare. L’unico posto dove trovava un po’ di serenità erano i giardini del palazzo. Sperava di incontrare di nuovo Rody, ma il bambino non riapparve, e forse era meglio così. Meglio che lui evitasse di parlare alla gente, pensava Alder. Oppure le mani protese verso di lui dal mondo dei morti si sarebbero protese anche verso gli altri.

Il terzo giorno dopo la partenza del re, scese a passeggiare tra gli stagni del giardino. Era stata una giornata molto calda; la sera era afosa. Portò con sé Tiro, lasciò libero il gattino perché desse la caccia agli insetti sotto i cespugli, e si sedette su una panchina vicino al grande salice, osservando il luccichio verde-argenteo delle grasse carpe nell’acqua. Si sentiva solo e scoraggiato; sentiva che le sue difese contro le voci e le mani protese stavano cedendo. A che scopo rimanere lì, dopo tutto? Perché non entrare nel sogno una volta per sempre, scendere quella collina, farla finita? Nessuno al mondo avrebbe pianto la sua scomparsa, e la sua morte avrebbe risparmiato agli altri quel male che si portava appresso. Sicuramente, erano già abbastanza indaffarati a combattere i draghi. Forse, se fosse andato là avrebbe visto Giglio.

Se fosse morto, non avrebbero potuto toccarsi. Stando a quanto dicevano i maghi, non avrebbero neppure desiderato farlo. Secondo loro, i morti dimenticavano cosa significasse essere vivi. Ma Giglio aveva allungato la mano verso di lui. All’inizio, per un poco, forse avrebbero ricordato la vita abbastanza a lungo da vedersi, guardarsi, anche se non si fossero toccati…

— Alder.

Lui alzò lentamente lo sguardo verso la donna in piedi accanto a lui. La piccola donna grigia, Tenar. Notò la sua espressione preoccupata, senza sapere però perché lo fosse. Poi rammentò che sua figlia, la ragazza bruciata, era partita insieme al re. Forse erano giunte cattive notizie. Forse erano tutti morti.

— Stai male, Alder? — chiese lei.

Lui scosse il capo. Era difficile parlare. Adesso capiva che sarebbe stato facilissimo, in quell’altra terra, non parlare. Non incontrare gli occhi della gente. Non essere preoccupato.

Tenar gli si sedette accanto sulla panchina. — Sembri turbato — disse.

Alder fece un gesto vago… come a dire: va tutto bene, non è nulla d’importante.

— Sei stato a Gont. Con mio marito Sparviere. Come stava? Aveva cura di sé?

— Sì — rispose Alder. Cercò di dare una risposta più esauriente. — È stato un ospite gentilissimo.

— Sono contenta di sentirlo. Mi preoccupo per lui. Sa badare alla casa quanto me, però non mi è piaciuto lasciarlo solo… Per favore, vuoi dirmi cosa faceva quando eri là?

Alder le raccontò che aveva raccolto le susine e le aveva portate al venditore, che loro due avevano riparato la staccionata, che lo aveva aiutato a dormire.

La donna ascoltò attenta, seria, come se quelle cose di scarso rilievo fossero importanti quanto gli strani eventi di cui avevano parlato proprio lì tre giorni addietro… i morti che chiamavano un vivo, una ragazza che diventava un drago, i draghi che incendiavano le isole dell’Ovest.

In realtà, lui non sapeva cosa fosse più importante alla fin fine, i grandi e strani eventi o le piccole vicende comuni.

— Vorrei poter andare a casa — disse lei.

— Potrei desiderare la stessa cosa, ma non servirebbe a nulla. Credo che non tornerò più a casa. — Alder non sapeva perché l’avesse detto ma, sentendole, le proprie parole gli sembrarono vere.

Tenar lo guardò a lungo con tranquilli occhi grigi, e non fece domande.

— Potrei desiderare che mia figlia torni a casa con me — confessò — ma anche questo sarebbe inutile. So che deve andare avanti. Non so dove, però.

— Vuoi dirmi qual è il dono che possiede, che donna è, dal momento che il re l’ha mandata a chiamare e l’ha portata con sé ad affrontare i draghi?

— Oh, se sapessi cos’è lei, te lo direi — rispose la donna, la voce colma di angoscia, d’amore e di amarezza. — Non è mia figlia di nascita, come avrai immaginato o saputo. Venne da me da bambina, dopo essere stata salvata dal fuoco, salvata a stento e non completamente… Quando Sparviere tornò da me, lei diventò anche figlia sua. Ed evitò a entrambi una morte crudele, chiamando un drago, Kalessin, detto l’Anziano. E quel drago la chiamò figlia. Dunque è la figlia di molti e di nessuno, che ha conosciuto sofferenze inimmaginabili ma è stata salvata dal fuoco. Chi sia in realtà, forse non lo saprò mai. Però vorrei che adesso fosse qui, al sicuro, con me!

Alder avrebbe desiderato rassicurarla, ma si sentiva a sua volta troppo depresso.

— Dimmi qualche altra cosa a proposito di tua moglie, Alder — chiese lei.

— Non posso — rispose lui, dopo lunghi attimi di silenzio. — Lo farei se potessi, lady Tenar. C’è una tale tristezza in me, e paura, terrore, questa sera. Cerco di pensare a Giglio, ma c’è solo quel deserto tenebroso che scende e scende, e non riesco a vederla. Tutti i ricordi che avevo di lei, che erano come l’aria e l’acqua per me, sono finiti in quel luogo desolato. Non mi è rimasto nulla.

— Mi dispiace — sussurrò lei, e il silenzio scese di nuovo tra loro. L’oscurità stava infittendo. Non c’era vento, e faceva molto caldo. Le luci del palazzo brillavano attraverso gli intagli delle finestre e il fogliame immobile dei salici.

— Sta accadendo qualcosa — disse la donna. — Un grande cambiamento nel mondo. Forse non rimarrà più nulla di quello che conoscevamo.

Alder alzò lo sguardo verso il cielo che si stava oscurando. Le torri del palazzo si stagliavano chiare su quello sfondo, le loro superfici pallide di marmo e alabastro riflettevano tutta la luce residua dell’Ovest. I suoi occhi cercarono la lama della spada incastonata in cima alla torre più alta, e la videro, un lieve scintillio argenteo. — Guarda — disse. Sulla punta della spada, come un diamante o una goccia d’acqua, brillava una stella. Mentre osservavano, la stella si mosse, si staccò dalla spada, alzandosi sopra di essa.

C’era confusione, adesso, nel palazzo o al di là dei muri; voci; un corno suonò, un segnale secco, imperioso.

— Sono tornati — disse Tenar, e si alzò. L’eccitazione aleggiava nell’aria, e anche Alder si mosse. La donna si affrettò a entrare nel palazzo, da cui si vedeva il porto. Ma Alder, prima di rientrare con il gattino, alzò nuovamente lo sguardo verso la spada, ora solo un debole luccichio, e verso la stella che la sovrastava fulgida.

La Delfino entrò nel porto in quella notte estiva senza vento, filando veloce, le vele gonfiate dal soffio magico. Nessuno a palazzo pensava che il re sarebbe tornato così presto, ma tutto era in ordine e pronto quando il sovrano arrivò. Il molo si affollò subito di cortigiani, soldati in libera uscita, e cittadini, ansiosi di accoglierlo, e cantori e arpisti attendevano di sentire come avesse combattuto e sconfitto i draghi, così da comporre ballate per celebrare l’impresa.