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Al che, Tehanu si alzò dalla panca accanto alla predella del trono. — Parlerò — disse. E si sedette di nuovo.

Quell’intervento provocò una pausa nella discussione, una pausa che durò appena un minuto, poi tutti ricominciarono.

Il sovrano ascoltò, senza parlare. Voleva conoscere l’umore della sua gente.

Le melodiose trombe d’argento sulla torre della spada suonarono tutto il loro motivo quattro volte, annunciando la sesta ora, il mezzogiorno. Il re si alzò, e il principe Sege dichiarò sospesa la seduta fino alla prima ora del pomeriggio.

Un pranzo di formaggio fresco, frutta estiva e verdura li attendeva in una sala della torre della regina Heru. Lebannen vi invitò Tehanu e Tenar, Alder, Sege e Onice; quest’ultimo, con il permesso del re, portò con sé il mago pelnico, Seppel. Sedettero e mangiarono insieme, parlando poco e sottovoce. Le finestre dominavano tutto il porto e la riva nord della baia, velata da una foschia azzurrognola che avrebbe potuto essere un residuo della nebbia del mattino o fumo delle foreste in fiamme nella parte occidentale dell’isola.

Alder era rimasto disorientato per il fatto di essere stato ammesso nella cerchia ristretta del sovrano e nella sala del consiglio. Cosa aveva a che fare, lui, con i draghi? Non poteva combatterli né parlare con loro. L’idea di quelle creature così possenti era affascinante e bizzarra. Le millanterie e le sfide dei consiglieri a tratti gli erano sembrate uggiolii di cani. Una volta, su una spiaggia, aveva visto un cagnolino che abbaiava e abbaiava all’oceano, correva in avanti cercando di mordere le onde, e poi scappava con la coda bagnata tra le gambe.

Era contento, tuttavia, di essere con Tenar — che lo faceva sentire a suo agio, che era così buona e coraggiosa — e ora scoprì di sentirsi a proprio agio anche con la figlia.

Con quella deturpazione, pareva che avesse due facce. Alder non poteva vederle insieme, solo una o l’altra. Ma si era abituato, e la cosa non lo disturbava. La faccia di sua madre era mascherata per metà da una voglia rosso vino. La faccia di Tehanu gli ricordava il volto materno.

La ragazza sembrava meno inquieta e tormentata di prima. Sedeva tranquilla, e un paio di volte parlò ad Alder, seduto accanto a lei, con un atteggiamento di timido cameratismo. Egli aveva l’impressione che, come lui, la giovane si trovasse lì non per scelta ma perché aveva rinunciato a scegliere, spinta a seguire una via che non capiva. Forse le loro vie procedevano unite, almeno per un poco. Quell’idea gli infuse coraggio. Sapendo solo che c’era qualcosa che doveva fare, qualcosa di iniziato che bisognava finire, Alder si disse che, di qualunque cosa potesse trattarsi, sarebbe stato meglio farla con lei, che senza di lei. Forse Tehanu si sentiva affine a lui perché avevano in comune la solitudine.

Ma la conversazione della giovane non verteva su questioni così profonde. — Mio padre ti ha dato un gattino — gli disse, mentre lasciavano il tavolo. — Era uno dei gattini di zietta Muschio?

Lui annuì, e lei chiese: — Quello grigio?

— Sì.

— Era il migliore della figliata.

— Sta ingrassando, qui. È un buon compagno. Un marinaio l’ha chiamato Tiro.

— Tiro — ripeté la ragazza, e parve soddisfatta.

— Tehanu — disse il re. Si era seduto accanto a Tenar sulla panca sotto la finestra. — Oggi, quando eravamo riuniti a consiglio, non ti ho invitata ad affrontare gli argomenti che lord Sparviere ha trattato. Non era il momento. È questo un luogo più adatto?

Alder la osservò. Lei rifletté prima di rispondere. Lanciò uno sguardo alla madre, che rimase impassibile.

— Preferisco parlarti qui — disse roca. — E forse alla principessa di Hur-at-Hur…

Una breve pausa, poi il sovrano disse affabile: — Devo mandarla a chiamare?

