York abbandonò la presa. «Venite,» disse, dando a Marsh energiche pacche sulle spalle che lo fecero barcollare lievemente. «Abbiamo dei piani da fare.»
CAPITOLO SECONDO
Billy Tipton, detto la Serpe, giunse alla Borsa Francese che erano appena passate le dieci, ed assistette alla vendita all’incanto di quattro botti di vino, sette casse di merci solide e di un carico di mobili, prima che portassero gli schiavi. Restò a guardare in silenzio, i gomiti puntati sulla lunga balaustra di marmo che si estendeva per metà della rotonda, sorseggiando il suo assenzio méntre osservava gli encanteur vendere i loro lotti urlandone i pregi in due lingue. Billy la Serpe era un uomo scuro di carnagione, scarno come un cadavere, la lunga faccia equina sfregiata dal vaiolo contratto da ragazzo, i capelli castani, sottili e sfilacciosi. Sorrideva assai di rado, ed aveva gli occhi di uno spaventoso color ghiaccio.
Quegli occhi, quegli occhi freddi e pericolosi, erano la protezione di Billy la Serpe, la sua maggiore difesa.
La Borsa Francese era un luogo ove abbondavano sfarzo e grandezza, un luogo fin troppo sontuoso per i suoi gusti, e difatti egli non gradiva recarsi lì. Occupava la rotonda del St. Louis Hotel, sotto un’alta cupola dalla quale la luce del giorno si riversava sui palchi dei venditori e sulla platea degli offerenti in una sfolgorante cascata. La cupola aveva un diametro di buoni ventiquattro metri. Un alto colonnato cingeva la sala, formando gallerie all’interno della cupola. Il soffitto ornamentale mostrava elaborate decorazioni, strani dipinti tappezzavano i muri, la balaustra era di solido marmo, così pure il pavimento e i banchi degli encanteur. Alla sontuosa eleganza del luogo faceva esatto riscontro la raffinatezza degli avventori; ricchi proprietari di piantagioni a monte del fiume e giovani damerini creoli provenienti dalla città vecchia. Billy la Serpe provava una vera e propria ripugnanza nei confronti dei creoli. Detestava i loro ricchi paludamenti, i modi affettati ed altezzosi, gli occhi carichi di superbia e disprezzo. Detestava mescolarsi a loro. Erano focosi e collerici, dei veri attaccabrighe, facili ai duelli, e talora capitava che qualcuno tra i più giovani si ritenesse offeso da Billy la Serpe, dal modo in cui storpiava la loro lingua e guardava le loro donne, dalla sua spregevole, sciatta, presuntuosa americanità. Ma poi incrociavano il suo sguardo, quegli occhi dal pallore glaciale, occhi iniettati di cattiveria, che li fissavano insidiosamente. Ed allora, inevitabilmente, li sfuggivano, allontanandosi.
Se fosse dipeso da lui, sarebbe andato a comprare le sue negre alla Borsa Americana di St. Charles. Là i modi erano meno raffinati, si parlava inglese anziché francese e non si sentiva un pesce fuor d’acqua. La grandiosità della rotonda di St. Louis non impressionava Billy la Serpe, tranne che per la qualità delle bevande che vi si servivano.
Ad ogni modo, vi si recava una volta al mese, non potendo fare diversamente. La Borsa Americana era il luogo ideale per comprare un bracciante o una cuoca, scuri di pelle a piacimento, ma per comprare una ragazza da letto, una di quelle giovani bellezze meticce che Julian preferiva, bisognava andare alla Borsa Francese. Julian esigeva la bellezza, insisteva sulla bellezza. E Billy la Serpe eseguiva ciò che Damon Julian comandava.
Erano circa le undici quando l’ultimo vino fu portato via ed i venditori cominciarono ad esporre la loro mercanzia proveniente dai recinti di schiavi che si trovavano sulla Moreau, l’Esplanade e la Common Street; uomini e donne, vecchi e giovani, ed anche bambini, e tra essi, in numero sproporzionato, esemplari di pelle chiara e di bell’aspetto. Nonché intelligenti, come Billy sapeva, e probabilmente d’idioma francese. Furono fatti allineare lungo un lato della sala perché i clienti li ispezionassero, ed un buon numero di giovani creoli li passarano in rassegna sfilando davanti ad essi con passo vivace, scambiandosi frivoli commenti e valutando il campionario del giorno a distanza ravvicinata. Billy la Serpe rimase presso la balaustra ed ordinò un altro assenzio. Il giorno prima aveva visitato la maggior parte dei recinti e aveva dato un’occhiata a ciò che c’era da offrire. Sapeva, dunque, cosa voleva.
