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— Dove vai, LuAnn?

— Fatti i cazzi tuoi.

— Quant’è che durerà, eh, LuAnn? Io non mi sono mica incazzato perché tu mi hai preso a calci nelle palle, no? Infatti mi è già passata.

— La sai una cosa, Duane? — ringhiò LuAnn rivoltandoglisi contro. — Tu devi proprio essere l’uomo più idiota che c’è al mondo.

— Ah, sì? E tu? Chi ti credi di essere tu? Se non ci sono io, tu e Lisa non avete nemmeno un fottuto tetto dove stare. Ti ho fatto entrare io qua, altrimenti non avevi niente.

Accese un’altra sigaretta, e spegnendo il fiammifero sul pavimento aggiunse alla moquette un’ennesima bruciatura.

— Perciò, invece di fare la stronza tutti i momenti, faresti bene a essere carina con me — aggiunse Duane sventolando il sacchetto pieno di soldi. — Perché di questi qui, io ne posso trovare tanti altri, bambolina. E in questo schifo di roulotte qua, io non ci sto più per molto. Perciò pensaci su, okay? Perché a me, nessuno mi romperà più il cazzo, neanche tu. Hai capito?

— Hai ragione, Duane: io sono carina con te da subito. — LuAnn spalancò la porta della Airstream come se volesse sradicarla dai cardini. — Me ne vado prima di sgozzarti, pezzo di stronzo!

Lisa cominciò a piangere, come se lo scoppio d’ira di sua madre fosse diretto a lei. LuAnn la baciò e la cullò, riuscendo a calmarla.

Duane la guardò allontanarsi fra i relitti e i rottami sparsi per la radura. Ammirò il suo sedere che tendeva le cuciture dei jeans aderenti. Diede anche un’occhiata più ampia, alla ricerca di Shirley Watson. Niente. Evidentemente doveva essersi data alla fuga, nuda com’era.

— Ehi, LuAnn — le gridò dietro ghignando. — Ti amo, piccola!

— Ehi, Duane… Vaffanculo e crepa!

6

Nei corridoi del centro commerciale di Rikersville brulicava molta più gente del giorno prima. Questo a LuAnn andava benissimo. Folla significava anonimato, mimetizzazione. E fu tra la folla che LuAnn si mescolò per tornare a dare un’occhiata all’ufficio nel quale aveva incontrato Jackson.

Dall’altro lato dei cristalli affumicati, l’interno pareva immerso nell’oscurità. LuAnn non provò nemmeno a girare la maniglia: sapeva che avrebbe trovato la porta chiusa a chiave. Jackson doveva essersene andato subito dopo di lei, e lei doveva essere stata la sua unica cliente.

LuAnn si era data ammalata al lavoro, passando la notte a casa di un’amica. Una notte insonne, trascorsa in parte a fissare la luna piena, ma soprattutto a studiare gli atteggiamenti delle piccole labbra di Lisa mentre la bimba dormiva profondamente. Da sola nel buio, LuAnn aveva deciso di non decidere. Perlomeno, non fino a quando non fosse riuscita a saperne di più in merito all’offerta di Jackson. In compenso, aveva risolto di non andare alla polizia. A dire cosa? Chi le avrebbe dato retta? Non c’era una misera buona ragione per farlo. Mentre c’erano cinquanta milioni di ottime ragioni per non farlo.

LuAnn Tyler aveva un suo codice etico, una sua precisa linea di divisione tra bene e male, tra giusto e sbagliato. Eppure la tentazione continuava ad accecarla. Cinquanta-milioni-di-dollari. Solo che non era una semplice scelta tra bianco e nero. E questo la tormentava.

Al tempo stesso, l’ultima impresa di Duane rinsaldò la sua convinzione che Lisa non poteva, non doveva crescere in un simile ambiente infetto. Lei non lo avrebbe permesso.

— LuAnn?

Lei s’immobilizzò sulla soglia della direzione del centro commerciale, un gruppo di uffici all’estremità del palazzo.

Il giovanotto era in piedi dietro il bancone della reception. Indossava pantaloni scuri ben stirati, camicia bianca con maniche corte, cravatta dai colori indefinibili. Faceva scattare ritmicamente la sua penna a sfera. Forse era eccitato dal vederla. O forse era nervoso. O entrambe le cose.