— No, posso andare da lei. Dopo. Non ho molto da dire. Mio padre ha chiesto: "Chi va nella terra desolata quando muore?". E mia madre e io ne abbiamo parlato. E abbiamo pensato, la gente va là, ma gli animali? Ci sono uccelli che volano, là? Ci sono alberi, cresce l’erba? Alder, tu hai visto quel luogo…

Colto alla sprovvista, egli riuscì a dire solo: — Là… c’è l’erba, da questa parte del muro, ma sembra morta. Non so altro.

Tehanu guardò il re. — Tu hai attraversato quella terra, mio signore.

— Non ho visto animali, né uccelli, né piante.

Alder intervenne. — Lord Sparviere ha parlato di polvere e roccia.

— Penso che là, al momento della morte, vadano soltanto gli esseri umani — dichiarò. — Ma non tutti. — Guardò nuovamente la madre, la fissò.

La donna parlò. — Le genti kargiche sono come gli animali. — La sua voce era spenta e non lasciava trasparire nessun sentimento. — Muoiono per rinascere.

— Questa è superstizione — disse Onice. — Perdonami, lady Tenar, ma tu stessa… — S’interruppe.

Tenar dichiarò: — Io non credo più di essere, o di essere stata, come mi dicevano, Arha rinata in eterno, un’anima reincarnata continuamente e quindi immortale. Credo che quando morirò, come qualsiasi mortale, mi unirò di nuovo all’essere più grande che è il mondo. Come l’erba, gli alberi, gli animali. Gli uomini sono solo animali che parlano, signore, come hai detto questa mattina.

— Però noi possiamo parlare la Lingua della creazione — replicò il mago. — Imparando le parole con cui Segoy creò il mondo, la lingua stessa della vita, insegniamo alle nostre anime a vincere la morte.

— Quel luogo dove non esiste che polvere e tenebre, è quella la vostra conquista? — La voce di Tenar adesso non era spenta, e i suoi occhi lampeggiavano.

Onice fremette indignato, ma restò muto.

Intervenne il re. — Lord Sparviere ha posto una seconda domanda: "Un drago può oltrepassare il muro di pietra?" — Guardò Tehanu.

— La prima risposta vale anche per questa domanda — disse la giovane — se i draghi sono solo animali che parlano, e gli animali non vanno là. Un mago ha mai visto un drago, là? E tu, mio signore? — Guardò prima Onice, poi Lebannen. Onice rifletté appena un attimo, e disse: — No.

Il re pareva stupito. — Chissà perché non ci ho mai pensato?… No, non abbiamo visto nessun drago. Penso che non ci siano draghi, là.

— Mio signore — disse Alder, alzando la voce come non aveva mai fatto a palazzo — c’è un drago qui! — Era in piedi accanto alla finestra, e indicò all’esterno.

Si voltarono tutti. Nel cielo sopra la baia di Havnor videro un drago arrivare in volo da ovest. Le sue lunghe ali che battevano lente sprigionavano bagliori rosso-oro. Una voluta di fumo fluttuò per un istante dietro il drago nella foschia dell’aria estiva.

— Ora — disse il re — che stanza posso far preparare per questo ospite?

Parlò come se fosse divertito, confuso, ma non appena vide che il drago mutava direzione e avanzava volteggiando verso la torre della spada, uscì a precipizio dalla sala e scese di corsa le scale, spaventando e distanziando le guardie nei corridoi e alle porte, e trovandosi per primo a raggiungere in solitudine la terrazza sotto la torre bianca.

La balconata era il tetto di una sala dei banchetti, un’ampia distesa di marmo con una bassa balaustra, e la torre della spada si ergeva proprio sopra di essa con la torre della regina a breve distanza. Il drago si era posato sulla terrazza e stava piegando le ali con un fragore metallico quando il sovrano uscì. I suoi artigli avevano scavato dei solchi nel marmo.

La lunga testa rivestita di scaglie dorate si girò. Il drago guardò il re.

Il sovrano abbassò lo sguardo, evitando quegli occhi. Rimase tuttavia ben dritto e parlò in modo chiaro. — Orm Irian, benvenuto. Io sono Lebannen.

— Agni Lebannen - disse la poderosa voce sibilante, salutandolo come l’aveva salutato tanto tempo addietro Orm Embar, nell’estremo Ovest, prima che lui diventasse re.