Forse ce l’aveva fatta a fermare l’emorragia. Forse poteva anche riuscire a chiamare qualcuno. Si spinse fino al telefono, sganciò il ricevitore e compose il numero delle emergenze. Dopo aver comunicato la propria posizione si lasciò andare sul letto, fradicio di sangue e di sudore. Non sapeva se sarebbe vissuto o no, ma aveva un unico pensiero in testa: Lisa. Jackson aveva preso Lisa. E avrebbe preso anche la madre. E lui non poteva far niente per evitarlo. Questo fu l’ultimo pensiero prima di perdere conoscenza.
Jackson osservava per la prima volta i lineamenti delicati di Lisa. “La stessa immagine della madre” pensava. “E lo stesso spirito combattivo.”
La bambina era abbandonata nel furgone, in stato di profonda incoscienza. — Eri ancora una neonata l’ultima volta che ti ho vista — sussurrò Jackson. — Mi dispiace per quello che succederà.
Le diede un buffetto sulle guance, e subito ritirò la mano. Roberta, Donovan, sua sorella Alicia, e ora questa ragazzina. Quanti ancora avrebbe dovuto ucciderne? Quando tutto fosse finito, sarebbe dovuto rimanere nascosto da qualche parte per almeno cinque anni, prima di riprendere la propria vita. Ma adesso doveva uccidere ancora.
— Sto arrivando, LuAnn — mormorò, rivolto all’oscurità della notte.
LuAnn Tyler saltò a sedere sul letto sfatto, respirando convulsamente, col cuore che le martellava nel petto.
— Tesoro… — Matthew Riggs si trascinò a sua volta in posizione seduta, le circondò le spalle tremanti con il braccio buono. — Che cosa c’è?
— Lisa…
— Come?
— È successo qualcosa a Lisa!
— LuAnn, stavi sognando. Solo un brutto sogno…
— L’ha presa. Ha preso la mia bambina. La stava toccando, Matthew! L’ho visto!
— LuAnn, credimi: non è successo niente a Lisa! — Riggs la costrinse a guardarlo. — Hai avuto un incubo. Chi non ne avrebbe in una situazione del genere? Perché non cerchi di calmarti?
LuAnn si liberò dalla sua stretta, saltò giù dal letto e accese la luce.
— Il telefono! Dov’è il cellulare?!
Lo trovò, pigiò sui tasti con furia e disperazione.
— Non risponde! — Rifece freneticamente il numero. — Charlie non risponde!…
— Sono le quattro del mattino! Perché accidenti dovrebbe rispondere? Lo avrà staccato!
— No! No! — LuAnn scosse la testa. — Non lo stacca mai, non capisci? MAI!
— D’accordo, non lo stacca mai. Allora forse s’è dimenticato di infilare la spina arrivando al motel. Gli si sarà scaricata la batteria…
— No! È successo qualcosa, qualcosa di terribile!
Riggs si alzò e la prese per le spalle, scuotendola violentemente.
— LuAnn, ascoltami. Lisa sta bene, e anche Charlie. Hai avuto un incubo. Domani li rivedremo e tutto andrà bene. Se ci muoviamo adesso e qualcuno ci segue, potrebbe essere tutto perduto.
Lei lo guardò, ancora spaventata. Poi si lasciò convincere dal tono tranquillizzante di Riggs a ritornare a letto e a spegnere la luce. Ma nel buio, LuAnn rimase a guardare il soffitto, pregando silenziosamente che fosse davvero solo un brutto sogno. Qualcosa dentro di lei le diceva che non era così.
56
I due agenti dell’Fbi si versarono del caffè dal thermos e lo sorseggiarono godendosi la calma del tardo mattino. Si stava alzando un vento freddo e nel cielo c’erano le avvisaglie di una perturbazione che avrebbe portato acqua a catinelle. Il posto di blocco dell’Fbi era stato approntato lungo la strada privata che portava a Wicken’s Hunt.
