«Sì,» rispose York, «e questo è da considerarsi al di fuori della somma che sono disposto a pagare per acquistare la comproprietà della vostra linea di navigazione.»
«Quanto…» cominciò Marsh. Le labbra gli si seccarono. Le leccò nervosamente. «Quanto avreste intenzione di spendere per costruire questo nuovo battello, Mister York?»
«Quanto occorre?» chiese York tranquillamente.
Marsh sollevò una manciata di monete d’oro e le lasciò ricadere nello scrigno, facendosele scorrere tra le dita sonoramente tintinnati. Il luccichio di queste, pensò, ma non disse altro che, «Non dovreste portare con voi una somma simile, York. Ci sono canaglie che vi ucciderebbero per una sola di queste monete.»
«So proteggermi, Capitano,» replicò York. Marsh spiò lo sguardo dei suoi occhi e si sentì raggelare. Commiserò allora il ladro che avesse cercato di rubare l’oro di Joshua York.
«Fareste quattro passi con me? Lungo l’argine?»
«Non mi avete ancora dato una risposta, Capitano.»
«Avrete la vostra risposta. Prima andiamo laggiù. C’è una cosa che voglio farvi vedere.»
«Benissimo,» acconsentì York. Chiuse il coperchio dello scrigno ed il dolce luccichio giallo svanì dalla stanza, che d’improvviso sembrò angusta e tenebrosa.
La notte era fresca e densa d’umidità. Gli stivali dei due uomini riecheggiarono nelle strade oscure e deserte. Il passo di York, agile e aggraziato, quello di Marsh pesante e autoritario. York indossava una larga giacca da timoniere il cui taglio la faceva somigliare ad un corto mantello, e portava sul capo un alto cappello di castoro un po’ vecchiotto che proiettava lunghe ombre nel chiarore della mezza luna. Con occhi fiammeggianti Marsh scrutava i vicoli oscuri che si snodavano tra i magazzini di squallidi mattoni, e si studiava di esibire un aspetto solidamente e torvamente forte, sufficiente a tenere alla larga canaglie d’ogni sorta.
Una moltitudine di battelli erano allineati lungo l’argine; almeno quaranta, ormeggiati ai pontili d’attracco o alle barche da scarico. Neppure a quell’ora il lungofiume godeva di una pace completa. Cataste enormi di merci da carico disegnavano ombre nere nel chiarore della luna, e gruppi di scaricatori sfaccendati oziavano appoggiati a casse o a balle di fieno passandosi una bottiglia di mano in mano o fumando le loro pipe d’argilla. La luce brillava ancora dalle finestre delle cabine di una dozzina di battelli. Il Wyandotte, che navigava sul Missouri, era acceso e fumava vapore. Scorsero un uomo in piedi sull’alto ponte del Texas di un grande battello con le ruote laterali. Li stava guardando con curiosità. Abner Marsh e York passarono oltre; sfilarono davanti alla processione di battelli oscuri e silenziosi i cui alti fumaioli si stagliavano netti contro la volta stellata, simili ad una fila di alberi anneriti con le cime ingioiellate da bizzarre infiorescenze.
Finalmente il Capitano Marsh si fermò dinanzi ad un grande battello con le ruote a lato. Era un battello riccamente ornato, e sul ponte principale torreggiava una montagna di merci. Lo sbarcatoio era sollevato per evitare indesiderate intrusioni a bordo; la vecchia scialuppa logorata dalle intemperie gli dondolava accanto, strofinandosi sulla murata. Persino nel fioco lucore della mezza luna lo splendore di quel battello si mostrava con sfolgorante imponenza agli occhi dell’osservatore. Non c’era battello lungo l’argine che possedesse pari grandezza e superba fierezza.
«Sì?» disse York con voce sommessa e rispettosa. Quando in seguito il Capitano ripensò a quel momento, capì che probabilmente era stato proprio ciò che lo aveva spinto a compiere il passo — il rispetto nella voce di York.
