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Mi diressi allora nella direzione opposta, al Gabbiano, il locale dove avevo avuto il mio primo appuntamento con Doris, l’unico posto dove fosse possibile mangiare e bere sotto lo stesso tetto. Era anche il miglior ristorante della città, e per questo, con il mio stipendio, non andavo quasi mai a mangiare là da solo, nemmeno per pranzo.

Ma quel giorno feci una eccezione, perchè sapevo che Amy aveva mangiato là, almeno occasionalmente.

Passai dal bar alla sala da pranzo. Avevo sempre voglia di un aperitivo, ma al Gabbiano il barista cominciava a lavorare solo a pomeriggio inoltrato. Così, se avete voglia di bere qualcosa prima delle cinque, è George Mitkos, il proprietario, che va dietro al banco a servirvi. Quando la cameriera mi presentò la lista, la pregai di chiedere a Mitkos di prepararmi un whisky e acqua. Mi avrebbe servito personalmente al tavolo, e in questo modo io avrei avuto la possibilità di parlargli.

Conoscevo poco Mitkos, e non sapevo gran che di lui. Greco di origine, era un americano di seconda generazione. Fra i quaranta e i cinquanta, piccolo, massiccio, sempre sorridente, era quasi fin troppo gentile, almeno per l’Arizona. Aveva aperto il Gabbiano sei o sette anni prima, con il denaro risparmiato lavorando come chef a Los Angeles.

Venne accanto al mio tavolo e mi fece scivolare il bicchiere davanti. «Signor Snitkin! E come sta la vostra bella e giovane signorina?»

«È più bella che mai,» risposi. «Sentite, George, volete chiamarmi Bob invece che Snitkin, tanto più che mi chiamo Spitzer, e sedervi un momento? Vorrei rivolgervi qualche domanda, se non vi spiace. Versate un bicchiere anche a voi e tenetemi compagnia.»

Si mise a sedere di fronte a me. «Certo, Bob. Scusatemi se ho sbagliato il vostro nome. Quanto al bicchiere, no, grazie, è troppo presto. Che cosa volete sapere?»

«Conoscevate Amy Waggoner, vero? So che mangiava qui abbastanza spesso.»

«La conoscevo, certo, ma solo come cliente. Mangiava qui, non regolarmente, no, ma abbastanza di frequente. Ogni tanto saltava un giorno. Ma mangiava una volta sola, la sera. Non è mai venuta né per la prima colazione né per il pranzo.»

«Vi ha mai detto qualcosa che la riguardava personalmente?»

«No. I nostri rapporti erano abbastanza amichevoli, ma non abbiamo mai chiacchierato veramente. Ho saputo dove abitava e che veniva da Kansas City solo stamattina, quando ho letto il vostro articolo nel giornale.»

«Capisco, George. Ma potete ugualmente rendervi utile. Sto dando una mano a McNulty, almeno in questo momento, e mi ha chiesto di parlare con chi ha avuto a che fare con lei. Stiamo adesso cercando di stabilire quali erano le sue abitudini e quanto spendeva nei vari locali. Sappiamo qual era il suo reddito, ma, a quanto sembra, spendeva molto di più; comunque, vogliamo esserne sicuri ed accertare questa cifra extra. Qui, secondo voi, quanto spendeva in media per settimana?»

Rimase un momento pensieroso. «Ordinava sempre una cena normale. Conoscete il nostro menu serale, Bob. Una cena non costa mai meno di due dollari; ma se si ordina aragosta, quando c’è, o una bistecca speciale, si superano i tre. Non notavo sempre che cosa ordinava, ma non ha mai ordinato né aragosta né bistecca speciale. Così, i suoi pasti dovevano venirle a costare fra i due e i tre dollari.»

«E quanto al bere? Prendeva prima uno o più cocktail?»

«Di solito due. Qualche volta, dietro le mie insistenze, niente. Quando arrivava qui, in genere verso le sei, si vedeva che aveva bevuto, ma quasi sempre sapeva controllarsi. Quando si capiva che aveva bevuto più del solito, la convincevo a saltare i cocktail. La prendeva con filosofia, non protestava mai.»

«Per concludere, e tenendo conto delle mance, quanto spendeva qui, secondo voi, per settimana?»

«Mance comprese, che, sia detto per inciso, erano sempre di cinquanta cents, spendeva più o meno quattro dollari ogni volta che veniva. E veniva in media cinque sere la settimana. Venti dollari la settimana mi sembrano una valutazione abbastanza equa.»

