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«Herbie è grande e grosso,» osservai. «Non fa scandalo una sistemazione del genere?»

«Nessuno scandalo. La signora Wayne ha più di sessant’anni. E sarebbe al disopra di ogni sospetto, anche se fosse più giovane. A proposito, è stato proprio suo marito a consultare quella volta mio padre a proposito di Herbie.»

Restammo in silenzio per un poco, poi Doris disse a un tratto: «Mio Dio, Bob, non starai per caso pensando che possa essere stato Herbie Pembrook ad uccidere Amy, vero?»

8

Dissi: «Vorrei poterlo fare. Credo che nessun indiziato mi riuscirebbe più gradito di Herbie. Ma non vedo Amy in relazione con lui; deve aver avuto una dozzina almeno di offerte migliori, o avrebbe potuto averle, se solo avesse voluto. E non riesco a vedere Herbie sotto l’aspetto del mio intelligentissimo “sconosciuto” che lascia indizi per far credere di essere stato amico di Amy quando non lo è stato affatto. No, Herbie non rientra nel quadro.» Ci stavamo fermando davanti alla casa dove abitava Doris. «Ma lasciamo perdere Herbie per stasera. Vuoi il bicchierino della staffa?»

«No, grazie, non ne ho bisogno. Ma sono pronta ad augurarti la buona notte con un bel bacio.»

Accettai senza discussioni, poi la seguii con gli occhi fino a quando non ebbe varcato la porta di casa.

Feci girare la macchina per attraversare la città, e intanto mi chiedevo se non valeva la pena che mi fermassi alla stazione di polizia — per curiosità pura e semplice, dal momento che il giornale era già stato stampato — per vedere se c’erano stati nuovi sviluppi sul caso di Amy Waggoner.

Passando, notai che le luci erano ancora accese, il che significava che si stava ancora lavorando. Di solito, Charlie Sanger chiude bottega all’una e mezzo, mezz’ora dopo la chiusura dei bar; dopo di che tutte le chiamate alla polizia vengono passate a McNulty e lo svegliano nel cuore della notte. (Ma non è una cosa che capiti molto spesso; di norma, alla una e mezzo, Mayville è morta al mondo.)

Stavo passando davanti all’ufficio, adagio, sempre chiedendomi se dovevo fermarmi o meno, quando qualcuno uscì e svoltò in direzione opposta alla mia, e subito lo riconobbi. Era Willie Zenkovich, il barista serale del Filone. Dovevano averlo convocato per un interrogatorio dopo la chiusura del bar. Bene, pensai, sarebbe stato in grado di dirmi se c’era qualcosa di nuovo, senza costringermi a disturbare McNulty.

Feci girare la macchina e andai a fermarmi accanto al marciapiede, alla sua altezza. «Salve, Willie,» dissi. «Posso darvi un passaggio?»

«Bob!» esclamò, avvicinandosi. Rise, con una risata acuta, priva di allegria. «Gesù, un essere umano, dopo i poliziotti. Dove siete stato a quest’ora?»

«Un poco in giro.» Il lampione gli illuminava il viso, e notai che aveva una espressione strana, insolita come era stata insolita la sua risata. Sembrava un uomo che fosse appena tornato dall’inferno. «Volete un passaggio?» ripetei. Abitava in un albergo, solo due isolati più oltre, ma ora ero ancora più curioso di prima di parlargli. Era successo qualcosa a lui se non nelle indagini per l’assassinio di Amy.

Sospirò, appoggiandosi con un gomito alla portiera. Vidi che le mani gli tremavano un poco. Disse: «Grazie, Bob, no. Forse ho bisogno, più che altro, di una boccata d’aria fresca… Un momento, più ancora dell’aria fresca ho bisogno di qualcosa da bere. Che fine ha fatto quella bottiglia che vi ho venduto un paio d’ore fa? È già stata scolata?»

«È ancora quasi piena. Salite e venite a bere un bicchierino in camera mia.» Per offrirgli da bere, mi sarebbe bastato allungare il braccio sul sedile posteriore. Ma volevo sapere che cosa stava succedendo.

«Grazie, non risponderò certo di no.» Salì, e ci avviammo.

Dissi: «Avete l’aria di… Non importa che aria avete. Che cosa è successo? Vi hanno sottoposto al terzo grado?»

