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Quindi, alzandosi, si rivolse infine a Lebannen, si inchinò e disse: — Mio re, benvenuto.

— È una gioia per me rivederti, strutturatore! Ma porto una folla nella tua solitudine.

— La mia solitudine è già affollata — disse lo strutturatore. — Qualche anima viva potrebbe mantenere l’equilibrio.

I suoi occhi chiari, tra il grigioverde e il verdazzurro, si posarono sul gruppetto. Di colpo, Azver sorrise, un sorriso di grande cordialità, sorprendente sul suo volto severo. — Ma ci sono donne del mio popolo — disse in kargico, e andò da Tenar e Seserakh, che erano fianco a fianco.

— Io sono Tenar di Atuan… di Gont — si presentò la donna. — Accanto a me c’è la somma principessa delle terre dei Karg.

Lui fece un inchino appropriato. Seserakh lo salutò con la solita rigida riverenza, ma le parole le sgorgarono di bocca, tumultuose, in kargico… — Oh, signore sacerdote, sono contenta che tu sia qui! Se non fosse stato per la mia amica Tenar, sarei impazzita, perché mi sembrava che al mondo non fosse rimasto più nessuno capace di parlare come un essere umano, a parte quelle stupide donne di Awabath che mi hanno accompagnato nel viaggio… ma adesso sto imparando a parlare la loro lingua… e sto imparando a essere coraggiosa, Tenar è la mia amica e la mia insegnante… Ma la notte scorsa ho infranto la proibizione! Ho infranto la proibizione! Oh, signore sacerdote, ti prego, dimmi cosa devo fare per espiare! Ho camminato sul Sentiero dei draghi!

— Ma eri a bordo della nave, principessa — fece notare Tenar — e il maestro strutturatore non è un sacerdote, bensì un… uno stregone…

— Principessa — disse Azver. — Penso che stiamo tutti camminando sul Sentiero dei draghi. E che si possano pure infrangere tutte le proibizioni. Non solo in sogno. Parleremo di questo in seguito, sotto gli alberi. Non temere. Ma permettimi ora di salutare i miei amici.

Seserakh annuì, l’aria regale, e l’uomo si avvicinò ad Alder e a Onice.

La principessa lo osservò. — È un guerriero — disse a Tenar in kargico, soddisfatta. — Non un sacerdote. I sacerdoti non hanno amici.

Tutti avanzarono lentamente e giunsero sotto l’ombra degli alberi.

Tenar alzò lo sguardo verso le arcate e le ogive formate dai rami, verso gli strati e le gallerie di foglie. Vide qualche quercia e una grande pianta di hemmen, ma gli altri erano tutti alberi del Bosco immanente. Le loro foglie ovali si muovevano al minimo soffio d’aria, come le foglie dei pioppi e dei tremoli; alcuni di essi erano in parte ingialliti, e il terreno alla base del tronco era screziato di marrone e d’oro, ma il fogliame nella luce del mattino aveva il colore verde dell’estate, era pieno di ombre e di luce intensa.

Lo strutturatore li condusse lungo un sentiero tra gli alberi. Mentre procedevano, Tenar pensò ancora a Ged, ricordando la sua voce che le parlava di quel luogo. Si sentiva più vicina a lui, lì… un sentimento che non aveva più provato con tale intensità da quando lei e Tehanu lo avevano lasciato sulla soglia della loro casa all’inizio dell’estate, ed erano scese al porto di Gont per imbarcarsi sulla nave del re diretta a Havnor. Lei sapeva che Ged aveva vissuto con Azver molto tempo addietro, e che aveva passeggiato lì in sua compagnia. Sapeva che per lui il bosco era il luogo sacro e centrale, il cuore della pace. Le sembrava quasi di poterlo scorgere in fondo a una delle lunghe radure chiazzate di sole. Quel pensiero le infondeva serenità.

Il sogno che aveva fatto la notte prima, infatti, l’aveva turbata, e quando Seserakh aveva rivelato di aver sognato di infrangere una proibizione, Tenar era rimasta sbigottita. Anche lei aveva infranto una interdizione nel proprio sogno, aveva trasgredito. Aveva salito gli ultimi tre gradini del Trono vuoto, i gradini proibiti. Il Luogo delle tombe di Atuan era lontano, nello spazio e nel tempo, e forse dopo il terremoto non esistevano più né un trono, né gradini nel tempio dove Tenar era stata privata del proprio nome; i Vecchi poteri della terra, però, erano sicuramente ancora là. Quelli non erano cambiati, non si erano spostati altrove. Erano il terremoto, e la terra. La loro giustizia non era la giustizia umana. Oltrepassando l’altura tondeggiante, il poggio di Roke, si era resa conto di trovarsi in un punto dove tutti i poteri si incontravano.