«Grazie. Sedeva sempre a una determinata tavola, era in rapporti amichevoli con una determinata cameriera?»

«No, sedeva dove le capitava. Ed era abbastanza gentile con chi la serviva, ma né parlava né ha fatto amicizia con il personale. Anche con me parlava ben poco, quanto a questo.»

Lo ringraziai e gli dissi che precisamente questo desideravo sapere. Si allontanò, ed io, dopo aver dato una occhiata alla lista, ordinai il mio pranzo.

L’ipotesi di McNulty aveva tutta l’aria di essere esatta. Amy doveva spendere certo più di cinquanta alla settimana, venti da Birdie, venti lì per la cena, e gliene restavano soltanto dieci per tutto il resto messo assieme.

Terminai di mangiare e tornai in centro. Cass aveva aperto, ma non entrai. Volevo prima indagare all’altro ristorante e stabilire una volta per sempre le abitudini alimentari di Amy. C’erano solo tre ristoranti in città, oltre al Gabbiano, e si trovavano tutti nel giro di due isolati.

Nel primo feci un buco nell’acqua: non conoscevano Amy, né per nome né per la descrizione che ne feci. Sapevano chi era, naturalmente, ma ormai tutti a Mayville erano al corrente del delitto, o per aver letto il giornale o per aver parlato con qualcuno che lo aveva letto. Comunque, per ciò che ne sapevano, ella non era mai stata nel loro ristorante.

Nel secondo le cose andarono un po’ meglio. La conoscevano lì, sia pure superficialmente. Capitava un paio di volte la settimana per la cena. Venivano così spiegate le sue assenze settimanali al Gabbiano. I prezzi erano relativamente bassi, un pasto costava da un dollaro a un dollaro e un quarto, ma la cucina era buona. Probabilmente Amy mangiava lì ogni tanto per variare, non per fare economia.

Cominciavo a pensare che forse Amy mangiava una volta sola al giorno, ma al terzo ristorante risultò altrimenti. Amy faceva lì la prima colazione, tutti i giorni o quasi tutti i giorni, all’ora in cui in genere gli altri pranzavano. Non compariva mai prima di mezzogiorno, e qualche volta quando entrava erano già passate le due. Il suo primo pasto era piuttosto leggero: in genere pasticcini e caffè. Se i pasticcini erano finiti, si accontentava di tosti al burro. La prima combinazione veniva a costare quarantacinque cents, la seconda trentacinque. Lasciava sempre una mancia di dieci cents. Così, la prima colazione doveva venirle a costare, in media, dai tre ai tre dollari e mezzo la settimana. Al secondo ristorante mi avevano detto che, quando mangiava lì qualche volta, spendeva in media un dollaro e mezzo: in questo modo Amy, per il solo vitto, spendeva venticinque dollari come minimo per settimana, il che le lasciava soltanto altri cinque dollari per tutto il resto.

E quegli altri cinque dollari li incassava Cass. Secondo lui, era questa, più o meno, la cifra settimanale che Amy lasciava nel suo locale. Lo frequentava in media due pomeriggi la settimana, si fermava dalle due alle tre ore e beveva dai quattro ai cinque whisky ed acqua a cinquanta cents l’uno. Qualche volta qualcuno le offriva un bicchiere, ma sempre ella insisteva per offrirne uno a sua volta, e in questo modo i conti restavano pari.

Disse: «Non era che Amy tracannasse. Non è mai capitato che ordinasse un puro e lo buttasse giù. Una volta che cominciava a bere, nelle prime ore del pomeriggio o al massimo verso le quattro, continuava, ma a un ritmo piuttosto lento, in modo da far durare a lungo ogni bicchiere.»

Annuii.

Cass continuò: «Sentite, mi è venuta in mente una cosa. Amy dovrebbe avere un funerale, sia pure modesto. Forse potremmo…»

Lo interruppi per spiegargli che non doveva preoccuparsi per questo.

Uscito da Cass, mi diressi subito verso il Filone, pur sapendo che si trattava solo di una delle due visite che avrei dovuto fare a quel locale: una per parlare con Dick Johnson, il barista di giorno, e un’altra dopo le cinque, per trovare Willie.

Ma fui fortunato, perchè li trovai tutti e due. Willie era sulla parte destra del banco — sulla parte sbagliata, tanto per intenderci — e stava bevendo una birra.