— Ha finito di agire — mormorò il portinaio, sorridendo.
— Ma noi, no. Sediamo qui a parlare sull’orlo del precipizio… lo sappiamo tutti. — Onice guardò le loro facce illuminate dalla luce delle stelle. — Cosa vogliono i morti da noi?
— Cosa vogliono da noi i draghi? — disse Azzardo. — Queste donne che sono draghi, questi draghi che sono donne… perché sono qui? Possiamo fidarci di loro?
— Abbiamo scelta? — chiese il portinaio.
— Non penso — rispose lo strutturatore. Una nota tagliente era affiorata nella sua voce, tagliente come una lama. — Possiamo solo seguire.
— Seguire i draghi? — domandò Azzardo.
Azver scosse il capo. — Alder.
— Ma lui non è una guida! — sbottò l’altro. — Dovremmo seguire un riparatore di campagna?
Onice disse: — Alder è saggio… ma la sua saggezza è nelle mani, non nella testa. Lui segue il suo cuore. Sicuramente, non cerca di guidarci.
— Eppure è stato scelto tra tutti noi.
— Chi lo ha scelto? — chiese sommesso Seppel.
Lo strutturatore rispose: — I morti.
Rimasero in silenzio. Il trillo dei grilli era cessato. Due alte figure avanzarono verso di loro, attraversando la distesa di erba tinta di grigio dalla luce delle stelle.
— Brando e io possiamo sederci un poco con voi? — chiese Lebannen. — Questa notte, non è possibile dormire.
Seduto sul gradino della porta della casa sull’Overfell, Ged osservava la volta celeste sopra il mare. Più o meno un’ora prima, era rientrato per dormire, ma chiudendo gli occhi aveva visto il fianco della collina e udito le voci che si levavano come un’onda. Si era alzato subito ed era uscito, dove poteva vedere le stelle che si muovevano.
Era stanco. Gli si chiudevano gli occhi, e un istante dopo si ritrovava là accanto al muro di pietra, il cuore raggelato dal terrore di rimanere in quel luogo per sempre, senza conoscere la via del ritorno. Alla fine, spazientito e stanco di avere paura, si alzò di nuovo, andò in casa a prendere una lanterna, l’accese, e s’incamminò sul sentiero che conduceva alla casa di Muschio. Chissà, forse Muschio era spaventata, o forse no; viveva molto vicino al muro, in quei giorni. Ma Erica doveva essere in preda al panico, e Muschio probabilmente non era in grado di calmarla. E dal momento che, qualunque cosa bisognasse fare, lui non poteva fare nulla questa volta, almeno avrebbe potuto consolare la povera stolta. Le avrebbe raccontato che erano solo sogni.
Era arduo procedere al buio; la lanterna proiettava sul sentiero grandi ombre di piccole cose. Ged camminava più lentamente di quanto non gli aggradasse, inciampando a volte.
Vide una luce nella casa del vedovo, malgrado l’ora tarda. Un bambino gemette, nel villaggio. — Mamma, mamma, perché la gente piange? Chi è la gente che piange, mamma? — Nemmeno là dormivano. Quella notte, dovevano essere ben pochi quelli che riuscivano a dormire in tutto il mondo di Earthsea, rifletté. Sorrise un po’, a quel pensiero: gli era sempre piaciuta quella pausa, quella pausa spaventosa, l’attimo prima che le cose cambiassero.
Alder si svegliò. Era steso a terra e ne sentiva la profondità sotto di sé. Sopra di lui le stelle ardevano vivide, le stelle dell’estate, che si muovevano tra le foglie agli sbuffi del vento, che si spostavano da est a Ovest con la rotazione del mondo. Le osservò per un po’ prima di abbandonarle.
Tehanu lo aspettava sulla collina.
— Cosa dobbiamo fare, Hara? — gli chiese.
— Dobbiamo riparare il mondo — rispose lui. Sorrise, perché finalmente aveva il cuore allegro. — Dobbiamo abbattere il muro.
— Loro possono aiutarci? — chiese la ragazza, perché i morti si erano radunati e attendevano in basso nell’oscurità, innumerevoli come fili d’erba o stelle o granelli di sabbia, silenziosi adesso, una grande spiaggia tenebrosa di anime.