Uno dei banditori batté il martello sul banco di marmo, e istantaneamente i clienti cessarono di conversare e si girarono rivolgendogli la loro attenzione. Quello gesticolò ed una giovane donna sulla ventina salì barcollando un poco in cima ad un palchetto poco distante. Era una meticcia dagli occhi grandi, a suo mòdo graziosa. Indossava un abito di calicò ed aveva un nastro verde tra i capelli. Il banditore cominciò a decantarne le qualità profondendosi in lodi. Billy la Serpe osservava senza interesse mentre due giovani creoli lanciavano le loro offerte. Fu venduta infine per la somma di 1400 dollari.
Fu poi la volta di una donna più anziana, presentata come una valida cuoca, e quindi di una giovane madre con due figli, venduti tutti tre in blocco. Billy la Serpe assistette a parecchie altre vendite senza mai pronunziarsi. Era mezzogiorno e un quarto e la Borsa Francese era gremita di offerenti e spettatori quando il lotto che aveva scelto salì sul palco.
Si chiamava Emily, così disse l’encanteur. «Guardatela, signori,» farfugliò quello in francese, «guardatela soltanto. Quale perfezione! Erano anni che non veniva offerto un lotto simile, e molti anni passeranno ancora prima che se ne vedrà un’altra come lei.» Billy la Serpe non si sentì di dargli torto. A suo giudizio Emily poteva avere sedici anni, forse diciassette, ma possedeva di già le fattezze di una donna. In piedi sul palco di offerta, aveva un’aria un po’ spaventata, ma la spoglia semplicità del suo abito esaltava ancor più la sua amabile figura, e poi aveva un viso incantevole — grandi occhi, infinitamente dolci, ed una splendida carnagione caffellatte. A Julian sarebbe piaciuta.
Le offerte si rilanciarono con vivacità. I piantatori non avevano interesse a comprare un articolo simile, ma sei o sette creoli si accanirono con fervore nella gara per aggiudicarsela. Non v’era dubbio che gli altri schiavi avessero dato ad Emily un’idea di ciò ch’era in serbo per lei. Era bella abbastanza per potersi guadagnare la libertà, col tempo s’intende, e per essere mantenuta da uno di quegli zerbinotti creoli in una casetta di Ramparts Street, almeno fino a quando non avesse preso marito. Avrebbe partecipato ai Balli dei Meticci nella Sala da Ballo di New Orleans, con indosso vesti e nastri di seta, e sarebbe stata cagione di più di un duello. Le sue figlie avrebbero avuto la pelle ancor più chiara della sua, e sarebbero cresciute nella medesima agiatezza. Forse, in vecchiaia, avrebbe imparato ad acconciare i capelli o a dirigere una pensione.
Billy la Serpe sorseggiò il liquore, il volto irrigidito in una fredda espressione.
Le offerte svettarono. Alla quota di 2.000 dollari rimasero in gara soltanto tre offerenti. A quel punto uno di essi, un calvo dal colorito bruno, chiese che la ragazza si denudasse. Il banditore scoccò un secco comando, ed Emily si slacciò il vestito con fare circospetto e se lo sfilò di dosso. Qualcuno gridò un lascivo apprezzamento che suscitò uno scroscio di risa dal pubblico. La ragazza accennò un debole sorriso mentre il banditore sogghignava e rincarava con commenti personali. Le offerte ripresero.
A 2.500 dollari il calvo abbandonò la gara; d’altra parte aveva veduto ciò che bramava vedere. Restavano dunque due soli offerenti, entrambi creoli. Si inseguirono superandosi per tre volte consecutive, e fecero salire il prezzo a 3.200 dollari. Vi fu poi un’esitazione. Il banditore strappò un’ultima offerta al più giovane dei due: 3.300 dollari.
«Tremilaequattrocento,» disse calmo il suo avversario. Billy la Serpe lo riconobbe. Era un giovane snello, un creolo di nome Montreuil, famigerato scommettitore e duellatore.