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Con Cass invece parlò. Dopo tutto, Cass è un inserzionista, ed Hetherton è sempre cordiale con gli inserzionisti, nei limiti che il suo carattere gli permette. La pubblicità di Cass occupa solo due pollici di colonna, ma compare cinquantadue volte all’anno, e questo significa qualcosa. Non so a che cosa serva questa pubblicità; a Mayville tutti sanno dov’è il bar di Cass, e ci viene chi preferisce la tranquillità al rumore. E i turisti non leggono la pubblicità del settimanale locale prima di decidere dove devono andare a bere qualcosa. Ma quella inserzione rendeva Hetherton benevolo nei suoi confronti, e quando siete in commercio in una cittadina la benevolenza del redattore capo del giornale locale ha un certo valore.

Cass preparò per Hetherton un doppio liscio con ghiaccio. Era sempre così, e in questo modo Cass non aveva neppure bisogno di chiedere che cosa il suo stimato cliente desiderava. Hetherton non è un bevitore. Per quello che ne sapevo, beveva una sola volta per settimana: quel doppio con ghiaccio ogni giovedì, quando il giornale era andato in macchina. Ma per lui si trattava di qualcosa di simile a un rito, anche se non ci metteva mai più di dieci minuti ad esaurirlo.

Come era un rito la consegna del giornale. Ne aveva sempre tre copie ancora fresche di inchiostro, e ne dava una a Cass e una a me, se c’ero ancora quando arrivava; non so che cosa facesse poi della mia quando non mi trovava. Anche allora ce le consegnò, e tutti e due lo ringraziammo. Io misi la mia in tasca, Cass la sua dietro il banco.

Dieci minuti dopo Hetherton uscì. Non era mai stato un conversatore formidabile, ma quella sera si era superato: dopo aver salutato Cass non aveva più aperto bocca. Uscendo, augurò la buona notte, anche se se ne ricordò solo quando aveva ormai passato la soglia.

Poco dopo anche la coppia nell’altro scomparto se ne andò, ed io e Cass restammo soli. Indicai con un cenno del capo il giornale che egli aveva messo dietro al banco e dissi: «Siete curioso di leggere quel giornale, vero, Cass? Per quello che riguarda Amy, naturalmente. Fate pure se ne avete voglia; a me non importa.»

Rispose: «Posso aspettare. Che cosa interessano i particolari? Preferisco chiacchierare. Stavamo parlando della professione del barista. È una professione che dà da vivere, pure ha un grosso punto nero che è rappresentato dagli alcolizzati. La percentuale non è alta, ma… diavolo, non si possono mettere fuori legge i liquori solo perchè fanno male a qualcuno.»

«Hanno provato una volta a metterli fuori legge. Non ha funzionato.»

«E non funzionerà mai. Credo che ci siano traffici peggiori.»

«Lo spaccio degli stupefacenti, per esempio,» insinuai.

Avevo scherzato, ma egli mi prese sul serio. «Già, gli stupefacenti sono il diavolo. L’alcool fa male solo a qualcuno, ma gli stupefacenti…» Scosse la testa.

«A proposito di stupefacenti, Cass, non si sono mai verificati qui casi del genere, da quando sono arrivato. Avevo pensato che, con il confine così vicino, le cose andassero diversamente. O mi sbaglio?»

«Il contrabbando esiste, con ogni probabilità, e così può darsi che i carichi passino da qui diretti chissà dove. Ma, da quanto ho visto, qui non esistono né spaccio né consumatori. Un paio d’anni fa, prima che voi arrivaste, un tale di Mextown aveva deciso di spacciare eroina. Chico gli è piombato addosso, mani e piedi, e quel tale si è buscato una brutta condanna. No, credo che non ci sia traffico di stupefacenti qui.» Cass bevve un sorso dal suo bicchiere. «Dopo cinque anni a Las Vegas sono in grado di individuare un drogato a un miglio di distanza. E ne ho notato qualcuno nei miei cinque anni trascorsi qui, ma si trattava di turisti di passaggio, non di gente del posto.»

«Niente male.»

«Già. Ma aspettate un momento prima di mettervi in testa una idea sbagliata: io parlo di stupefacenti veri e propri: eroina, cocaina, morfina… la polverina bianca, insomma. Qui circola qualche sigaretta alla marijuana, specie a Mextown. Dal punto di vista tecnico, è uno stupefacente anche la marijuana, perchè è compresa nel Narcotic Act. Ma non si tratta di una droga che dà assuefazione, e, a meno che non si esageri…»

Non terminò la frase, perchè entrarono alcuni clienti ed egli dovette andare a servirli. Ma non me ne importava perchè, di lì a poco, sarei dovuto andarmene: era quasi mezzanotte.