— No — disse Alder. — Ma forse può aiutarci qualcun altro. — Scese il pendio fino al muro, che lì era alto poco più della cintola. Mise le mani su una delle pietre della parte superiore del muro e provò a muoverla. Era fissata saldamente, o era più pesante di una pietra normale; non riuscì a sollevarla, non riuscì a spostarla minimamente.
Tehanu gli si affiancò. — Aiutami — disse lui. Lei mise le mani sulla pietra, la mano sana e quella bruciata, stringendola come meglio poteva, e diede uno strattone verso l’alto insieme ad Alder. La pietra si mosse un poco, poi ancora un po’. — Spingi! — disse Tehanu, e insieme la spostarono lentamente, facendola stridere sulla pietra sottostante, finché non cadde sul lato opposto del muro con un tonfo sordo.
La pietra successiva era più piccola; in due, riuscirono a rimuoverla e a sollevarla. La lasciarono cadere nella polvere dalla loro parte.
Un tremito percorse il terreno sotto i loro piedi, a quel punto. I sassi che riempivano gli interstizi produssero un forte crepitio. Con un lungo sospiro, la moltitudine di morti si avvicinò al muro.
Lo strutturatore si alzò all’improvviso e rimase in ascolto. Le foglie turbinavano in tutta la radura, gli alberi del Bosco immanente si piegavano e tremavano come se fossero investiti da violente raffiche di vento, ma non c’era il minimo alito.
— Ora avviene il cambiamento — disse Azver, e si allontanò dagli altri, addentrandosi nell’oscurità sotto gli alberi.
L’evocatore, il portinaio e Seppel si alzarono e lo seguirono, rapidi e silenziosi. Poi anche Azzardo e Onice gli andarono dietro, più lentamente.
Il re si drizzò; fece qualche passo nella direzione presa dagli altri, esitò, quindi attraversò frettolosamente la radura, andando verso la casa bassa di pietra e di zolle. — Irian — disse, chinandosi sulla soglia buia. — Irian, vuoi portarmi con te?
Lei uscì dalla casa; sorrideva, e sembrava circondata da un fulgore ardente. — Vieni allora… vieni, presto — gli disse, e gli prese la mano. La mano di Irian bruciava come un tizzone, quando sollevò Lebannen e lo portò nell’altro vento.
Poco dopo, Seserakh uscì dalla casa e si fermò alla luce delle stelle, seguita da Tenar. Si guardarono intorno. Non si muoveva più nulla; gli alberi erano ancora immobili.
— Sono andati tutti — sussurrò la principessa. — Sul Sentiero dei draghi.
Fece un passo avanti, scrutando le tenebre.
— Cosa dobbiamo fare, Tenar?
— Dobbiamo custodire la casa — rispose lei.
— Oh! — mormorò la giovane, cadendo in ginocchio. Aveva visto Lebannen steso vicino alla porta, a faccia in giù nell’erba. — Non è morto… non credo… Oh, mio caro signore re, non andare, non morire!
— È con loro. Tu rimani con lui. Tienilo caldo. Custodisci la casa, Seserakh — disse Tenar. Andò accanto ad Alder, che giaceva a terra con gli occhi ciechi rivolti alle stelle. Si sedette vicino a lui, prendendogli la mano. E attese.
Alder non era certo in grado di spostare la grande pietra su cui aveva posato le mani, ma l’evocatore era al suo fianco, chino con la spalla contro la pietra, e disse: — Ora! — Insieme, spinsero finché il masso, sbilanciato, non cadde con lo stesso tonfo conclusivo dalla parte opposta del muro.
Adesso c’erano degli altri, lì con lui e Tehanu, e davano strappi alle pietre, le gettavano al suolo. Per un attimo, lo stregone vide apparire l’ombra delle proprie mani in un bagliore rosso. Orm Irian, come la prima volta che l’aveva vista, in sembianza di grande drago, aveva emesso una fiatata di fuoco mentre si sforzava di smuovere un masso della fila inferiore, conficcato in profondità nel terreno. I suoi artigli fecero sprizzare scintille, il suo dorso irto di aculei s’inarcò, e il masso si staccò e rotolò via, aprendo una breccia nel muro, in quel punto.
Dalle ombre sull’altro lato, si levò un grido molteplice, sommesso, simile al rumore del mare su una sponda incavata. La loro massa scura si slanciò verso il muro. Alder alzò lo sguardo e vide che l’oscurità stava scomparendo. Una luce si muoveva in quel cielo dove le stelle non si erano mai mosse, rapide scintille di fuoco in lontanaza, a Ovest.