Arrivando al sentiero che conduceva agli stagni sotto i salici, vide Alder. C’era con lui un bambino. Stavano parlando sottovoce, tranquilli. Tenar era sempre contenta di vederlo. Lo commiserava per il dolore e la paura in cui viveva, e ammirava la pazienza con cui riusciva a sopportarli. Le piacevano il suo volto bello e onesto, e la sua eloquenza. Che male c’era ad aggiungere qualche abbellimento al discorso? Anche Ged si era 0dato di lui.
Fermandosi a debita distanza per non disturbarli, vide che i due s’inginocchiavano sul sentiero e guardavano tra gli arbusti. Poco dopo, il gattino grigio sbucò da sotto un cespuglio. Non badò ai due umani, ma attraversò il tratto erboso, avanzando lentamente, strisciando quasi sul ventre, gli occhi che brillavano, dando la caccia a una falena.
— Puoi lasciare che stia fuori tutta la notte, se vuoi — disse Alder al bambino. — Qui, non può smarrirsi, né accadergli nulla di male. Ha una vera predilezione per l’aria aperta. E, vedi, questi grandi giardini, sono come tutta Havnor per lui. Oppure puoi lasciarlo libero al mattino. E, volendo, puoi farlo dormire insieme a te.
— Mi piacerebbe — annuì il piccolo, timido ma risoluto.
— E dovrai tenere nella tua stanza la sua cassetta di sabbia. E una ciotola di acqua da bere, che non deve mancare mai.
— E del cibo.
— Sì, certo. Una volta al giorno. E non troppo. È un po’ ingordo. Incline a pensare che Segoy abbia creato le isole perché Tiro potesse riempirsi la pancia.
— Acchiappa i pesci dello stagno? — Il gatto adesso era vicino a uno dei laghetti con le carpe, e si guardava intorno, seduto sull’erba; la falena era volata via.
— Gli piace osservarli.
— Piace anche a me — disse il bambino. Si alzarono e si avviarono affiancati verso gli stagni.
A Tenar, quella scena fece tenerezza. C’era una grande innocenza in Alder, un’innocenza adulta, non infantile. Avrebbe dovuto avere dei figli. Sarebbe stato un buon padre.
Lei pensò ai propri figli, e ai nipotini… la maggiore, Semino, pareva impossibile… ma sì, aveva ormai dodici anni! Entro l’anno o l’anno successivo, le avrebbero dato il nome! Oh, era ora di andare a casa. Era ora di visitare la valle centrale, di portare un regalo di nominazione alla nipote e giocattoli ai bambini, di assicurarsi che quell’irrequieto di Scintilla non potasse ancora troppo i peri, di sedersi un poco a conversare con la cara figlia Mela… il cui vero nome era Hayohe, nome datole da Ogion… Il pensiero di Ogion fu accompagnato come sempre da uno spasimo d’amore e di struggimento. Tenar vide il focolare della casa di Re Albi. Vide Ged seduto accanto ad esso. Lo vide girare il volto scuro e rivolgerle una domanda. Lei rispose a voce alta, nei giardini del Nuovo palazzo di Havnor, a centinaia di miglia da quel focolare: — Tornerò al più presto!
Al mattino, un radioso mattino d’estate, tutti scesero al porto per imbarcarsi sulla Delfino. Gli abitanti della capitale trasformarono l’evento in una festa, riversandosi nelle strade e sui pontili, invadendo i canali con le piccole barche a pertiche chiamate "trucioli", costellando la grande baia di barche a vela e lance, su cui sventolavano bandiere vivaci; e stendardi e guidoni svolazzavano anche sulle torri delle grandi case e sulle aste dei ponti, alti e bassi. Passando tra quella folla gioiosa, Tenar pensò a quando, tempo addietro, lei e Ged erano entrati nel porto di Havnor, portando a casa la runa della pace, l’Anello di Elfarran. Quell’anello era sul suo braccio, allora, e lei l’aveva sollevato perché l’argento brillasse al sole e la gente potesse vederlo, e le persone avevano acclamato, tendendo le braccia verso di lei quasi volessero stringerla. Tenar stava sorridendo, quando salì la passerella e s’inchinò a Lebannen.