Un minuto dopo comparve Charlie Sanger. «Salve, Bob, come va?» Si mise a sedere accanto a me ed appoggiò al banco un pacco con qualcosa dentro.

«Bene,» risposi. «Finito per stanotte, o è soltanto una pausa?»

«Né una cosa né l’altra. Mac mi ha mandato a prendere dei sandwich.» Indicò il pacco. «E un poco di birra in ghiaccio per mandarli giù. Credo che lui e lo sceriffo siano decisi a fermarsi ancora per un poco.»

«Qualcosa di nuovo?»

«Niente di importante. Mac è stato chiamato da Kansas City. L’indirizzo della patente era quello di una casa d’affitto, e Amy aveva abitato là per circa un anno, fino al mese scorso, cioè fino a quando è partita per venire qui.»

«Hanno parlato con la padrona di casa?»

«Sì, ma non ne hanno ricavato molto. C’è una cosa però: non è capitata a Mayville per caso e poi ha deciso di fermarsi. Partendo, ha lasciato come indirizzo per l’inoltro della sua corrispondenza: fermo posta, Mayville.»

«E questo significa anche che non cercava di scomparire clandestinamente da Kansas City.»

«Già. Vediamo un po’… c’è altro? Oh, sì, per quello che ne sapeva la padrona di casa, non aveva parenti. Salvo un ex marito, che, secondo la padrona di casa, doveva stare a Seattle, ammesso che si possa considerare parente un ex marito.»

«Amici?»

«Sono riusciti ad avere qualche nome e qualche indirizzo dei posti che frequentava. Controlleranno tutto domani. Ed hanno anche guardato se aveva precedenti penali, ma era stata soltanto arrestata due volte perchè sorpresa a guidare in stato di ubriachezza.»

Cass tornò dietro al banco, Charlie gli chiese tre bottiglie di birra in ghiaccio, ed io augurai la buona notte a tutti e due ed uscii.

Andai a ritirare la macchina nello spiazzo dietro l’ufficio del Sun, e a mezzanotte in punto mi fermavo davanti alla centrale telefonica. Ad aspettare la mia gioia, il mio amore, la mia fidanzata. Non la mia fidanzata ufficiale: era stata lei a sconsigliarmi di annunciare il nostro fidanzamento. E nemmeno mi aveva permesso di comperarle un anello; quando ne avevo parlato, ella, con molto buon senso, aveva scartata l’idea, perchè ormai sapeva già della mia situazione finanziaria e del mio stato di schiavitù, che allora doveva durare ancora un anno e mezzo, nei confronti di Hetherton.

Sì, se avete dimenticato il nome, Doris era la ragazza che era passata davanti alla vetrina di Cass il giorno del mio arrivo a Mayville, la ragazza il cui ricordo era stato uno degli elementi che mi avevano spinto ad accettare l’offerta di Hetherton. Ma non era stato un amore a prima vista, ammesso che una cosa del genere esista. Allora era stata soltanto una ragazza maledettamente graziosa che passava per caso per strada.

Per essere sincero, l’avevo praticamente dimenticata (ed avevo dimenticato il suo nome, che Cass mi aveva detto) durante il mio primo mese di soggiorno, un mese particolarmente duro perchè dovevo imparare un lavoro per me assolutamente nuovo; non avevo avuto né tempo né voglia di pensare ad appuntamenti. Le sere in cui non dovevo recarmi a qualche riunione — non avevo ancora imparato il trucco di ricavare l’articolo dagli appunti o dalle minute della segretaria — mi chiudevo di solito in camera mia o a studiare i miei libri di giornalismo o a leggere un romanzo per riposarmi e rilassarmi. La mia vita sociale consisteva in qualche visita da Cass o al Filone, dove mi trattenevo il tempo sufficiente a buttare giù un paio di bicchieri.

Poi avevo rivisto Doris. Era stato a una riunione del gruppo giovanile della Chiesa Presbiteriana. Di solito le riunioni del genere non ci interessano — c’è un limite anche agli interessi locali del Sun - ma quella volta un oratore dal nome abbastanza noto teneva una conferenza sui rapporti razziali, ed Hetherton, che sia benedetto una volta tanto, mi aveva ordinato di andarci.