Tenar notò che le lanciavano brevi occhiate furtive, aggrottando inquieti le ciglia grigie.
Poi osservarono Tehanu… e distolsero lo sguardo; tornarono a osservarla, furtivamente. Cominciò a chiedersi cosa vedessero quando guardavano le due giovani. Perché quelli erano uomini che vedevano con occhi di mago.
Così la donna disse a se stessa che doveva perdonare l’evocatore per l’orrore incivile che aveva palesato nel vedere la giovane per la prima volta. Forse non si era trattato di orrore. Forse era soggezione, timore reverenziale.
Terminate le presentazioni, quando tutti furono seduti in cerchio, con cuscini e sedili di fortuna per chi ne aveva bisogno, l’erba come tappeto, e il cielo e le foglie come soffitto, lo strutturatore, con voce che aveva ancora un lieve accento kargico, disse: — Ora, compagni maestri, ascolteremo il re, se il re è d’accordo.
Lebannen si alzò. Mentre parlava, Tenar lo osservò, provando un senso irreprimibile di orgoglio. Com’era bello, com’era saggio nonostante la giovane età! Lei non seguì tutte le sue parole, dapprima, solo il tenore e la passione del discorso.
Il sovrano spiegò ai maestri, in modo chiaro e conciso, quale fosse il motivo che lo aveva condotto a Roke: il problema dei draghi e dei sogni.
E concluse dicendo: — Ci è parso che, di notte in notte, tutti questi fatti avessero un nesso sempre più evidente, un fine preciso, che dovessero portare a qualche evento. Abbiamo pensato che qui, su questo suolo, con l’aiuto della vostra conoscenza e del vostro potere, forse saremmo riusciti a prevedere e fronteggiare tale evento, evitando così che la nostra comprensione fosse sopraffatta dal precipitare della situazione. I nostri maghi più saggi hanno predetto che sta per avvenire un grande cambiamento. Dobbiamo unirci per scoprire in cosa consista questo mutamento, le sue cause, il suo corso, e in che modo possiamo sperare di volgerlo dal conflitto e dalla rovina, all’armonia e alla pace, nel cui segno io governo.
Brando l’evocatore si alzò per rispondergli. Dopo alcuni convenevoli solenni, con un benvenuto particolare rivolto alla somma principessa, disse: — Tutti i maestri e i maghi di Roke concordano sul fatto che i sogni degli uomini, e non solo quei sogni, siano preavviso di cambiamenti terribili. Confermiamo che c’è uno sconvolgimento dei confini profondi tra la morte e la vita… violazioni di quei confini, e la minaccia di cose peggiori. Ma dubitiamo che tali sconvolgimenti possano essere compresi o controllati da chi non è un maestro dell’arte magica. E dubitiamo fortemente che si possa fare assegnamento sui draghi, che quanto a vita e morte sono completamente diversi dagli esseri umani, perché soffochino la loro collera selvaggia e la loro invidia per servire il bene umano.
— Evocatore — Replicò Lebannen, prima che Irian potesse parlare. — Orm Embar è morto per me a Selidor. Kalessin mi ha condotto al mio trono… Qui in questo cerchio ci sono tre popoli: il popolo kargico, il popolo hardico, e il popolo dell’Ovest.
— Erano tutti un unico popolo, un tempo — osservò il nominatore, con la solita voce pacata, monotona.
— Ma non sono un unico popolo, adesso — disse l’evocatore, scandendo greve le parole. — Non fraintendermi perché dico la dura verità, mio signore! Rispetto la tregua che hai concluso con i draghi. Quando il pericolo che incombe su di noi sarà passato, Roke aiuterà Havnor a cercare la pace duratura con loro. Ma i draghi non hanno nulla a che fare con la crisi in cui ci troviamo. Come non hanno nulla a che fare con questi eventi i popoli orientali, che hanno rinunciato alla propria anima immortale quando hanno dimenticato la Lingua della creazione.
— Es eyemra - disse con voce bassa, sibilante, Tehanu, alzandosi in piedi.
L’evocatore la fissò.
— La nostra lingua — ripeté lei in hardico, fissandolo a sua volta.