Intorno alle undici, i due agenti videro un’auto approssimarsi e fermarsi accanto a loro. La guidava Sally Beecham, la domestica di LuAnn Tyler, che tirò giù il finestrino e somministrò loro un sorriso di circostanza. Non aveva più l’aria spaventata di due ore prima, quando aveva lasciato la tenuta per andare a fare spese in città. I Federali non erano entrati nel dettaglio dell’operazione, ma le avevano semplicemente spiegato che lei non c’entrava e che doveva andare avanti con la sua routine quotidiana. Le avevano fornito comunque un numero di telefono da chiamare in caso notasse qualcosa di sospetto.
— Ne ha comprata di roba — disse l’agente accennando alle borse sui sedili posteriori dell’auto, e facendole cenno di passare. — Ma credo sarà difficile che la signorina Savage si presenti per cena. — Il collega grugnì sornionamente.
Un paio di minuti più tardi, i due agenti videro un furgone arrivare dalla statale.
Erano in due: un uomo anziano, che diceva di essere il giardiniere di Wicken’s Hunt, e uno giovane, il suo assistente. I loro documenti d’identità erano a posto. Anche secondo la centrale Fbi di Charlottesville, contattata via radio, i loro documenti d’identità erano in regola. Come pure i documenti del veicolo. Nell’interno c’erano falciatrice, carriola e attrezzi vari. Il giardiniere e il suo assistente vennero lasciati passare. Per sicurezza, uno degli agenti li seguì in macchina fino alla casa.
Per qualche ragione, l’allarme antifurto della proprietà era in funzione. L’agente balzò fuori dall’auto con l’arma in pugno. Il portone di Wicken’s Hunt era aperto e Sally Beecham, sulla soglia, stava trafficando con quello che doveva essere il quadro di controllo del sistema d’allarme.
Quando la sirena smise di suonare l’agente si tranquillizzò. Guardò il giardiniere e il suo fido assistente scaricare alcuni attrezzi dal furgone ammucchiandoli sulla carriola, e sparire dietro l’angolo della villa. Risalì in macchina e raggiunse il collega all’ingresso.
Riggs fece scorrere un ennesimo sguardo sul parcheggio del motel appena fuori Danville. Qualsiasi cosa fosse successa, loro erano arrivati troppo tardi. I poliziotti, gli infermieri e l’elicottero-ambulanza se ne erano andati da un pezzo. Da ciò che aveva raccontato il gestore del motel, non era chiaro se si fosse trattato di un’aggressione o di un tentato omicidio. Nella notte c’era stata una telefonata alla polizia e l’uomo nella stanza 112 era stato trovato in fin di vita, probabilmente per una ferita d’arma da taglio. Il direttore del motel non era in grado di dire se nella 112 ci fosse anche una bambina.
— Sei sicura che fosse la 112? — chiese Riggs a LuAnn.
— Certo che lo sono! — chiuse gli occhi. Lo sapeva. Sapeva che era successo qualcosa. Il pensiero di Lisa nelle mani di Jackson era intollerabile.
— Fammi capire, LuAnn: esisterebbe quindi una specie di… — Riggs scosse il capo, cercando le parole adatte — legame psichico tra Jackson e te?
— Non tra Jackson e me, maledizione! Tra mia figlia e me!
Quell’affermazione metteva fine a qualunque discussione. Riggs guardò LuAnn che cercava di riprendere fiato, con il volto tra le mani.
— D’accordo, LuAnn. — Le passò la mano tra i capelli. — Cerchiamo di saperne di più.
Non volendo recarsi dalla polizia, le cui domande potevano risultare imbarazzanti, Riggs risolse di telefonare direttamente a Masters. Gli spiegò per sommi capi quanto era successo al motel, e restò in linea in attesa di informazioni.
Appoggiato alla parete della cabina, cercò gli occhi di LuAnn. Tentò di abbozzare un sorriso rassicurante, ma non riuscì. Non c’era nulla di rassicurante in quella situazione.
— Matthew… — La voce di Masters tornò a farsi sentire.