In tempo per fare che cosa? Era questo il punto. Non aveva nulla da perdere a uccidermi, non potevano chiuderlo due volte nella camera a gas, ma non avrebbe avuto nemmeno nulla da guadagnare se, dopo avermi ucciso, non recuperava quell’avviso. E non si sbarazzava anche, oltre che di me, di chi ne conosceva l’esistenza, lo aveva visto o ne era in possesso. Se qualcun altro lo aveva visto. E di questo non poteva essere sicuro; secondo lui, avevo mentito per cercar di salvare la pelle. Probabilmente aveva la convinzione, ma non la certezza, che avevo trovato l’avviso, quel pomeriggio, nella stanza di Amy. E, sempre secondo lui, era possibile che non l’avessi mostrato ad altri; perchè infatti avrei dovuto farlo se solo quella sera ero giunto ad effettuare il riconoscimento? Se me lo avesse trovato addosso, in una delle tasche, non sarei certo rimasto vivo fino a quel momento.
«Un altro bicchiere?» La sua domanda era così imprevista da farmi sobbalzare.
Avrei dovuto rispondere diplomaticamente di sì o di no. Non avevo certo nessuna intenzione di farlo irritare. Ma fu più forte di me, non riuscii a trattenermi. «Il bicchiere della staffa?» domandai a mia volta. «Il bicchiere della staffa, come quello che avete dato ad Amy prima di ucciderla?»
E seppi che, se mai fossi uscito vivo di lì, non avrei più usato quel detto corrente nel suo significato originale. Sarei stato scosso da un brivido ogni volta che lo avessi sentito.
Ma egli si stava alzando. Sembrava che non mi avesse sentito o che non avesse capito quello che avevo detto. In ogni modo, si alzò, tornò dietro al banco e cominciò a riempire due bicchieri abbondanti, terribilmente abbondanti. Aggiunse il ghiaccio.
Aveva sempre la rivoltella a portata di mano, sul banco, ma ora era più trascurato, e mi voltava la schiena più a lungo che non le volte precedenti. Forse sperava davvero che tentassi di fuggire, per aver modo di cogliermi al volo, da sportivo in un certo senso.
Dovevo tentare? Non sapevo se fosse un abile tiratore o meno. Forse sarei riuscito a raggiungere la porta e ad aprirla prima che un proiettile mi colpisse… o mi colpisse in un punto vulnerabile. Forse avrei potuto…
E allora, prima che avessi il tempo di decidermi, ecco che accadde. Ci fu un rumore cigolante, come se qualcuno avesse cercato di abbassare la maniglia della porta d’ingresso, poi un colpo, secco e deciso, venne bussato sul cristallo.
Mi alzai e mi diressi verso la porta mentre la mano di Cass si stringeva intorno al calcio della rivoltella. Dissi (e credo che la mia voce fosse calma): «È Charlie Sanger. Sparate pure adesso, se avete intenzione di farlo, ma con Charlie là fuori nessuno scambierà certo la detonazione per il rumore di uno scappamento.»
E continuai dritto, mentre i brividi mi correvano giù per la schiena, in attesa che il proiettile mi colpisse da un momento all’altro.
Stavo spingendo indietro il catenaccio per lasciare entrare Charlie Sanger quando la rivoltella fece sentire la sua voce. E il proiettile fece centro, ma non su di me. In una frazione di secondo, dopo quel colpo bussato alla porta, avevo fulmineamente capito che non avevo niente da perdere, in ogni modo, che Cass non mi avrebbe certo sparato se la mia morte non gli avesse dato almeno la possibilità di fuggire.
E la mia intuizione risultò esatta. Nei pochi secondi che mi furono necessari per raggiungere la porta Cass era giunto alla conclusione che un proiettile nella testa avrebbe rappresentato una morte più rapida e più facile che non la camera a gas.
«Che cosa diavolo sta succedendo?» chiese Charlie Sanger.
Il Bar Sinistro, l’insegna al neon di Cass, mi aveva salvato. Quando aveva chiuso, si era dimenticato di spegnere quella. Senza di che, Charlie si sarebbe limitato ad abbassare la maniglia, per essere ben sicuro che Cass aveva dato di chiave, ma non si sarebbe certo fermato, non avrebbe insistito, non avrebbe bussato. Ma aveva visto l’insegna al neon accesa ed aveva invece bussato, perchè aveva pensato che forse Cass era ancora là dentro a riordinare, e in questo caso lo avrebbe avvertito che si era dimenticato di girare l’interruttore collegato all’esterno.