Irian rise. — Es eyemra - disse.
— Voi non siete immortali — disse Tenar all’evocatore. Non aveva intenzione di parlare. Non si alzò. Le parole le scaturirono dalle labbra come scintille da una pietra percossa. — Noi moriamo per riunirci al mondo imperituro. Siete stati voi a rinunciare all’immortalità.
Poi tutti tacquero. Lo strutturatore aveva fatto un piccolo gesto con le mani, un gesto delicato.
Il suo volto era assorto, sereno, mentre studiava un disegno di rametti e foglie che aveva fatto sull’erba dove sedeva, davanti alle gambe incrociate. Sollevò gli occhi, girò il capo tutt’intorno, guardando le persone radunate in cerchio. — Penso che dovremo andare là, presto — annunciò.
Dopo altri attimi di silenzio, Lebannen domandò: — Andare dove, mio signore?
— Nelle tenebre — rispose lo strutturatore.
Mentre Alder sedeva e li ascoltava, le voci lentamente si affievolirono, svanirono, e la calda luce del sole pomeridiano dell’estate inoltrata si offuscò, inghiottita dall’oscurità. Non rimasero che gli alberi: alte presenze cieche tra la terra e il cielo. I figli più vecchi della terra. "Oh, Segoy" disse Alder nel proprio intimo, "creatura e creatore, lascia che io venga da te".
L’oscurità proseguiva all’infinito, oltre gli alberi, oltre ogni cosa.
Contro il vuoto, Alder vide la collina, l’altura che si trovava alla loro destra quando erano saliti, lasciando la cittadina. Vide la polvere della strada, le pietre del sentiero, che conduceva oltre il colle.
Abbandonò il sentiero, staccandosi dagli altri, e salì il pendio.
L’erba era alta. Tra i lunghi steli, ondeggiavano involucri avvizziti di fiori di scintillaria. Giunse su uno stretto viottolo e lo seguì lungo l’erta salita. "Ora sono me stesso" disse nel proprio intimo. "Segoy, il mondo è bellissimo. Lascia che io lo attraversi e venga da te".
Mentre camminava pensò: "Posso fare di nuovo quello che ho sempre fatto. Posso riparare ciò che è rotto. Posso ricongiungere".
Arrivò in cima alla collina. Fermandosi al sole e al vento tra l’erba ondeggiante, vide sulla destra i campi, i tetti della cittadina e della grande casa, la baia lucente e il mare oltre essa. Se si fosse girato, avrebbe visto dietro di sé, a Ovest, gli alberi della foresta sterminata, una distesa che si perdeva in lontananza, svanendo nell’azzurro. Davanti a lui, il pendio era buio e grigio, scendeva verso il muro di pietra e l’oscurità oltre il muro, verso le ombre che si accalcavano accanto al muro e gridavano. "Verrò" disse Alder alle ombre. "Verrò!"
Avvertì una sensazione di calore sulle spalle e sulle mani. Il vento agitava le foglie sopra la sua testa. Delle voci parlavano… parlavano, non gridavano, non invocavano il suo nome. Gli occhi dello strutturatore lo stavano osservando dalla parte opposta del cerchio d’erba. Anche l’evocatore lo osservava. Alder abbassò lo sguardo, sconcertato. Cercò di ascoltare. Si concentrò e ascoltò.
Il re stava parlando, usando tutta la sua abilità e la sua forza per tenere unito quel gruppo accanito e caparbio di uomini e donne, perché non perdessero di vista lo scopo comune. — Maestri di Roke, consentitemi di raccontarvi quanto ho appreso dalla somma principessa durante il nostro viaggio in mare. Principessa, posso parlare a nome tuo?
Il volto svelato, la giovane lo guardò e piegò il capo solenne, acconsentendo.
— Questo è il racconto della principessa, dunque: molto tempo fa, gli esseri umani e i draghi erano un unico popolo, parlavano un’unica lingua. Ma cercavano cose diverse, così decisero di separarsi… di prendere strade diverse. Quell’accordo era chiamato il Vedurnan.
Onice drizzò il capo, e Seppel spalancò gli occhi scuri. — Verw nadan - mormorò.