Dietro il re, Onice e Tehanu erano corsi sulla terrazza insieme a parecchie guardie. Una guardia aveva sguainato la spada, e Lebannen vide, in una finestra della torre della regina, un’altra guardia con l’arco teso e una freccia incoccata puntata al petto del drago. — Deponete le armi! — gridò, con una voce che fece vibrare le torri; la guardia obbedì con tale fretta che per poco non si lasciò sfuggire di mano la spada, ma l’arciere abbassò l’arco riluttante, restio a lasciare indifeso il suo signore.
— Medeu - sussurrò Tehanu affiancandosi al sovrano, fissando il drago senza esitazione. La testa della grande creatura si girò di nuovo, e l’enorme occhio ambrato nell’orbita di scaglie grinzose luccicanti la fissò a sua volta.
Il drago parlò.
Onice, comprendendo, tradusse sottovoce al re le parole del drago e quelle di Tehanu.
— Figlia di Kalessin, sorella — disse il drago. — Tu non voli.
— Io non posso cambiare, sorella — disse Tehanu.
— Devo cambiare, io?
— Per un po’, se vuoi.
Allora quelli sulla terrazza e alle finestre della torre videro la cosa più strana che forse avrebbero mai visto, pur vivendo in un mondo di stregoneria e portenti. Il drago, l’enorme creatura che con il ventre scaglioso e la coda spinosa occupava metà terrazza, e con la testa dalle corna rosse arrivava a un’altezza doppia rispetto a quella del sovrano, abbassò la testa e tremò, facendo risuonare le ali come cembali, e dalle sue narici profonde uscì una foschia, non del fumo, che oscurò il suo corpo, avvolgendolo in un velo simile a nebbia o vetro opaco. Poi la creatura scomparve. Il sole di mezzogiorno batteva sul marmo bianco intaccato e graffiato. Non c’era alcun drago. C’era una donna. In piedi a una decina di passi da Tehanu e dal re. Con il capo che si trovava là dove prima forse si trovava il cuore del drago.
Era giovane, alta e robusta, scura di carnagione e di capelli, indossava una camicia da contadina e brache, era scalza. Rimase immobile, quasi fosse disorientata. Guardò il proprio corpo. Alzò una mano e la guardò. — Com’è piccola! — esclamò, nella lingua comune, e rise. Guardò Tehanu. — È come mettere le scarpe che portavo quando avevo cinque anni — disse.
Le due donne si avvicinarono. Con una certa maestà, come guerrieri che salutano o navi che s’incrociano in mare, si abbracciarono. Si strinsero delicatamente, ma a lungo. Poi si staccarono, girandosi entrambe verso il re.
— Lady Irian — disse Lebanen, e s’inchinò.
Lei sembrava un poco imbarazzata, e fece una specie di goffa riverenza. Quando la donna alzò il capo, il re vide che i suoi occhi erano color ambra. Distolse subito lo sguardo.
— Non ti farò alcun male in queste sembianze — lo tranquillizzò lei, con un ampio sorriso candido — sire — soggiunse a disagio, cercando di essere educata.
Il re si inchinò di nuovo. Era lui a essere imbarazzato, adesso. Guardò Tehanu, poi Tenar, che era uscita sulla terrazza insieme ad Alder. Nessuno aprì bocca.
Gli occhi di Irian si spostarono su Onice, fermo nel suo mantello grigio alle spalle del re, e il volto le si illuminò di nuovo. — Signore — disse — sei dell’isola di Roke? Conosci il maestro strutturatore?
Onice s’inchinò o annuì. Anche lui evitò di guardarla.
— Sta bene? Cammina tra i suoi alberi?
Il mago piegò di nuovo la testa.
— E il portinaio, e l’erborista, e Kurremkarmerruk? Erano miei amici, mi sostenevano. Se tornerai là, salutali con tutto il mio amore e rispetto, se non ti dispiace.
— Lo farò — rispose il mago.
— Mia madre è qui — disse sommessa Tehanu a Irian. — Tenar di Atuan.
— Tenar di Gont — fece Lebannen, con un particolare tono di voce.
Osservando la donna con palese meraviglia, Irian disse: — Sei stata tu a riportare l’Anello della runa dalla terra degli uomini canuti, insieme all’arcimago?
— Sì — rispose Tenar, fissando Irian con pari franchezza.
