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E in questo modo arrivavamo a tredici mesi addietro, quando nella mia vita c’è stata una brusca svolta.

Era mio amico un certo Rod Cameron, più o meno della mia età, che lavorava come cronista al Kansas City Times. Una sera, mentre bevevamo birra in camera sua, gli parlai per caso della noia inenarrabile della vita in banca.

Mi disse: «Se la banca non ti piace, perchè non ne esci mentre sei ancora in tempo? Non hai ancora trent’anni e sei libero e solo. Sei abbastanza intelligente. Che cosa ti piacerebbe fare?»

«Il cronista,» risposi. Non avevo esitazioni in proposito: lo avevo sempre invidiato per il suo lavoro, anche se tutti e due guadagnavamo più o meno lo stesso. «Ma è un sogno impossibile. I giornali non assumono come cronista chi non abbia già una pratica precedente. No, a meno che non si siano frequentati i corsi di giornalismo, cosa che non ho fatto. O a meno che tu non sia abbastanza giovane da cominciare come correttore di bozze o simili, e non assumerebbero mai come correttore di bozze un ventottenne, sia pure disposto a lavorare per lo stipendio che la qualifica comporta.»

Annuì. «Hai ragione, per ciò che riguarda i giornali di città. Ma i giornali di provincia non riescono qualche volta a trovare gente in gamba e non guardano troppo per il sottile. Naturalmente, dovresti cominciare con uno stipendio molto inferiore a quello che guadagni ora, Bob, ma se ci sai fare, non ti riuscirebbe poi molto difficile trovarti un posto decente.»

«Quanto tempo ci vorrebbe?» chiesi. Mi interessava più questo che non la diminuzione di stipendio alla quale avrei dovuto sottostare. Improvvisamente mi ero reso conto che si trattava di una cosa seria, non di un’idea campata in aria.

«Non saprei, dipende dalla tua capacità e dalla tua applicazione al lavoro. Io ho cominciato con i tuoi stessi titoli di studio: due anni di università, senza corsi di giornalismo. Mi ero iscritto ai corsi tecnici, ma mi ero accorto che non erano pane per i miei denti. E non avevo nemmeno una passione particolare per il giornalismo; ho incominciato a cercare un posto e mi è capitato di entrare in un giornale di provincia. Ma il lavoro mi piaceva e me la sono sbrigata bene; dopo meno di un anno ho trovato un posto in un quotidiano di Topeka. Due anni laggiù e sono diventato cronista, il che mi ha permesso di trasferirmi qui. La prossima tappa sarà magari New York. Ho già fatto domanda a due giornali. Naturalmente, ho cominciato prima di te, ma si tratta di cinque anni soltanto, e questi non fanno una grande differenza perchè tu, essendo più maturo, potresti far carriera molto più in fretta di me.»

«O magari potrei fare un buco nell’acqua.»

«O magari potresti fare un buco nell’acqua. Questo dipende da te. Stammi a sentire, però: parli sul serio?»

«Certo che parlo sul serio. Ma come devo fare? Procurarmi un elenco dei giornali di provincia e cominciare a scrivere centinaia di lettere?»

«Niente affatto. Pubblica un’inserzione sull’Editor and Publisher, il giornale di categoria per la stampa. Una inserzione lunga abbastanza per presentarti, senza nascondere la tua età e la tua mancanza di qualifiche. Non dimenticare però i tuoi due anni di università; i giornali di provincia non abbondano di uomini con un’educazione universitaria, sia pure ridotta a metà.»

«Andrebbe bene un testo che dicesse, più o meno: “Giovane ventottenne, due anni università, cerca modo di impratichirsi di giornalismo in piccolo quotidiano provincia”?»

«Qualcosa del genere. E aggiungi: “Disposto lavorare ragionevole periodo di tempo a stipendio minimo” o roba del genere, in modo che nessuno possa pensare che tu sia pronto a lavorare gratuitamente per imparare il mestiere.»

«Dove posso trovare una copia dell’E. and P. per l’indirizzo?»

«Ce n’è una su quel tavolo. Prendila pure, perchè a me non serve.»

