Выбрать главу

Cominciavo ormai a conoscere diversa gente in città, compresi alcuni dei presenti, e, quando vidi Doris, manovrai in modo da farmi presentare al termine della conferenza. Ma si trattò solo di una presentazione, perchè ella era in compagnia di una donna più anziana che, come seppi più tardi, era la sua padrona di casa (anche Doris viveva in una stanza d’affitto, ma dalla parte opposta della città); la padrona di casa aveva una macchina, e così la mia offerta di riaccompagnarle a casa cadde nel vuoto.

Ma questa volta non mi dimenticai di lei. E nemmeno fui così sciocco da tentare di fissarle un appuntamento per telefono quando la nostra conoscenza non era, si può dire, ancora cominciata.

Misi invece a punto un piano machiavellico. Ricordai come Cass mi aveva detto che la ragazza lavorava ai telefoni, e convinsi Hetherton a farmi scrivere un pezzo sul funzionamento del centralino locale. La mia idea non lo entusiasmò fino a quando non gli dissi che stavo cercando di scrivere un racconto e che la mia visita sarebbe avvenuta di venerdì, il mio giorno di riposo, di modo che non avrebbe perduto nulla anche se avesse deciso di non pubblicare il mio articolo.

Andai al centralino il venerdì seguente per parlare con il direttore. Una delle prime domande che gli rivolsi fu quella che riguardava i turni delle ragazze. Tre turni, mi rispose: un turno di giorno dalle otto fino alle quattro, un turno intermedio fra le quattro e la mezzanotte e un turno notturno dalla mezzanotte alle otto. A nessuna delle ragazze piaceva il turno intermedio o quello notturno e così tali turni venivano coperti in rotazione.

Dissi: «Mi piacerebbe parlare con una delle vostre signorine per sentire la sua versione. Mi sembra di conoscerne già una: Doris Jones. In che turno lavora questa settimana?»

«È in servizio adesso e ci resterà fino alle quattro. Ma oggi abbiamo molto da fare. Se l’intervista richiede molto tempo…»

«Può darsi. Ma, se me la chiamate per un paio di minuti, ci metteremo magari d’accordo per un colloquio al termine delle ore di lavoro.»

Chiamò Doris. Ed ella si ricordava di me, grazie a Dio, e mi evitò in questo modo la prova imbarazzante di rammentarle davanti al direttore come ci eravamo già conosciuti. E quel brav’uomo spiegò a Doris che cosa volevo e praticamente mi fissò un appuntamento con lei. O almeno le chiese se era libera di parlare per un poco con me dopo le quattro, ed a me capitò soltanto di dare l’ultimo tocco, suggerendo che forse avrebbe preferito andare a casa prima e cenare con me più tardi: in tal modo avremmo potuto combinare affari e piacere, chiacchierando mentre mangiavamo. Ella esitò, o finse di esitare, per un momento, ed alla fine accettò.

La portai al Gabbiano. Non solo perchè è il miglior ristorante della città, ma anche perchè è il solo locale di Mayville che ha la licenza per generi alimentari e per liquori, e pensavo che tanto valeva sapere subito se avrebbe preso un cocktail con me prima di cena. Dopo tutto, di lei sapevo soltanto che era bella, che faceva la telefonista e che era presbiteriana. Era questa terza caratteristica a preoccuparmi. Molti presbiteriani sono astemi, e, se non ho pregiudizi contro gli astemi, non mi va certo l’idea di alimentare nei loro confronti emozioni sentimentali. Le emozioni sentimentali possono portare al matrimonio, e chi è convinto che un poco d’alcool rappresenta uno dei piaceri della vita non può certo essere felice con una crociata della temperanza.

Ma le mie preoccupazioni erano inutili. Doris accettò il primo martini senza discussioni e il secondo con un minimo di insistenza. E fumava. Mi sentivo molto più tranquillo, e cominciammo a chiacchierare. Provammo una simpatia reciproca fin da principio, e prima che il primo appuntamento terminasse avevo già fissato con lei il secondo.

Nel giro di pochi mesi arrivammo a conoscerci abbastanza bene, ed eravamo sul punto di innamorarci a vicenda. Le dissi quasi tutto di me; può darsi che trascurassi qualcosa, certo, ma dopo tutto avevo ventotto anni, e lei era certo abbastanza intelligente da capire come alcuni particolari che mi riguardavano dovevano essere lasciati da parte.

