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Diedi una occhiata al chilometraggio e giunsi alla conclusione che ci eravamo allontanati abbastanza. Ma, prima di uscire dalla strada e fermarmi, feci descrivere alla macchina un semicerchio, in modo da guardare verso la città e da essere in grado di vedere chi veniva da quella parte.

Cinsi con un braccio le spalle di Doris e me l’attirai vicino, anche se sapevo che avremmo combinato ben poco; la paura di prima, secondo me, era stata sufficiente a soffocare per quella sera i nostri umori romantici. Ma mi sbagliavo, mi sbagliavo di grosso. Doris, la mia bella Doris, mi si strinse contro, tutta tremante e bisbigliò: «Oh, Bob, ho avuto una paura terribile laggiù. Abbracciami forte, baciami.»

Nei quindici minuti che seguirono non combinammo il patatrac, ma ci andammo molto vicini, più vicini di quanto non ci fossimo mai andati. Poi Doris si scostò ed andò ad accoccolarsi in fondo al sedile. Respiravamo tutti e due affannosamente. Ma ella bisbigliò: «Caro, non possiamo… non dobbiamo. E poi, deve essere spaventosamente tardi. Farai meglio a riaccompagnarmi a casa. Ti prego.»

Sapevo che parlava sul serio, e non cercai nemmeno di riabbracciarla. Ma dissi: «D’accordo per questa sera, cara. Ma non posso aspettare per tutto un anno, un anno sottratto alla nostra vita. Non possiamo cambiare parere e sposarci subito, o al più presto? Né io né te vogliamo che tu continui a lavorare dopo il matrimonio, ma… si tratterebbe di un anno soltanto. Se al termine di un anno non riesco ad ottenere un posto più redditizio in un giornale, se l’offerta di Tom Acres non è più valida, bene posso sempre tornare a lavorare in banca, a Kansas City; ti piacerebbe vivere là, e che io guadagnassi a sufficienza per tutti e due?»

«Ma… è precisamente quello che non voglio che succeda. Voglio che tu diventi giornalista. E lo diventerai, se non facciamo sciocchezze.»

«Voglio diventare giornalista, ma voglio soprattutto te. E poi, tutto andrà per il meglio. Fra un anno, se non a Bisbee, potrò trovare un posto in un altro giornale che mi pagherà abbastanza perchè voglio essere in grado di mantenere me e te. Ma… devo averti, Doris. Rispondi di sì, ti prego.»

«Non costringermi a prendere una decisione stanotte, caro. Desidero rispondere di sì, ma… Ne parleremo un’altra volta, quando saremo più calmi.»

«D’accordo. E adesso sarà meglio che ti accompagni a casa. È molto tardi. Ma voglio un altro bacio prima… e ti prometto che terrò le mani a posto.»

Tornò a scivolarmi accanto.

Riaccesi di malavoglia il motore e rientrai sulla strada. Avevamo stabilito di non parlare più di noi per quella sera, e ricordai l’altra domanda alla quale mi sarebbe piaciuto di sentirla rispondere.

«Doris, abiti qui da molto tempo, come Herbie. Devi saperla lunga su di lui, sia pure per sentito dire. Quando lo hai conosciuto?»

«Credo di non averlo mai precisamente conosciuto, Bob. Sapevo chi era e sentivo parlare di lui. Ma non ci siamo mai rivolti la parola; non so neppure se sa chi sono o meno… anche se probabilmente lo sa, ora che ci penso.

«Vediamo un poco. Avevo sette anni quando sono arrivata qui con papà e ho cominciato a frequentare la seconda. Herbie frequentava ancora i corsi allora; doveva avere quattordici anni, il che significa che adesso ne ha trenta. Era in quarta, perchè aveva ripetuto due o tre volte i primi tre corsi. E credo fosse la seconda volta che faceva la quarta.

«Papà era alla scuola superiore e non ha mai avuto Herbie come allievo, ma una volta gli ha parlato e lo ha sottoposto a qualche prova. È giunto alla conclusione…»

«Un momento. Come è stato possibile ciò, se non frequentava la sua scuola?»