Sopra di loro, sul balcone che circondava la torre della spada vicino alla sommità, c’era del movimento: i trombettieri erano usciti per suonare l’ora, ma adesso si erano radunati tutti e quattro sul lato sud che dava sulla terrazza, e scrutavano in basso per vedere il drago. C’erano facce in ogni finestra delle torri del palazzo, e il brontolio di voci nelle vie sembrava un rumore di marea.
— Quando suoneranno la prima ora — disse Lebannen — il consiglio tornerà a riunirsi. I consiglieri ti avranno vista arrivare, mia signora, o avranno saputo del tuo arrivo. Quindi, se non ti dispiace, penso sia meglio andare subito da loro e lasciare che ti vedano. E se ti rivolgerai a loro, ti prometto che ti ascolteranno.
— Benissimo — fece Irian. Per un attimo, ci fu in lei una greve impassibilità da rettile. Quando si mosse, quell’impressione svanì, e Irian sembrava solo una giovane donna alta, che avanzò piuttosto impacciata, dicendo con un sorriso a Tehanu: — Ho la sensazione di potere volar via come una scintilla, non c’è più peso in me!
Le quattro trombe della torre suonarono a ovest, nord, est, sud, una parte del lamento che un re cinquecento anni addietro aveva composto per la morte dell’amico.
Adesso, per un istante, il sovrano ricordò il volto di quell’uomo, Erreth-Akbe, là sulla spiaggia di Selidor, afflitto, ferito a morte, in piedi tra le ossa del drago che lo aveva ucciso. Lebannen rifletté che era strano pensare a cose così remote in quel momento; eppure non era del tutto insensato, perché i vivi e i morti, gli uomini e i draghi, stavano tutti avvicinandosi a qualche evento che lui non riusciva a cogliere.
Attese che Irian e Tehanu gli si accostassero. Mentre entrava nel palazzo con loro, disse: — Lady Irian, ci sono molte cose che vorrei chiederti, ma quello che la mia gente teme e quello che il consiglio desidera sapere è se la tua gente intende far guerra a noi, e perché.
Lei annuì, un gesto netto, risoluto. — Dirò quel che so.
Quando giunsero alla tenda della porta dietro la predella del trono, la sala era in preda al caos, un frastuono di voci; il colpo di bastone del principe Sege non sortì alcun effetto, all’inizio. Poi all’improvviso nella sala scese il silenzio, e tutti si volsero mentre il re entrava con il drago.
Lebannen non si sedette, ma rimase in piedi davanti al trono, con Irian alla sua sinistra.
— Udite il re — disse Sege nella quiete assoluta.
Il sovrano disse: — Consiglieri! Questo è un giorno che verrà raccontato e cantato per lungo tempo. Le figlie dei vostri figli e i figli delle vostre figlie diranno: "Sono nipote di un rappresentante del Consiglio del drago!". Dunque onorate colei che con la sua presenza ci onora. Udite Orm Irian.
Alcuni dei presenti dichiararono in seguito che, guardandola direttamente, Irian sembrava solo una donna alta, ma se si distoglieva lo sguardo, con la coda dell’occhio si vedeva un grande luccichio dorato e fumoso che faceva apparire insignificanti il re e il trono. E molti, sapendo che un uomo non doveva guardare gli occhi di un drago, distoglievano lo sguardo, lanciando di sottecchi occhiate furtive. Le donne guardarono Irian, giudicandola bruttina o bella, alcune compatendola perché doveva girare scalza nel palazzo. E alcuni consiglieri, non avendo capito bene, si chiesero chi fosse quella donna, e quando sarebbe arrivato il drago.
Per tutto il tempo che lei parlò, il silenzio assoluto continuò a regnare nella sala. Sebbene la sua voce avesse la lievità della maggior parte delle voci femminili, riempiva facilmente la grande sala del trono. Parlò con lentezza, come se stesse traducendo mentalmente dalla Vecchia lingua.
— Il mio nome era Irian, del dominio di vecchia Iria di Way. Adesso sono Orm Irian. Kalessin, l’Anziano, mi chiama figlia. Sono sorella di Orm Embar, che il re ha conosciuto, e nipote di Orm, che uccise il compagno del re Erreth-Akbe e fu ucciso da lui. Sono qui perché mia sorella Tehanu mi ha chiamata.