Выбрать главу

«Sì, ma adesso la faccenda non mi riguarda più. Se ne interessa il capo.»

«E come sta il capo?»

«Sempre bene, maledizione.»

«Però! Bene, sapete quando andiamo in macchina. Se il caso ha qualche sviluppo importante, richiamatemi. Intanto, lo trasmetterò alla telescrivente. È un articolo perfetto; come potete aspettarvi di essere licenziato, se scrivete così bene?»

«Già,» risposi, cupo. «Arrivederci, Tom.»

Riagganciai e tornai al lavoro. Avevo molto da fare. Raccolsi i miei appunti sulla riunione del consiglio scolastico della sera precedente e infilai un altro foglio nella macchina. (Non avevo partecipato a quella riunione, ma avevo visto la segretaria quella mattina ed avevo preso i miei appunti da quelli che lei aveva preso dalle minute.)

Battei l’articolo, mettendoci dentro tutti i nomi che potevo senza dare un elenco vero e proprio dei presenti. Era una cosa che Hetherton mi aveva insegnato fin dalla prima settimana che lavoravo per lui. «Nomi, Spitzer, nomi! Sul giornale la gente vuole vedere il proprio nome o quello della prima moglie. È questa la raison d’être del settimanale di una cittadina.»

E tutte le settimane, con un pretesto o con l’altro, noi davamo, come minimo, qualche centinaio di nomi.

Terminai l’articolo appena in tempo per correggere le bozze del caso Waggoner che Waldo mi aveva portato. Dopo aver apportato qualche variante di secondaria importanza, le misi sulla scrivania di Hetherton. Battei un altro paio di articoli, più corti, e li passai in tipografia.

Ora mi restava un poco di tempo libero, e la cosa non mi spiaceva affatto. Non perchè fossi stanco, ma perchè avevo voglia di riflettere. Dovevo prendere una decisione per me importantissima, e se avessi sbagliato mi sarei cacciato in un mare di guai. Dovevo o meno parlare a McNulty di una cosa accaduta poco meno di un mese prima? Una cosa che, anche se l’avesse creduta, mi avrebbe ricollegato ai suoi occhi ad Amy Waggoner. Se l’avesse creduta solo in parte, sarei automaticamente diventato ai suoi occhi un tipo sospetto. Ma, se non parlavo e lui la veniva a sapere, ammesso che non la sapesse già, mi sarei venuto a trovare in un brutto pasticcio.

Era accaduto una domenica, e doveva essere stata, quella, la prima domenica di Amy a Mayville. Di solito, la domenica, ho un appuntamento con Doris, ma quella settimana ella era stata assegnata al turno di giorno del centralino telefonico, e così il nostro appuntamento era stato spostato alla sera. Non sapendo che fare quel pomeriggio, ero andato al Filone per ingannare un poco il tempo. E avevo trovato Amy; fino a quel momento non sapevo nulla di lei; era in città solo da pochi giorni.

Non eravamo stati né io né lei ad attaccare: era stato semplicemente il barista a presentarci. Avevamo chiacchierato un poco davanti ai nostri bicchieri, poi me n’ero andato, e questo era stato tutto. Una cosa perfettamente innocente, ed ero pronto a discuterne con McNulty.

Ma se gli avessi detto che cosa era accaduto più tardi, quello stesso giorno?

Ero andato all’appuntamento con Doris quella sera, ma avevamo litigato. Era stato il nostro primo, vero litigio, e non ce n’erano stati altri da allora, ma le cose avevano preso una brutta piega. Era stato un litigio da innamorati; solo gli innamorati possono arrivare al punto di insofferenza reciproca che noi raggiungemmo quella sera. Era cominciato per una sciocchezza tale che non intendo certo riferirla per non fare la figura dello stupido. Ma, come può succedere, avevamo finito per perdere di vista il punto di partenza, e ci eravamo trovati di fronte non semplicemente estranei, ma addirittura nemici. Alle dieci la lite aveva raggiunto questo punto, e quando Doris mi aveva chiesto di accompagnarla a casa, l’avevo accontentata. E più che volentieri. E quando, scendendo dalla macchina, mi aveva detto che non voleva più rivedermi, non solo avevo creduto che parlasse sul serio, come certo parlava sul serio in quel momento, ma mi ero anche sentito sicuro che la nostra rottura era definitiva.

