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«Fate pure. Ma a una condizione. Dovete lasciare che butti via prima le altre e così non avrete la tentazione di fumarne una seconda e non cambierete opinione dopo essere uscito di qui con le altre.»

«Certo,» disse. «Ehi, Bob, ne avete mai fumate?»

Scossi la testa, e stavo per dire che non intendevo neppure provarle, poi esitai e mi chiesi: perchè no? Avevo sempre avuto l’intenzione di provare una sigaretta alla marijuana, per pura curiosità. Per indole, ero portato a provare tutto una volta almeno, se non si trattava di un delitto grave o di qualcosa di realmente pericoloso. E non poteva certo definirsi pericolosa una sigaretta alla marijuana. E, se proprio dovevo assaggiarne una, non era quello il momento ideale? Nella mia stanza, già stanco morto, e pronto a coricarmi non appena l’avessi finita?

Dissi: «Va bene, Willie. Ne proverò una. Ma, perchè non abbiamo, o io o voi, la tentazione di insistere, butteremo via prima tutte le altre, salvo due.»

Non fece discussioni. Mi tese il portasigarette. Lo aprii e feci scivolare fuori sette tubetti bianchi arrotolati a mano. Li portai in bagno, li appallottolai, li buttai nel gabinetto e feci scorrere l’acqua. Quando tornai, Willie disse: «Non subito, Bob. Non abbiamo ancora finito i nostri bicchieri. Vuotiamoli prima.»

«Certo.» Presi il mio. E in quel momento mi venne una idea. «Willie, Herbie Pembrook capita mai al Filone?»

«Che cosa? Oh, no! Herbie non beve mai. Ed è un bene: non credo che Mac permetterebbe di servirlo, se bevesse. E poi, lo conosco soltanto di vista.»

«Sapete qualcosa di lui?»

«Che è, più o meno, lo scemo del villaggio. Ma non è poi un tipo impossibile, tutto considerato. Sbriga i lavori più disparati, ma soprattutto quelli di carico e scarico. È innocuo. Perchè?»

«Oh, non c’è un motivo particolare,» risposi, e lasciai cadere l’argomento. Terminammo i nostri bicchieri e Willie mi diede una delle due sigarette. Le accendemmo. Avevo letto sulla marijuana quanto bastava per sapere come si fa a fumarla: non come una normale sigaretta, ma a boccate profonde, in modo da far scendere il fumo direttamente nei polmoni.

La sigaretta bruciava allegramente ed aveva un sapore di erba. Mi irritava un poco la gola, o così almeno sembrava. Ma poi nel petto si avvertiva qualcosa come di dolce, ed era una sensazione niente affatto spiacevole.

E, improvvisamente, mi parve di essere all’inizio della sera, non alle tre del mattino. Non ero più stanco. Mi sentivo pieno di energia, perfettamente sveglio, pronto e disposto ad andare dappertutto, a fare qualunque cosa per qualsiasi periodo di tempo.

Mi irritava l’idea — ma c’era qualcosa di simile a un divertimento cosmico dietro alla mia noia — che tutti i locali di Mayville fossero chiusi. Maledette le leggi della puritana Arizona che impongono di abbassare le saracinesche alla una, pensavo.

Ma Willie non aveva detto che appena oltre il confine, a Naco, c’era un bar aperto tutta notte? Certo. E se fossi andato a chiamare Doris e le avessi proposto di venire con me? E magari, se anche Willie avesse avuto voglia di accompagnarci…

Ma no, la marijuana non era poi tanto forte. Doris a quell’ora doveva ormai dormire profondamente. Sapevo che cosa avrebbe detto e pensato se avessi svegliato prima la sua padrona di casa e poi lei per proporle un secondo giro alle tre del mattino, dopo che il primo era durato da mezzanotte alle due. Forse non si sarebbe arrabbiata, ma certo avrebbe pensato che ero ubriaco o pazzo. In ogni modo, l’idea non le sarebbe certo apparsa meravigliosa come appariva meravigliosa a me.

«Vi piace amico?» chiese Willie. Vidi che aveva terminato la sua sigaretta e che aveva schiacciato il mozzicone minuscolo nel portacenere. Anche il mio mozzicone era cortissimo, ma pensavo di riuscire a tirare un’altra boccata senza bruciarmi le dita, e ci riuscii. Poi lo schiacciai anch’io nel portacenere, accanto al suo.