Può darsi che mi sbagli, ma credo che lei non mi abbia nascosto nulla di sé, sempre nel senso a cui alludevo prima, bene inteso. E quello che seppi di lei, non tutto in una volta, ma a poco a poco, mi diede la risposta alle due domande che mi avevano lasciato perplesso. Primo: che cosa faceva una così bella ragazza a Mayville quando altrove avrebbe sicuramente avuto migliori probabilità di fare carriera o di trovare un marito. Secondo: come mai, essendo la più bella ragazza della città, era ancora, a ventitré anni, non solo libera ma anche senza fidanzato.

Non era nata a Mayville, ma ci era venuta a sette anni, quando suo padre aveva accettato il posto di insegnante alla scuola superiore. Il padre, almeno secondo Doris, era stato non solo un uomo meraviglioso, ma anche un vero studioso ed un brillante maestro. Prima di venire a Mayville era stato professore in una università dell’Est. Due circostanze lo avevano giocato e lo avevano costretto ad accettare un posto al disotto delle sue capacità.

In gioventù, infatti, egli era stato un acceso liberale, un poco più a sinistra di Henry Wallace. Non era mai stato comunista, ma aveva scritto diversi articoli per periodici sinistroidi ed aveva dato il proprio nome a diverse organizzazioni che, innocentemente altruistiche nei loro scopi originari, erano in breve cadute sotto il dominio comunista, con la conseguenza di essere definite sovversive. Gli articoli, in particolar modo, avevano richiamato sul suo nome l’attenzione del comitato del Congresso, e questo gli era costato il posto.

Quasi contemporaneamente sua moglie, la madre di Doris, aveva incominciato a soffrire di spaventose emicranie da sinusite. Più di un medico aveva consigliato di portarla in un clima tiepido e asciutto, preferibilmente nella Arizona del Sud. Il padre di Doris si era affrettato ad accettare il miglior posto che gli era stato offerto nella zona, per quanto misero potesse essere lo stipendio. Non era mai riuscito a migliorare ed era morto quando Doris aveva diciassette anni e frequentava il terzo corso della scuola superiore.

Doris aveva dovuto troncare gli studi per provvedere alla madre e a se stessa. La madre era ormai quasi invalida, non per la sinusite, che era guarita da anni, ma per un raro tipo di anemia contro la quale la medicina non poteva nulla. Ma la madre era vissuta fino a un anno e mezzo prima, e quando era morta aveva lasciato in eredità a Doris solo un elenco interminabile di debiti. Non si trattava di una somma ingente come quella che avevo dovuto pagare io, ma era pur sempre qualcosa, e solo allora ella aveva tacitato tutti e cominciava a mettere da parte quel poco che era possibile mettere da parte a Mayville, in modo da potersene andare. O meglio, tale era stata la sua intenzione fino a quando non avevamo stabilito di sposarci. Ora era decisa a rimanere fino a quando il mio impegno non fosse esaurito; poi, quando avessi trovato un posto altrove, mi avrebbe seguito e ci saremmo sposati non appena fossi stato sicuro del mio nuovo lavoro ed avessi avuto la certezza di guadagnare abbastanza per mantenere tutti e due.

Seppi anche come mai, a ventitré anni, era ancora libera e senza fidanzato, o almeno lo era stata fino a quando non ero entrato in scena io. Non mi spiegò mai esplicitamente le due ragioni di ciò, ma non mi fu certo difficile intuirle.

In primo luogo, era una «buona» ragazza. Quelli che pensavano solo a divertirsi non sprecavano tempo e denaro con ragazze che non permettevano nemmeno una piccola carezza un poco audace.

La seconda ragione era più complessa, ma può essere riassunta in poche parole: presto o tardi, ella si era annoiata con i pochi uomini che aveva frequentato perchè si era accorta di non avere interessi in comune con loro. A lei piacevano i libri, la musica, la filosofia, la psicologia, la pittura, e doveva di conseguenza trovarsi a disagio in un ambiente che impazziva soltanto per il rugby, il calcio ed altri sport altrettanto rudi e violenti.