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Poi delle mani gli si posarono sulle spalle, mani vive, forti e calde, e Alder si ritrovò nella propria stanza, con il guaritore proprio sulle sue spalle, e la luce fatua che brillava bianca attorno a loro. E nella camera, con lui, c’erano quattro uomini, non tre.

Il vecchio erborista si sedette sul letto di Alder e lo confortò un poco, perché tremava e singhiozzava. — Non posso farlo — continuava a ripetere, sempre senza sapere se stesse rivolgendosi ai maghi o ai morti.

Quando la paura e il dolore cominciarono a diminuire, lui si sentì terribilmente stanco, e guardò quasi senza interesse l’uomo che era venuto nella stanza. Aveva occhi color ghiaccio, capelli e pelle bianchi. Un uomo dell’estremo Nord, di Enwas o Bereswek, pensò Alder.

L’uomo chiese ai maghi: — Cosa state facendo, amici miei?

— Stiamo correndo rischi, Azver — rispose il vecchio erborista.

— Guai sul confine, strutturatore — disse l’evocatore.

Alder percepì il rispetto che avevano per quell’uomo, il sollievo che provavano per la sua presenza, mentre gli raccontavano brevemente quale fosse il problema.

— Se verrà con me, lo lascerete venire? — chiese lo strutturatore quando ebbero terminato e, voltandosi verso Alder, disse: — Non devi aver paura dei tuoi sogni nel Bosco immanente. E dunque non dobbiamo temerli nemmeno noi.

Tutti assentirono. Lo strutturatore annuì e scomparve. Non era lì.

Non era mai stato lì; era solo un’apparizione, una manifestazione incorporea. Era la prima volta che Alder vedeva all’opera i grandi poteri di quei maestri, e tale dimostrazione lo avrebbe spaventato se ormai non fosse stato incapace di stupirsi e provare paura.

Seguì il portinaio all’esterno, nella notte, nelle vie, oltre i muri della scuola, attraverso alcuni campi sotto un alto colle tondeggiante, e lungo un torrente che gorgogliava melodioso e sommesso nell’oscurità delle sue sponde. Davanti a loro c’era un bosco, con gli alberi coronati dalla luce grigia delle stelle.

Il maestro strutturatore si fece loro incontro, avanzando sul sentiero, identico a come era apparso nella stanza. Lui e il portinaio parlarono un minuto, quindi Alder lo seguì nel Bosco immanente.

— Gli alberi sono scuri — disse Alder a Sparviere — ma sotto gli alberi non c’è oscurità. C’è una luce… una luminosità, in quel luogo.

Il suo ascoltatore annuì, abbozzando un sorriso.

— Non appena arrivai là, capii di poter dormire. Avevo la sensazione di avere dormito fin dall’inizio, prigioniero di un sogno maligno, e di essermi finalmente svegliato, là, di essere veramente sveglio: quindi potevo dormire veramente. Lo strutturatore mi condusse in un posto particolare, tra le radici di un albero enorme, su un soffice tappeto di foglie cadute dall’albero, e mi disse che potevo coricarmi lì. E io lo feci, e dormii. Fu un sonno dolcissimo, di una dolcezza indescrivibile.

Il sole di mezzogiorno batteva intenso; entrarono in casa, e il vegliardo mise in tavola pane e formaggio e un pezzo di carne essiccata. Alder si guardò intorno, mentre mangiavano. La casa aveva solo quell’unica stanza rettangolare con la piccola alcova sul lato ovest, ma era ampia e arieggiata, una costruzione solida, con grandi assi e travi, un pavimento lucido, un capiente focolare di pietra. — Questa è una casa splendida — disse Alder.

— Vecchia. La chiamano la casa del vecchio mago. Non perché la occupi io, né per via del mio maestro Aihal che abitava qui, ma per via del suo maestro, Heleth, che insieme a lui placò il grande terremoto. È una buona casa.

Alder dormì ancora un po’ sotto gli alberi, con il sole che brillava su di lui attraverso il fogliame mosso. Anche il padrone di casa riposò, ma non a lungo; quando l’ospite si svegliò, sotto un albero c’era un grosso cesto di piccole susine dorate, e Sparviere era nel pascolo delle capre, intento a riparare una staccionata. Alder andò ad aiutarlo, ma il lavoro era già terminato. Le capre erano sparite da un pezzo.