La presi quando me ne andai, un’ora più tardi. Ma non mandai l’inserzione quella sera e nemmeno quella settimana; era un passo di una tale importanza, un gioco così grosso che preferii rifletterci sopra un poco. Naturalmente, la pubblicazione dell’inserzione non mi avrebbe impegnato, ma non volevo spedirla a meno che non fossi deciso a prendere in seria considerazione le proposte che mi sarebbero potute arrivare.

Il lunedì seguente Rod Cameron mi telefonò, ma non per chiedermi se avevo mandato l’inserzione. Era eccitatissimo: aveva ricevuto una offerta dal Philadelphia Bulletin - non era ancora New York, ma qualcosa di molto vicino, e si trattava di un giornale importante — con uno stipendio di trenta dollari superiore a quello che riceveva a Kansas City. Sarebbe partito alla fine della settimana.

Fu questo a decidermi. Mandai l’inserzione. E cominciai a seguire corsi serali di giornalismo, mentre aspettavo di vedere che cosa sarebbe saltato fuori. Se non avessi ricevuto risposta, avrei insistito. Di lì a poco mi spettava un periodo di ferie; ne avrei approfittato per fare un giro e per interrogare tutti i direttori di giornali delle cittadine che avrei attraversato. E intanto continuavo a studiare, per imparare i primi rudimenti del mestiere.

L’inserzione mi procurò due risposte.

Una era del direttore di un quotidiano di una cittadina del Tennessee, e le proposte non erano certo allettanti: niente stipendio e pensione gratuita a casa sua fino a quando non fosse stato in grado di rendersi conto di quanto effettivamente valevo.

L’altra appariva un poco più promettente. L’aveva scritta un certo Sidney M. Hetherton, proprietario e direttore di un settimanale di Mayville, Arizona. Mi offriva trentacinque dollari la settimana, purché mi impegnassi, come diceva l’inserzione, a lavorare a quello stipendio per un ragionevole periodo di tempo. Perchè, diceva francamente, gli sarei stato di scarso aiuto da principio. Aveva una tiratura limitata, affermava, e, dato che lui solo lavorava al giornale (il che avrebbe dovuto mettermi in sospetto) avrei avuto modo di imparare il mestiere meglio che non in una grande azienda.

Lo stipendio non era peggiore di quello che avevo immaginato per un principiante. Sapevo che con quella cifra sarei stato in grado di vivere, perchè ci avevo già vissuto mentre pagavo i debiti di mio padre. Era poco meno della metà di quello che guadagnavo come impiegato di banca, ma…

Cercai Mayville su un atlante. Popolazione, duemila e cinquecento: una cittadina un poco troppo piccola per i miei gusti. Ma non mi sarei fermato là a lungo. E quando guardai sulla cartina geografica vidi che Mayville era a un’ora di macchina da Bisbee e non molto distante da Douglas, due città abbastanza grandi dove sarei potuto andare a passare la sera se mi fossi annoiato troppo. E Tucson, una cittadina che mi piaceva molto e dove avevo passato una volta una settimana, era solo a tre ore di macchina, troppo distante per andarci per una sera ma non certo da trascurare per i miei giorni di libertà.

Mi ci volle un’ora per arrivare a una decisione, poi telegrafai a Sidney Hetherton per dirgli che accettavo la sua offerta e che mi sarei presentato di lì a dieci giorni, perchè dovevo calcolare una settimana di preavviso prima di licenziarmi dalla banca.

E dieci giorni più tardi, nelle prime ore del pomeriggio, entravo in Mayville. Prima di andare in centro mi fermai a un motel, il La Fonda Motel, per ripulirmi un poco e per cambiarmi. Poi puntai dritto sul Sun. L’ufficio, con la tipografia sul retro, era più o meno quello che avevo immaginato: né più sporco né più pulito della maggior parte degli uffici dei settimanali di provincia.

Ma Hetherton era più pulito e più ordinato della maggior parte dei direttori di giornali di provincia. Sulla cinquantina, piuttosto magro, era alto poco più di un metro e cinquanta e doveva pesare, al massimo, una cinquantina di chili. Aveva capelli brizzolati alle tempie e piuttosto radi sul cranio, ma pettinati alla perfezione. Portava occhiali bifocali cerchiati d’oro. A prima vista, non mi riuscì né simpatico né antipatico. Durante quel primo colloquio, si comportò in modo asciutto e distaccato, ma non ostile.