«Non mi hanno picchiato, se è questo che volete dire. Ma sono stati momenti brutti. Che ora è?»

Diedi un’occhiata all’orologio. «Le due appena passate.»

«Per essere più precisi, è stata una brutta ora.» Sospirò. «Sanger è venuto a prelevarmi proprio mentre stavo chiudendo.» Infilò una sigaretta fra le labbra e l’accese. Gli ci vollero due fiammiferi, anche se non guidavo abbastanza in fretta perchè il vento potesse entrarci per qualcosa.

Mi fermai accanto al marciapiede davanti alla casa dove abitavo. Presi la bottiglia dal sedile posteriore — ora non si sarebbe più rifiutato di entrare con me — e dissi: «Facciamo adagio mentre saliamo.»

«Potremmo andare nella mia stanza all’albergo, Bob. Voglio dire, se dobbiamo fare adagio qui…»

«Solo per entrare, fino a quando abbiamo raggiunto la mia stanza. Avanti.»

Salimmo le scale in punta di piedi. Quando chiusi la porta, dissi: «Accomodatevi, Willie. Lo preferite puro o con un poco d’acqua?»

«Puro, purissimo.» Mentre cercavo i bicchieri, si mise a sedere sul letto.

Gli passai la sua razione, mi accomodai su una sedia, sollevai il mio bicchiere e dissi: «Al delitto», e bevvi un sorso, mentre lui tracannava abbondantemente. Poi sembrò un poco più calmo, ma non molto.

Di solito Willie non ha quell’aria. Se non è l’uomo più raffinato di questo mondo, è cortese, paziente, sorridente. Quella sera invece appariva in stato di shock, anche se era lievemente migliorato dal momento in cui lo avevo incontrato.

Non sapevo molto di Willie, ma qualcosa sì, oltre al fatto che mi era simpatico non più di tanto. Sapevo che era — per strano che potesse sembrare, con il nome di Willie Zenkovich — per tre quarti messicano. Per nascita, bene inteso, non per nazionalità. Era stato allevato a El Paso, e, se si esclude qualche viaggio oltre confine, non era più stato nel Messico dalla prima infanzia. Un nonno polacco a Mexico City aveva contribuito al suo nome di Zenkovich. Come fosse diventato barista e perchè fosse capitato a Mayville, lo ignoravo. Ma conosceva il suo mestiere; il Filone avrebbe perduto molti clienti se Willie se ne fosse andato.

Era piuttosto piccolo — non più di un metro e sessanta — ma aveva quella forza nervosa e quella fiducia in se stesso che sono utilissime in un bar, dove qualche volta possono sorgere situazioni difficili. Era in grado di azzuffarsi con individui che pesavano il doppio di lui e di avere la meglio. Non lo avevo mai visto aver paura di qualcuno o di qualcosa fino a quella sera.

Con un secondo sorso vuotò il suo whisky, ed io allora mi chinai a prendere la bottiglia da terra e gliela passai. Tornò a riempire il bicchiere e lo appoggiò accanto alla bottiglia. A quanto pareva, quel primo puro era stato sufficiente per il momento. Sospirò e disse: «Mio Dio, che ora è stata quella, con Mac e con lo sceriffo.»

«Me lo avete già detto,» osservai. «Che cosa vi hanno fatto, se non vi hanno picchiato?»

Mi guardò senza rispondere, poi fu lui a rivolgermi una domanda. «Che c’entrano gli stupefacenti con l’assassinio di Amy?»

«Gli stupefacenti?» La mia voce doveva riflettere la perplessità che provavo. «Non ne sapevo nulla. Amy non prendeva stupefacenti, vero?» Ricordavo che Cass mi aveva detto di essere in grado di individuare un intossicato a un miglio di distanza, e Cass aveva visto chissà quante volte Amy. Se avesse notato qualche segno di intossicazione, non ne avrebbe magari parlato mentre lei era viva. Ma il suo silenzio non avrebbe più avuto ragione d’essere quella sera, quando sapeva che era morta.

«No, accidenti!» esclamò Willie. «Amy non prendeva stupefacenti. Gli intossicati non bevono come beve Amy… come beveva, voglio dire. E so benissimo che non era una morfinomane; portava quasi sempre le maniche corte. Avrei notato i segni degli aghi della siringa.»