— Non danno latte, adesso — borbottò il vecchio, mentre tornavano alla casa. — Non hanno nulla da fare, se non trovare nuove fessure per uscire dal recinto. Le tengo per esasperazione… La prima formula magica che ho imparato è stata quella per richiamare le capre andate a zonzo. Me la insegnò mia zia. Ora non mi serve più a nulla; ottengo lo stesso effetto che otterrei se cantassi alle capre una canzone d’amore. Meglio che vada a vedere se sono nell’orto del vedovo. Tu non conosci il tipo di stregoneria necessaria per far tornare a casa una capra, vero?

Le due capre marroni avevano proprio invaso un campetto di cavoli ai margini del villaggio. Alder ripeté la formula che Sparviere gli disse: "Noth hierth malk man, hiolk han merth han!".

Le capre lo guardarono con un misto di circospezione e sdegno e si allontanarono un poco. Delle grida e un bastone agitato nella loro direzione le indussero ad abbandonare il campo di cavoli e a raggiungere il sentiero, dopo di che Sparviere estrasse dalla tasca alcune susine. Promettendo, offrendo, blandendo, lentamente il vegliardo ricondusse le bestie ricalcitranti nel loro pascolo cintato.

— Sono strane creature — fece, chiudendo il cancello. — Non si sa mai come comportarsi con una capra.

Alder rifletté che non sapeva mai come comportarsi con quell’uomo, ma lo tenne per sé.

Quando furono di nuovo seduti all’ombra, l’uomo disse: — Lo strutturatore non è uno del Nord, è un karg. Come mia moglie. Era un guerriero di Karego-At. L’unico uomo, che io sappia, venuto a Roke da quelle terre. I karg non hanno maghi. Diffidano di tutta la magia. Ma rispetto a noi hanno conservato una maggiore conoscenza dei Vecchi poteri della terra. Quest’uomo, Azver, quand’era giovane, sentì parlare del Bosco immanente, e concluse che il centro di tutti i poteri della terra dovesse essere là. Così si lasciò alle spalle le sue divinità e la sua lingua nativa, e partì alla volta di Roke. Giunto alla nostra porta, ci disse: "Insegnatemi a vivere in quella foresta!". E noi gli insegnammo, finché non fu lui a cominciare a insegnare a noi… Così diventò il nostro maestro strutturatore. Non è un uomo cortese, però è fidato.

— Non ho mai avuto paura di lui — spiego Alder. — Per me era facile stargli vicino. Mi portava con sé nel folto del bosco.

Rimasero entrambi in silenzio, pensando alle radure e ai sentieri di quel bosco, alle sue foglie sotto il sole e la luce stellare.

— È il cuore del mondo — disse infine Alder. Sparviere guardò a est, verso le pendici del monte Gont, scure di alberi. — Andrò a passeggiare là — disse. — Nella foresta. Quest’autunno.

Poco dopo chiese: — Raccontami che consigli ti ha dato lo strutturatore, e perché ti ha mandato qui da me.

— Mi disse, mio signore, che del… della terra ferma, tu sapevi più di qualsiasi altro uomo, e dunque forse avresti capito cosa significhi il fatto che le anime di quel luogo vengano da me, supplicandomi di liberarle.

— Ti ha detto come pensa che sia accaduto?

— Sì. A suo avviso, forse mia moglie e io non eravamo capaci di separarci, solo di essere uniti. Pensa che non sia stata opera mia, ma forse di tutti e due insieme, perché ci attiravamo a vicenda, come gocce di argento vivo. Ma il maestro evocatore non era d’accordo. Secondo lui, solo un grande potere magico potrebbe violare così l’ordine del mondo. Poiché anche il mio vecchio maestro Sula mi ha toccato oltre il muro, l’evocatore ritiene che forse ci fosse in lui un grande potere magico rimasto nascosto o mascherato in vita, ma rivelatosi adesso.

Sparviere meditò alcuni istanti. — Quando vivevo a Roke — disse — avrei potuto condividere l’opinione dell’evocatore. Là non conoscevo potere più forte di quello che chiamiamo magia. Nemmeno i Vecchi poteri della terra, credevo… Se l’evocatore che hai conosciuto è l’uomo che penso, giunse a Roke da ragazzo. Il mio vecchio amico Vetch di Iffish lo mandò a studiare da noi. E lui non lasciò mai Roke. Questa è la differenza che c’è tra lui e Azver lo strutturatore. Azver ha vissuto come figlio di un guerriero fino all’età adulta, un combattente egli stesso, tra uomini e donne, nel folto della vita. Conosce per esperienza diretta questioni che i muri della scuola tengono all’esterno. Sa che gli uomini e le donne amano, fanno l’amore, si sposano… Dato che da quindici anni vivo fuori da quei muri, propendo a credere che quella suggerita da Azver sia la pista migliore. Il legame tra te e tua moglie è più forte della divisione tra la vita e la morte.