«Papà aveva scritto una volta un articolo sui ragazzi a sviluppo mentale ritardato. Il preside delle elementari lo ha saputo e ha pregato papà di sottoporre Herbie a qualche prova e di dirgli poi che cosa sarebbe stato possibile fare. A quanto pareva, nemmeno quell’anno sarebbe stato promosso dalla quarta, e forse non sarebbe stato promosso mai. E non è simpatico avere in classe un ragazzone di quattordici anni, grande e grosso, assieme a bambini normali di molti anni più giovani di lui.

«Papà lo ha sottoposto ad alcune prove e gli ha parlato. Poi ha riferito al preside delle elementari che Herbie aveva una età mentale di nove anni circa, cioè di cinque anni inferiore a quella della sua età reale. Secondo lui, l’intelligenza sarebbe migliorata di qualcosa negli anni a venire, ma non di molto. A maturità raggiunta, avrebbe avuto l’età mentale di un ragazzo di dieci anni, forse di undici anni. Un deficiente, insomma. Non un deficiente completo, però, per il quale l’età mentale corrisponde ai sette o otto anni.

«Ha raccomandato che Herbie venisse esentato dagli impegni scolastici, se fosse riuscito a trovare un lavoro o se si fosse trovato un lavoro adatto. La scuola sarebbe stata inutile per lui; gli aveva già insegnato a leggere ed a scrivere, ed aveva già fatto tutto quanto era possibile per aiutarlo. Ha detto che non era certo il caso di farlo ricoverare, perchè era perfettamente sano. E ha detto che la maggior parte di coloro che avevano l’età mentale di Herbie riuscivano a sistemarsi in maniera soddisfacente nella vita, si guadagnavano da mangiare con quei lavori semplici o puramente manuali che erano in grado di svolgere.»

«C’è qualcuno che si prende cura di lui?»

«A quell’epoca, sì, qualcuno c’era. Viveva ancora sua madre, ed aveva anche un fratello maggiore. Ora la madre è morta e il fratello si è trasferito altrove, ma Herbie riesce a sbrigarsela egualmente.»

«Si è mai trovato coinvolto in qualche guaio?»

«Niente di grave. Una volta, quando aveva vent’anni, c’era un tale che spiava le coppiette alla periferia della città, e non ci è voluto molto a scoprire che questo tale era Herbie. Ma sì trattava di una semplice e naturale curiosità sessuale, e, fino a quando non gliel’hanno detto, non sapeva neppure che non si doveva guardare dai finestrini delle macchine in sosta. Lo hanno ammonito, e da allora non è più ricaduto.»

«Fino a qualche settimana fa… la finestra di Amy.»

«Non si può chiamare spiare quello. Stava lavorando davanti alla finestra, e, date le circostanze, mi sembra che sia stato più che naturale per lui guardare. Che cosa avresti fatto tu?»

«Lasciamo perdere quello che avrei fatto io. Non sono un deficiente. Ma forse quello che ha visto guardando dalla finestra di Amy gli ha ridato il gusto di spiare. Pensa un momento a stasera. Forse ha creduto che c’era qualcosa da vedere in una macchina ferma.»

«Se era Herbie, Bob. Ma non ne sei sicuro. E, in ogni modo, non ha fatto niente. È scappato non appena sei sceso dalla macchina. È un individuo innocuo, di questo sono certa.»

Mi spiaceva di non avere anch’io la stessa certezza, dopo le minacce che mi aveva rivolto. Ma non volevo che Doris si spaventasse più di quanto si era già spaventata.

«Dove abita Herbie adesso?»

«A casa della signora Wayne… sai dov’è?»

«La vedova di Robert Wayne? No, il suo nome compare sul giornale ogni tanto, ma non so dove abiti.»

«Proprio su questa strada, in periferia; ci passeremo davanti fra poco. Vive sola. Nella casa, bene inteso; nel cortile c’è una baracca, ed ha permesso ad Herbie di sistemarsi là dentro. E lui, per pagarle l’affitto, le sbriga qualche lavoro. È una sistemazione vantaggiosa per tutti e due, perchè in casa c’è un telefono. Quando qualcuno ha bisogno di Herbie per qualcosa, telefona alla signora Wayne, la quale, a sua volta, avverte Herbie. Ecco, è quella la casa, anche se adesso è troppo buio per vederla.»