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Quando uscii dal ristorante, resistetti virilmente alla tentazione di spingermi qualche porta più avanti e di digerire la salsiccia con un bicchierino da Cass. Traversai invece la strada ed entrai nella stazione di polizia.

Seduto alla scrivania, McNulty stava parlando al telefono. «No, accidenti,» strillò, «non posso nemmeno immaginare quando sarò a casa.» Capii così che aveva in corso una discussione con la moglie.

Lo sceriffo della contea di Cochise sedeva accanto alla scrivania. Quando entrai, mi salutò agitando il sigaro e disse: «Salve, Bob», ed io risposi: «Salve, sceriffo.» Lo sceriffo della contea di Cochise, di stile moderno, non assomigliava affatto ai tipici sceriffi dei film western o della televisione, salvo che per un particolare: portava uno Stetson a tesa larghissima, di un bianco meraviglioso, che doveva essergli costato un bel mucchio di soldi. Lo aveva in testa in quel momento, spinto un poco indietro sulla nuca. Per il resto, vestiva come un uomo d’affari e non portava rivoltella.

Charlie Sanger era seduto in un angolo della stanza e, i piedi sul tavolo, era immerso nella lettura di un western.

McNulty riagganciò il ricevitore. «Maledette tutte le donne,» disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare, poi a me: «Mettetevi a sedere. Sarà una faccenda abbastanza lunga.»

Non capivo perchè sarebbe dovuta essere una faccenda lunga, ma avvicinai la sedia. «Prima che attacchiate con il terzo grado, Mac, ho un suggerimento da farvi, ed è meglio che ve lo faccia prima che me ne dimentichi. State ancora cercando l’indirizzo di Amy a Kansas City?»

«Già. Strano che non ci fosse qualcosa nella sua stanza. A meno che quel tale non se lo sia portato via.»

«Si è preso anche le chiavi della macchina?»

«No. Quelle le ho qua io. Perchè?»

«Probabilmente c’è la ricevuta del bollo attaccata al volante. E poi, c’è qualcuno che lascia i documenti nello scomparto dei guanti. Avete perquisito la macchina?»

McNulty fece schioccare le dita. «Non ci avevo pensato. Ottima idea! Charlie!»

Charlie doveva aver ascoltato anche se leggeva, perchè già stava attraversando la stanza. «Volete che vada a dare una occhiata, Mac?»

«E subito.» McNulty infilò le mani in tasca, prese un piccolo portachiavi e lo buttò a Charlie. «Andate a piedi, così potrete tornare con la macchina e metterla nello spiazzo qui dietro, in modo che sia a portata di mano. Inutile lasciarla davanti al Filone.»

Poi McNulty si rivolse a me. «Statemi a sentire, comincerò con le stesse domande che vi ho già rivolto, perchè allora lo sceriffo non c’era. Bene. Siete venuto qui da Kansas City circa un anno fa?»

«Esatto. Fra una settimana sarà giusto un anno.»

«Quanto tempo siete vissuto laggiù?»

«Ci sono nato. Ci ho vissuto tutta la mia vita, salvo quattro anni, cinque se contiamo quello che ho passato qui. Ho passato due anni all’università di Stato dell’Ohio e altri due sotto le armi, quasi sempre nel Texas. Sono stato congedato quattro anni fa.»

«E siete tornato a Kansas City e ci siete rimasto fino a quando non vi siete trasferito qui?»

«Già.»

«Ma non conoscevate Amy Waggoner laggiù? Nemmeno superficialmente?»

«No. Non l’avevo mai vista prima che venisse a Mayville. Pochi giorni dopo il suo arrivo, per essere precisi. O almeno, lei mi ha detto che era arrivata da pochi giorni.»

«E dove l’avete conosciuta? L’avete abbordata in un bar?»

«L’ho conosciuta in un bar, non abbordata, perchè siamo stati presentati.»

«Da chi? Avanti, raccontatecelo.»

