— Gli esseri umani andarono a est, i draghi a Ovest. Gli uomini rinunciarono alla loro conoscenza della Lingua della creazione, ricevendo in cambio l’abilità e la destrezza manuale, e il possesso di tutto ciò che l’arte manuale può creare. I draghi abbandonarono tutte queste cose. Ma tennero la Vecchia lingua.
— E le loro ali — disse Irian.
— E le loro ali — ripeté Lebannen. Aveva notato l’espressione interessata di Azver, e proseguì: — strutturatore, puoi forse continuare la storia meglio di me?…
— Gli abitanti dei villaggi di Gont e di Hur-at-Hur ricordano quello che i saggi di Roke e i sacerdoti di Karego dimenticano — dichiarò Azver. — Sì, da bambino mi hanno raccontato questa storia, penso, o qualcosa del genere. Ma i draghi non comparivano nel racconto. La storia parlava di come il popolo scuro dell’Arcipelago avesse violato il giuramento fatto. Avevamo tutti promesso di rinunciare alla stregoneria e alla lingua della stregoneria, di parlare solo la nostra lingua comune. Ci eravamo impegnati a non porre alcun nome, a non fare incantesimi. A confidare in Segoy, nei poteri della terra nostra madre, madre degli dei guerrieri. Ma le genti del popolo scuro ruppero il patto. Utilizzarono la Lingua della creazione nella loro arte, scrivendola nelle rune. La tennero, la insegnarono, se ne servirono. Fecero incantesimi con essa, con l’abilità delle loro mani, con lingue false che pronunciavano le parole vere. E dunque il popolo kargico non può mai fidarsi di loro. Così dice la storia.
Irian parlò. — Gli uomini temono la morte, mentre i draghi non la temono. Gli uomini vogliono essere padroni della vita, possederla, quasi fosse un gioiello in uno scrigno. Quegli antichi maghi bramavano la vita eterna. Impararono a usare i veri nomi per impedire agli uomini di morire. Ma chi non può morire non può mai rinascere.
— Il nome e il drago sono una cosa sola — disse Kurremkarmerruk il nominatore. — Noi uomini abbiamo perso i nostri nomi al verw nadan, ma abbiamo scoperto come riacquistarli. Il nome è il sé, l’essenza. Perché la morte dovrebbe cambiare questo fatto?
Guardò l’evocatore, ma Brando sedeva massiccio e torvo, ascoltando, senza parlare.
— Parla ancora di questo argomento, nominatore, se vuoi — intervenne il re.
— Dico quello che ho in parte appreso, in parte dedotto, non da storie narrate nei villaggi ma dai più antichi documenti che si trovano nella torre isolata. Mille anni prima dei primi re di Enlad, c’erano uomini a Ea e Solea, i primi e i più grandi maghi, i creatori di rune. Furono loro a imparare a scrivere la Lingua della creazione. Crearono le rune, che i draghi non impararono mai. Ci insegnarono a dare a ogni anima il suo vero nome: nome che è la verità dell’anima, la sua vera essenza. E con il loro potere, hanno concesso, a chi porta il vero nome, la vita oltre la morte del corpo.
— La vita eterna — fece sommesso Seppel, abbozzando un sorriso. — In una grande terra di fiumi e montagne e splendide città, dove non ci sono sofferenza e dolore, e dove il sé permane, immutato, immutabile, per sempre… Questo è il sogno dell’antico sapere di Paln.
— Dov’è? — chiese l’evocatore. — Dov’è quella terra?
— Sull’altro vento — disse Irian. — L’Ovest oltre l’Ovest. — Guardò tutti quanti, sprezzante, adirata. — Pensate che noi draghi voliamo solo sui venti di questo mondo? Pensate che la nostra libertà, per cui abbiamo rinunciato a qualsiasi possesso, non sia più grande di quella dei gabbiani privi d’intelletto? Che il nostro regno sia soltanto qualche roccia ai margini delle vostre ricche isole? Voi possedete la terra, voi possedete il mare. Ma noi siamo il fuoco del sole, noi voliamo con il vento! Voi volevate della terra da possedere. Volevate delle cose da fare e tenere. E le avete. Quella è stata la divisione, il verw nadan. Ma non eravate soddisfatti della vostra parte. Volevate non solo le vostre preoccupazioni, ma pure la nostra libertà. Volevate il vento! E attraverso gli incantesimi e le magie di quei violatori di giuramenti, ci avete rubato metà del nostro regno, lo avete separato con un muro dalla vita e dalla luce, per poter vivere là in eterno. Ladri, traditori!