«Una cosa meravigliosa, mirabolante addirittura.» E mi chiesi se erano le sigarette a farmi parlare a quel modo per me insolito. O forse si trattava di suggestione, perchè nei libri chi fuma marijuana parla sempre così? In ogni modo, si trattava di un gergo che avevo usato solo all’università, ed anche allora solo raramente. Ma mi appariva divertente in quel momento, e così aggiunsi: «Mi piace da morire.»

Willie rise. E risi anch’io, non perchè sapessi di che cosa rideva, ma perchè tutto mi sembrava divertente.

Poi Willie si calmò e ritrovò quasi tutto il suo equilibrio. «Una scossa, ecco che cosa è, una scossa molto energica. Ma mantengo quello che ho detto: è stata la mia ultima sigaretta. Non vale la pena di correre rischi del genere. E devo ringraziare Dio di essere stato fortunato stasera.» Si alzò e si stiracchiò. «Una giornata piuttosto movimentata, la mia. Me ne torno a casa. Grazie di tutto, amico. Avevo bisogno di qualcuno con cui sfogarmi.»

«Statemi a sentire, Willie, può sembrare assurdo, ma non ho sonno. Ho voglia di andare in qualche posto, di fare qualcosa. Che ne direste di una corsa fino a Naco per un bicchierino?»

Rise. «Non è che sembri assurdo: è assurdo. È la marijuana a parlare, non voi. Ancora mezz’ora, e quando gli effetti della marijuana saranno scomparsi crollerete. E allora saremmo soltanto a mezza strada da Naco.»

Ma tornò a sedersi sul bordo del letto. «Ma quella di un ultimo bicchierino non mi sembra una cattiva idea, purché lo beviamo qui e non nel Messico.» Prese la bottiglia e versò per tutti e due. «E nemmeno mi accompagnerete in macchina all’albergo. Sono quattro isolati soltanto, e un poco di moto mi farà bene. Arrivederci allora.»

Lo accompagnai fino in fondo alle scale per aprirgli la porta, poi feci attenzione a girare di nuovo la chiave nella serratura. È questa, l’unica mania della signora Burdock. Una volta soltanto aveva strillato con me: quando una sera ero rientrato tardi e il mattino seguente ella si era accorta che mi ero dimenticato di chiudere a chiave.

Di ritorno nella mia stanza, mi spogliai e mi misi in pigiama. Non perchè avessi già sonno, ma perchè quel poco di buon senso che mi era rimasto mi avvertiva che Willie aveva ragione; sarebbe stata una pazzia per me uscire, e se fossi stato pronto per andare a letto e non completamente vestito, la tentazione sarebbe stata per me minore. O almeno avrei avuto il tempo di cambiare idea mentre mi rivestivo.

9

Mi restava soltanto di leggere fino a quando non avessi avuto sonno; ci sarebbe voluta una mezz’ora circa, se le previsioni di Willie si rivelavano esatte. Sollevai i cuscini ed accesi la lampadina sul comodino accanto al letto. Presi dal cassettone l’edizione economica di un romanzo che avevo comperato il giorno prima e che non avevo ancora cominciato, poi spensi la luce grande e mi infilai sotto le coperte. Era sempre così che leggevo nella mia stanza. Specie quando era già tardi: se mi ero già spogliato, potevo mettermi a dormire senza dovermi alzare di nuovo. Era facile buttare il libro e uno dei cuscini su una sedia, allungare il braccio e spegnere.

Cominciai a leggere, o meglio cercai di leggere. Qualche minuto dopo mi resi conto che i miei occhi correvano sulle righe, che anzi avevo già voltato una pagina, senza capire una sola parola di quanto avevo letto. Non che avessi la mente confusa; al contrario. Avevo il cervello limpidissimo, che funzionava a pieno regime; semplicemente, non riuscivo a concentrarmi su qualcosa di frivolo come un romanzo. Volevo pensare a qualcosa di grande, fare qualcosa di grande. Sapevo, certo, e lo riconoscevo persino, che questa improvvisa lucidità era un effetto, probabilmente illusorio, della marijuana. Ma, illusoria o no, perchè non avrei dovuto sfruttarla, goderne fino a quando durava, invece di cercare di costringermi a leggere quando la mia mente si rifiutava di farlo?

Perchè non cercare di risolvere l’enigma dell’assassinio di Amy con ragionamenti induttivi e deduttivi?

Misi da parte il libro, incrociai le mani dietro la testa e fissai gli occhi al soffitto.