Così, che cosa altro mi restava da fare se non ubriacarmi? Non ubriaco fradicio, questo no, ma quel tanto che bastava per non soffrire più. E soffrivo molto in quel momento. Mi piace bere, ma, in circostanze normali, non esagero mai. Due o tre bicchieri, quattro al massimo, rappresentano la mia razione serale. E non ho neppure bisogno di contarli o di costringermi a smetterla; di norma mi bastano. Ma quella non era una delle solite sere.

Ero andato da Cass, il mio bar favorito, vicino al giornale. Avevo incominciato a bere whisky ed acqua. Non li buttavo giù, ma nemmeno li facevo durare troppo. In un’ora e mezzo ero giunto a quota sei o sette. Forse mi sentivo un poco meglio, ma non molto.

Poi mi era venuta l’idea che sarebbe stato più intelligente comperare una bottiglia, portarla in camera mia e scolarla là. Non bevo da solo, di solito, ma quella sera avevo tutte le intenzioni di farlo. Non avevo voglia di parlare, nemmeno con Cass, ed avevo evitato di attaccare discorso con gli altri. Così, stavo già bevendo da solo, e tanto valeva allora che mi trasferissi in camera mia. E poi pochi bicchieri ancora, specie se puri, mi avrebbero fatto certo piombare nel sonno, e non chiedevo di meglio. E, dopo una notte di sonno, avrei certo visto la situazione sotto una luce migliore. Anche se avessi avuto il mal di testa.

Avevo allora comperato una bottiglia da Cass ed ero uscito. L’avevo messa in macchina e mi ero diretto verso casa, ma poi avevo cambiato idea. Mi sarei prima fermato al Filone a bere qualcosa. Anche se non avevo voglia di chiacchierare, non ero ancora d’umore da restarmene completamente solo.

Avevo portato la macchina nel parcheggio del Filone, ma non ero entrato. Mentre stavo scendendo, avevo visto Amy Waggoner uscire da sola. L’avevo salutata con un cenno della mano ed ero passato oltre, chiedendomi se era il caso o meno che la invitassi a bere con me. Poi avevo avuto un’idea migliore, o meglio un’idea che, al momento, mi era sembrata migliore. Quel pomeriggio mi aveva detto dove abitava. Le avevo chiesto se potevo darle un passaggio fino a casa.

«D’accordo, se volete.» E mi aveva spiegato che la sua macchina era in riparazione in garage. Aveva aggiunto che non c’era molta strada da lì al motel, che le piaceva di camminare, ma che, se proprio lo volevo…

Le avevo detto che lo volevo; eravamo saliti in macchina e l’avevo accompagnata al motel. Doveva aver già bevuto, moltissimo. Camminava dritta, ma la sua voce era confusa, assolutaménte diversa da quella del pomeriggio. Quella sera aveva certo tracannato più che mai, ma non sapevo ancora che era una alcoolizzata e che, per ridursi in quello stato, doveva bere molto ma molto di più di una persona normale.

Quando eravamo arrivati al motel, avevo accennato alla bottiglia e le avevo detto che sarei stato lieto di bere con lei il bicchiere della staffa, se solo mi avesse invitato un momento. Senza esitare mi aveva risposto di sì.

Le mie intenzioni non erano certo oneste, e non posso neppure attribuirle al troppo alcool; nello stato d’animo in cui mi trovavo, mi sarei probabilmente comportato nello stesso modo se non avessi bevuto neppure una goccia. Volevo prendermi un passaggio con Amy e, se non trovavo resistenza, rimanere con lei la notte o almeno parte della notte.

Ma non avevo fretta di entrare in azione, perchè non è certo gentile, quando si è in casa di una donna che si è conosciuta proprio quel giorno, attaccare subito, non appena si chiude la porta. Un poco di tatto non guasta mai. Avevo aperto la bottiglia ed avevo riempito i due bicchieri che avevo trovato in bagno.

Intanto Amy non si era «messa a suo agio», come fanno le donne quando intendono incoraggiare le galanterie, ma aveva fatto qualcosa di molto simile. Si era accomodata sul letto, appoggiandosi ai cuscini rialzati. Ed io mi ero messo a sedere sul bordo del letto stesso, vicino a lei, molto vicino. Avevamo chiacchierato un poco, quel tanto che bastava a vuotare i bicchieri, ed io stavo pensando: ecco il momento, quando Amy aveva buttato all’aria i miei piani, chiedendomi un bis. Di malavoglia mi ero alzato per accontentarla, e quando ero tornato avevo trovato Amy crollata. Dormiva come un sasso; ero stato così poco cavaliere da scuoterla adagio per una spalla per vedere se non si era per caso semplicemente appisolata, ma non c’era stato nulla da fare.