Quasi un’ora dopo, e non erano ancora le nove, ero nell’ufficio di polizia, a battere una deposizione che era quasi finita. McNulty, che era arrivato solo pochi minuti dopo di me, stava leggendo al disopra della mia spalla mentre lavoravo a macchina. Da principio aveva cercato di interrogarmi, ma era bastato che cominciassi a scrivere perchè si convincesse che avrei fatto più in fretta a quel modo, ed io non vedevo l’ora di sbrigarmela perchè di lì a poco Tom Acres avrebbe chiuso il suo numero. A meno che non volesse che chiamassi prima Tom e gli trasmettessi l’articolo e poi… McNulty si era rassegnato a lasciarmi fare a modo mio.
Poi ecco comparire Hetherton — non sono mai riuscito a sapere chi gli avesse telefonato per avvertirlo che il caso era risolto — che prima dava una rapida occhiata ai fogli che avevo già scritto e poi continuava a leggere sopra una mia spalla mentre McNulty leggeva sull’altra.
Quando finii, tutti e due mi erano, più o meno, addosso. Tolsi l’ultimo foglio dal rullo e lo firmai. Chiesi a McNulty: «Volete che sigli anche tutte le pagine precedenti?»
Mi rispose che l’idea gli sembrava buona, e lo accontentai. Poi mi alzai e mi diressi verso la porta. McNulty aveva già sollevato il ricevitore e stava chiedendo una comunicazione con lo sceriffo a Douglas. Hetherton era intento a leggere una seconda volta, e con maggiore attenzione, il mio pezzo. Nessuno mi badava, ed io me la battei in fretta.
Entrai nell’ufficio del giornale, accesi la luce, mi sistemai comodamente sulla poltrona e presi il telefono. Ebbi fortuna, perchè fu la voce di Doris a rispondermi.
«Cara,» dissi, «dammi Tom Acres. E, se appena puoi, ascolta anche tu. Il caso di Amy Waggoner è stato risolto.»
«Bob! Chi l’ha uccisa? E chi è stato a scoprirlo?»
«L’ha uccisa Cass Phillips. Ed a scoprirlo sono stato io. E adesso taci, cara, e passami Tom; siamo quasi all’ora della chiusura, ed ho un mucchio di roba da trasmettergli.»
Meno di un minuto dopo stavo parlando con Tom.
Ero arrivato circa alla metà del pezzo quando entrò Hetherton. Mi passò davanti e si mise a sedere alla sua scrivania, guardandomi in silenzio ed ascoltando quello che stavo dicendo nel microfono.
Quando dissi: «Questo è tutto, Tom», Tom rispose: «Bel colpo! Vi farò pagare un extra per questo, non so ancora di quanto perchè devo parlare prima con il proprietario, ma vi assicuro che cercherò di ottenere il massimo. E, se avete avuto l’intelligenza di fare quello che avete fatto, come mai non riuscite a escogitare il sistema per costringere quel bastardo di Hetherton a licenziarvi?»
Guardai Hetherton, nella speranza che avesse sollevato il ricevitore e fosse in ascolto della nostra conversazione. Ma rimasi deluso.
Dissi: «Ma si tratta di una cosa che potrei fare, ecco.»
«Parlate sul serio?» Il tono di Tom era in parte giubilante ed in parte incredulo.
«Forse sì. Vi richiamerò, in ogni modo. Arrivederci.» E interruppi la comunicazione.
Guardai il mio padrone e dissi: «Hetherton, ho un problema da risolvere.» Era la prima volta che, parlando con lui, lo chiamavo Hetherton e non signor Hetherton.
Ammesso che se ne fosse accorto, non fece commenti. «Sì?»
«Ho taciuto qualcosa nella dichiarazione che ho reso a Mac. E in quello che ho raccontato a Tom. Non che fosse una menzogna: non era tutta la verità, semplicemente. Ho detto che, mentre parlavo con Cass, prima che il putiferio avesse inizio, ho ricordato di aver visto, chissà quando e chissà dove, un avviso della polizia con il ritratto di James Norcutt. Non ho specificato dove, e voi invece lo sapete benissimo.» Con un cenno della testa indicai la cassaforte. «Circa il quando, sapete ormai che è stato oggi nel pomeriggio; ricordate perfettamente di avermi lasciato qui da solo, con la cassaforte aperta, perchè dessi un poco di denaro a vostra moglie.»