«Ecco, questo è l’Eclipse,» disse Marsh. «Vedete, il nome è scritto lì, sulla ruota.» Indicò il punto con il bastone. «Riuscite a leggerlo?»
«Perfettamente. La mia vista notturna è ottima. Sicché, dite che questo battello è speciale?»
«Diavolo se lo è. Speciale, sì. È l’Eclipse. Tutti sul fiume, dal più giovane al più vecchio, lo conoscono. Ormai ha già fatto il suo tempo — è stato costruito nel ’52, cinque anni fa. Ma è ancora magnifico. Dicono che sia costato 375.000 dollari, e li vale tutti. Non c’è mai stato un battello più grande, più bello, più for-mi-da-bi-le di questo. Io me lo sono studiato con cura, ci ho viaggiato. So quello che dico.» Marsh indicò l’imbarcazione. «Misura 110 metri per dodici, e la grande sala è lunga 99 metri. Non s’è mai visto nulla di simile. A un’estremità c’è una statua d’oro di Henry Clay, e la statua di Andy Jackson si trova dalla parte opposta. E tutti e due si lanciano a vicenda occhiate fiammeggianti. Ci sono cristalli, argenti e vetri colorati che il Planters’ House non si sogna neppure; dipinti ad olio, cibi squisiti mai degustati, e gli specchi — oh, certi specchi. E questo è niente paragonato alla sua velocità.
«Laggiù, sul ponte di manovra, porta ben 15 caldaie. Ha una vogata di 3 metri e 30, ve lo dico per certo, e potete credermi che non c’è battello sul fiume che possa competere con l’Eclipse quando il Capitano Sturgeon lo fa filare a tutto vapore. Fa diciotto miglia all’ora controcorrente, e senza sforzo. Nel ’53 segnò il record di velocità nel percorrere il tratto da New Orleans a Louisville. Lo so a memoria quanto impiegò. Quattro giorni, nove ore, trenta minuti, e riuscì a battere il dannato A.L. Shotwell anticipandolo di cinquanta minuti. E l’A.L. Shotwell non è certo una lumaca.» Marsh si girò per fronteggiare York. «Avevo sempre sperato che un giorno il mio Lady Liz avrebbe potuto competere con l’Eclipse, superandolo in velocità o eguagliandolo, ma non avrebbe mai potuto, adesso lo so. So che m’illudevo, mi prendevo gioco di me stesso. Non possedevo il denaro che occorre a costruire un battello capace di tener testa all’Eclipse.
«Datemi voi quel denaro, Mister York, e avrete trovato un socio in affari. Questa è la mia risposta, signore. Volete metà della proprietà della Fevre River Packets ed un socio che mandi avanti la baracca in maniera discreta, senza ficcare il naso nei vostri affari? Ci sto. A patto che voi mi diate il denaro sufficiente a costruire un battello come questo.»
Joshua York fissò il grande battello con la ruota laterale. Quieto e silenzioso, dondolava tranquillo nell’oscurità, pronto a rispondere ad ogni sfida. York si rivolse ad Abner Marsh con un sorriso sulle labbra ed una fioca fiammella negli occhi tenebrosi. «Affare fatto,» fu tutto ciò che disse. E gli tese la mano.
Marsh si aprì in un sorriso sghembo scoprendo i denti rotti e sporgenti. La sua mano massiccia e carnosa si chiuse intorno a quella bianca e snella di York, e strinse. «Affare fatto, dunque,» disse ad alta voce ed impresse alla sua stretta tutta la potenza che occorreva a sorreggere, stringere e frangere, come sempre faceva quando concludeva un affare, al fine di saggiare la volontà ed il coraggio dell’uomo con cui stava trattando. E serrava con vigore, mollando la presa solo quando leggeva il dolore negli occhi del suo uomo.
Ma gli occhi di York rimasero limpidi, e la sua mano attanagliò quella di Marsh con una forza sorprendente. Con un vigore via via crescente, serrò quella mano, ed i muscoli sotto la pallida carne si arrotolarono e si tesero come molle di ferro, e Marsh inghiottì sonoramente e si sforzò di non gridare.