— Sorella — disse Tehanu. — Questi non sono gli uomini che ci hanno derubato. Sono quelli che ne pagano lo scotto.
Attimi di silenzio seguirono all’aspro sussurro delle parole della giovane.
— Qual era lo scotto da pagare? — chiese il nominatore.
Tehanu guardò Irian. Questa esitò, poi in tono più pacato rispose: — L’avidità spegne il sole. Queste sono le parole di Kalessin.
Azver lo strutturatore parlò. Mentre parlava, scrutò i passaggi tra le file di alberi al di là della radura, quasi seguisse i lievi movimenti delle foglie. — Gli antichi capirono che il regno dei draghi non era solo corporeo. Che i draghi potevano volare… fuori dal tempo, forse… E invidiando tale libertà, seguirono la via dei draghi nell’Ovest oltre l’Ovest. Là, rivendicarono il possesso di una parte di quel regno. Un regno eterno fuori del tempo, dove il sé potesse esistere per sempre. Ma non in modo corporeo, come i draghi. Solo con lo spirito gli uomini potevano abitare quel luogo… E così costruirono un muro invalicabile per gli esseri viventi, per gli uomini e i draghi. Perché temevano la loro collera. E le loro arti nominatone stesero una grande rete di incantesimi su tutte le terre occidentali, affinché la gente delle isole, dopo la morte, raggiungesse l’Ovest oltre l’Ovest e vivesse là per sempre, come spirito… Ma quando il muro fu eretto e l’incantesimo venne completato, il vento cessò di soffiare, all’interno del muro. Il mare si ritirò. Le sorgenti cessarono di zampillare. Le montagne dell’alba diventarono le montagne della notte. I morti giunsero in una terra tenebrosa, una terra arida.
— Ho attraversato quella terra — mormorò Lebannen, con riluttanza. — Non temo la morte, ma temo quel luogo.
Rimasero alcuni istanti in silenzio.
— Cob e Thorìon… — disse l’evocatore, la voce aspra e incerta. — Loro hanno provato ad abbattere quel muro. A riportare i morti in vita.
— Non in vita, maestro — replicò Seppel. — Come i creatori di rune, anche loro cercavano il sé incorporeo, immortale.
— Tuttavia, i loro incantesimi hanno sconvolto quel luogo — osservò meditabondo l’evocatore. — E così i draghi hanno cominciato a ricordare l’antico torto… E così le anime dei morti adesso si accalcano lungo il muro, tendendo le braccia, bramando il ritorno alla vita.
Alder si alzò. Disse: — Non bramano la vita. Bramano la morte. Desiderano fondersi di nuovo con la terra. Unirsi di nuovo alla terra.
Tutti lo guardarono, ma lui quasi non se ne accorse; la sua consapevolezza era rivolta in parte al gruppo, in parte alla terra desolata. L’erba sotto i suoi piedi era verde e illuminata dal sole, era morta e scura. Le foglie degli alberi tremavano sopra di lui, e il basso muro di pietra era ad appena qualche passo di distanza, lungo il pendio tenebroso della collina. Di tutte le persone presenti, Alder vedeva solo Tehanu; non riusciva a vederla con chiarezza, ma sapeva che era lei, la persona in piedi tra lui e il muro. Le parlò. — L’hanno costruito, ma non possono demolirlo — disse. — Vuoi aiutarmi, Tehanu?
— Ti aiuterò, Hara — rispose la giovane.
Un’ombra guizzò tra loro, una grande forza oscura, che nascose la ragazza, afferrando Alder e bloccandolo; lui si dibatté, boccheggiò, non riusciva a respirare, vide un fuoco rosso nell’oscurità, poi non vide più nulla.
Si incontrarono nel chiarore stellare ai margini della radura, il re delle terre occidentali e il maestro di Roke, i due poteri di Earthsea.
— Vivrà? — chiese l’evocatore, e Lebannen rispose: — Il guaritore dice che adesso non corre alcun pericolo.
— Ho sbagliato — disse il primo. — Mi dispiace.