Lui l’accolse con la tradizionale cerimoniosità di un capitano di nave. — Lady Tenar, benvenuta a bordo.
Mossa da chissà quale impulso, lei rispose: — Ti ringrazio, figlio di Elfarran.
Lui la guardò un attimo, sorpreso da quel nome, ma subito fu distratto dall’arrivo di Tehanu, e ripeté il saluto formale: — Lady Tehanu, benvenuta a bordo.
Tenar proseguì verso la prua della nave, ricordando un angolo vicino a un argano dove un passeggero, senza intralciare i marinai che lavoravano sodo, poteva vedere tutto ciò che accadeva sul ponte affollato e anche a terra.
C’era una gran confusione nella via principale che conduceva al molo: la somma principessa stava arrivando. La donna notò soddisfatta che il re, o forse il suo maggiordomo, aveva dato disposizioni perché l’arrivo della principessa fosse opportunamente sfarzoso. Una scorta a cavallo apriva un varco nella folla, e i destrieri sbuffavano e battevano gli zoccoli con un portamento solenne. Dei grandi pennacchi rossi, simili a quelli che i guerrieri kargici sfoggiavano sui loro elmi, ondeggiavano sulla vistosa carrozza dorata con cui la principessa aveva attraversato la città, e sulla testiera dei quattro cavalli grigi che la trainavano. Una banda di musici in attesa sul pontile cominciò a suonare con trombe, tamburi e tamburelli. E la gente, scoprendo di avere una principessa da acclamare e osservare, approvò rumorosa, accalcandosi e avvicinandosi il massimo consentito dalle scorte a cavallo e a piedi, guardando a bocca aperta e profondendosi in lodi, e nei saluti e nei commenti più disparati. — Salve regina dei Karg! — gridarono alcuni, e altri: — Non è regina — e alcuni: — Guardatele, tutte in rosso, belle come rubini, ma lei qual è? — e altri ancora: — Viva la principessa!
Tenar vide Seserakh — naturalmente velata dalla testa ai piedi, ma inconfondibile per statura e portamento — che scendeva dalla carrozza e incedeva, maestosa come una nave, verso la passerella. Due delle sue ancelle, dal velo più corto, le trotterellavano alle spalle, seguite da lady Opale di Ilien. Tenar ebbe un tuffo al cuore. Lebannen aveva stabilito che nessun servitore dovesse partecipare a quel viaggio. Non era una crociera o una gita di piacere, aveva detto severo il sovrano, e quelli a bordo dovevano trovarvisi per un valido motivo. Non aveva capito, Seserakh? O si aggrappava alle sue sciocche compatriote perché intendeva sfidare il re? L’inizio del viaggio sarebbe stato assai sfavorevole.
Ai piedi della passerella, però, il rosso cilindro increspato dai riflessi dorati si fermò e si girò. Spuntarono due mani, mani dalla pelle dorata su cui splendevano anelli d’oro. La principessa abbracciò le ancelle, dicendo loro addio. Strinse anche lady Opale, nel modo solenne adottato in pubblico dai reali e dalla nobiltà. Poi quest’ultima guidò le ancelle alla carrozza, mentre la principessa si voltava di nuovo verso la passerella.
Ci fu una pausa. Tenar vide che la colonna informe rosso e oro traeva un respiro profondo e si ergeva in tutta la propria statura.
Il cilindro di veli salì la passerella, lentamente, perché la marea era montata e il ponticello era piuttosto inclinato, ma con una dignità risoluta che la folla a terra osservò in silenzio, affascinata.
Giunta sul ponte, la colonna si arrestò, di fronte al re.
— Somma principessa delle terre dei Karg, benvenuta a bordo — la accolse Lebannen, con voce squillante. Al che, la folla proruppe: — Urrà per la principessa! Viva la regina! Bella salita, Rossa!
Il re le disse qualcosa, ma era impossibile sentirlo in mezzo al gran frastuono. La colonna rossa si girò verso la folla e s’inchinò, un gesto un po’ rigido ma cortese.