Lei li aveva sfidati, tempo fa, liberandosi dalle tombe, rubando il tesoro, fuggendo nell’Ovest. Ma quei poteri erano lì. Sotto i suoi piedi. Nelle radici di quegli alberi, nelle radici della collina.

Così, lì, in quel punto centrale dove i poteri della terra convergevano, anche i poteri umani si erano radunati: un re, una principessa, i maestri della magia. E i draghi.

E una sacerdotessa ladra diventata contadina, uno stregone di campagna con il cuore infranto…

Tenar lanciò un’occhiata ad Alder. Lo stregone camminava a fianco di Tehanu. Stavano parlando sottovoce. La ragazza parlava volentieri con lui, più che con chiunque altro, perfino Irian, e quando era con lui pareva a proprio agio. Vedendoli insieme, la donna si rallegrò, mentre procedeva sotto i grandi alberi, lasciando che la propria coscienza scivolasse in un abbandono estatico, rapita dal verde scintillante e dal movimento delle foglie. Si rammaricò quando, dopo un breve tragitto, lo strutturatore si fermò. Aveva la sensazione di poter camminare per sempre nel Bosco immanente.

Si raggrupparono in una radura erbosa, aperta al cielo nel centro, dove i rami degli alberi non arrivavano. Un affluente del Thwilburn scorreva su un lato della radura, e lungo le sponde crescevano salici e alni. Non lontano dal ruscello, c’era una casa bassa e bitorzoluta, fatta di pietre e di zolle, e addossata a questa, una capanna più alta a una falda, di vimini e canne intrecciate.

— Il mio palazzo d’inverno, il mio palazzo estivo — disse Azver, accompagnando la voce con due movimenti della mano.

Onice e Lebannen fissarono sorpresi quelle piccole costruzioni, e Irian disse: — Non sapevo che tu avessi una casa!

— Non l’avevo, un tempo — spiegò lo strutturatore. — Ma le ossa invecchiano.

Organizzando un rapido trasporto di materiale dalla nave, la casa fu dotata di giacigli per le donne, la capanna per gli uomini. Un andirivieni di ragazzi dalle cucine della Grande casa alle fronde del bosco rifornì il gruppo di abbondanti provviste. E nel tardo pomeriggio, invitati dallo strutturatore, i maestri di Roke si recarono nella radura per incontrare la comitiva reale.

— È qui che si radunano per scegliere il nuovo arcimago? — chiese Tenar a Onice, poiché Ged le aveva parlato di quella radura segreta.

Il mago scosse il capo. — Non credo — rispose. — Il re dovrebbe saperlo, perché era presente l’ultima volta che si sono riuniti. Ma forse solo Azver potrebbe dirtelo. Perché, vedi, le cose cambiano in questo bosco. Non è sempre nello stesso posto. E nemmeno i sentieri che lo attraversano sono mai gli stessi, credo.

— Dovrebbe essere spaventoso — commentò la donna. — Eppure, a quanto pare, non ho affatto paura.

Onice sorrise. — Succede, qui — disse.

Tenar osservò i maestri che entravano nella radura, guidati dalla mole orsina dell’evocatore e da Azzardo, il giovane maestro del tempo. Il mago le spiegò chi erano gli altri: il cambiatore, il cantore, l’erborista, il manipolatore. Avevano tutti i capelli grigi, il cambiatore era un vegliardo malfermo che usava il bastone da mago per sostenersi. Il portinaio, dal volto liscio e gli occhi a mandorla, non sembrava né giovane né vecchio. Il nominatore, che giunse per ultimo, dimostrava una quarantina d’anni. Aveva un viso calmo e imperscrutabile. Si presentò al sovrano, dicendo di chiamarsi Kurremkarmerruk.

Al che, Irian sbottò indignata: — Ma tu non sei Kurremkarmerruk!

Lui la guardò e disse pacato: — È il nome del nominatore.

— Allora il mio Kurremkarmerruk è morto?

L’uomo annuì.

— Oh — gemette lei. — È una notizia terribile! Lui era mio amico, quando avevo ben pochi amici qui! — Si girò, rifiutandosi di guardarlo, incollerita e in preda a un dolore senza lacrime. Aveva salutato con affetto il maestro erborista, e il portinaio, ma non rivolse la parola agli altri.