«Era una domenica pomeriggio… vediamo, lei era qui da un mese, e di conseguenza deve essere stato tre domeniche fa. Andavo a zonzo e sono capitato al Filone. Dietro il banco c’era Willie Perkovich, davanti Amy. C’erano anche altri clienti, ma non molti.

«Quando sono entrato, Willie ed Amy stavano chiacchierando. Mi ha fatto cenno di avvicinarmi e mi ha detto: “Ho il piacere di presentarvi una vostra concittadina, Bob. È…” Poi non riusciva a ricordare il nome, ammesso che lo sapesse, e lei lo ha detto, e io le ho detto il mio. Poi, quando ho ordinato da bere, ho offerto naturalmente un bicchiere anche a lei. Abbiamo parlato, se non mi sbaglio, per una mezz’ora, poi me ne sono andato.»

«Che cosa vi ha detto di se stessa?»

«Non molto. Che era di Kansas City ma che, con ogni probabilità, non ci sarebbe tornata. Che si sarebbe trasferita a ovest, forse in California, ma che Mayville le piaceva e si sarebbe fermata per un poco. Forse per sempre. Mi ha rivolto un mucchio di domande sulla città e io le ho risposto. Clima e roba del genere. Le ho fatto notare che d’estate faceva un caldo terribile, ma mi ha detto che il caldo non le dava fastidio. Non mi ha chiesto però se c’era la possibilità di trovare lavoro, ed ho pensato perciò che doveva vivere di rendita, una piccola rendita di un qualche genere, probabilmente alimenti.»

«Perchè una piccola rendita?»

«Perchè, se fosse stata ricca, non sarebbe venuta a vivere nel piccolo motel di una cittadina… e di una cittadina, per di più, dove non conosceva nessuno. Le ho chiesto se conosceva qualcuno, e mi ha risposto no, salvo i pochi che le erano stati presentati da quando era arrivata. E, secondo lei, tutti si erano dimostrati molto gentili.»

«Avete parlato di Kansas City?»

«Non molto, quella prima volta. Ma quando ci siamo trovati una seconda volta, senza contare i saluti che ci eravamo scambiati per strada, eravamo al bar di Cass, quasi una settimana più tardi. Una settimana esatta, ora che ci penso, perchè era domenica di pomeriggio. E quella volta abbiamo parlato quasi sempre di Kansas City.»

«Vi ha detto proprio che veniva di là? Insomma…»

«Capisco che cosa intendete. Sì, veniva proprio di là… o era vissuta là molto tempo, non ci era passata semplicemente. Per esempio, quando le ho detto che abitavo vicino ad Ashland Square, sapeva dov’era, e ha nominato diversi posti della zona. E, quando abbiamo parlato dei negozi e dei bar, ne ricordava alcuni che io avevo dimenticato. Sì, ha abitato a Kansas City, e di recente direi; i suoi ricordi erano più chiari dei miei, dopo un anno.»

«Non ha accennato a dove abitava?»

«No, ma ho avuto l’impressione che fosse in centro o vicino al centro.»

«Qualcosa che potesse farvi pensare se era sposata o sola quando abitava là?»

«Niente. Non le ho rivolto domande sulla sua vita personale e non so, di conseguenza, se, rivolgendogliele, le avrebbe eluse o avrebbe risposto.»

«Avete parlato con lei altre volte?»

«Ora che ci penso, credo di aver parlato tête-à-tête con lei unicamente in quelle due occasioni. E un paio di altre volte in circostanze simili, ma c’erano anche altri e la conversazione era generale.»

«Era ubriaca in quelle occasioni?»

«Quando le ho parlato da solo, no. Le altre due volte era già sera, e, se non era ancora ubriaca, era sulla strada buona per diventarlo. Mi consta che a tarda sera… Ma in questo caso si tratta soltanto di un sentito dire, e intendo attenermi a quanto so di scienza mia.»