— Non mi aspetto che ti ricordi di me, LuAnn — e mancò poco che il giovanotto saltasse al di là del banco. — Johnny Jarvis. John, sul lavoro.

Cominciò con il tenderle la mano in maniera quanto mai professionale. Ci ripensò, fece un gran sorriso e si avventurò ad abbracciarla. Poi passò almeno un minuto a fare coccole e moine a Lisa. Dalla borsa in spalla, LuAnn tolse una piccola coperta, la distese sul pavimento, mise sopra la piccola e le diede un orsetto di peluche perché ci giocasse.

— Johnny… Incredibile. Non ti vedo da quando… Le medie?

— Tu eri in prima e io in terza.

— Ti trovo proprio bene. Da quanto tempo lavori qua?

— Finite le medie, sono andato al college municipale e mi sono diplomato. — John Jarvis sorrise pieno d’orgoglio. — Sono qui al centro commerciale da due anni. Ho cominciato come operatore al computer e adesso sono una specie di vicedirettore operativo.

— Grandioso. Congratulazioni, Johnny… John.

— Che diavolo, LuAnn: per te sono sempre Johnny. Quasi non ci credevo quando sei entrata da quella porta. A momenti mi prendeva un colpo. Mai e poi mai avrei pensato di rivederti. Sarà andata a New York, mi ero detto, o chissà quale altra grande città…

— Invece sono ancora qui.

— Sono un po’, diciamo… sorpreso, ecco. Non ti avevo mai vista qui al centro commerciale.

— Non vengo molto da queste parti È un bel pezzo di strada da dove sto io.

— Be’, intanto mettiti a sedere e raccontami tutto di te. Non sapevo che avessi una bambina. E non sapevo nemmeno che fossi sposata.

— Non sono sposata.

— Ah… — Le guance di Jarvis si accesero. — Senti, che ne dici di un caffè? L’ho appena fatto.

— Sono un po’ di fretta, Johnny.

— Sì, capisco. Che cosa posso fare per te? — domandò il giovanotto con un’espressione di improvvisa sorpresa. — Non è che stai cercando lavoro, eh?

— E se anche lo cerco? — LuAnn gli scoccò un’occhiata dura. — Qualcosa che non va nel cercare lavoro?

— Ma no, certo che no. Volevo solo dire, sai com’è, non mi aspettavo che saresti rimasta a Rikersville. — Le sorrise. — Tutto qui.

— Johnny, un lavoro è un lavoro. Tu lavori qui, giusto? E già che ci siamo, cos’è che esattamente potevo fare della mia vita a New York o in chissà quale altra grande città?

Il sorriso di John Jarvis si dissolse. Il giovanotto si passò le palme delle mani lungo i pantaloni, con fare ancora più nervoso di prima. — Non intendevo dire niente di strano, LuAnn. Ti ho sempre vista come una donna che dovrebbe vivere in un castello, con belle macchine, bei gioielli, bei vestiti. Mi dispiace…

— Va bene così, Johnny. Non ci pensare.

Anche l’ostilità di LuAnn si dissolse. Quel castello, con in più le macchine, i gioielli e i vestiti, era forse molto più a portata di mano di quanto John Jarvis, o perfino lei stessa, avrebbe mai potuto immaginare.

— È stata una lunga settimana — riprese LuAnn. — E comunque non sto cercando un lavoro. Quello che cerco è un po’ d’informazioni su uno che ha preso in affitto un ufficio qua al centro commerciale.

Jarvis si diede una rapida occhiata alle spalle. Dagli uffici interni della direzione, proveniva un insieme di suoni: telefoni che squillavano e dita che battevano su tastiere di computer, il tutto inframmezzato da rapidi sussulti di conversazioni. Tornò a girarsi verso di lei.

— Hai detto… informazioni?

— Già. Ero qui ieri mattina. Per un appuntamento.

— Con chi?

— È proprio questo che voglio sapere da te. Era nell’ufficio subito a destra appena entrati dalla fermata dell’autobus. Non ha nessuna insegna né niente. Quello vicino alla gelateria…