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Lisa ebbe un fremito nel cogliere la minaccia di quelle parole. — Tu vuoi farle del male, non è vero? — gridò tentando di ricacciare indietro le lacrime. — Quando lei verrà a prendermi, tu le farai del male!…

— In caso ti servisse qualsiasi altra cosa, non hai che da farmelo sapere.

— Non fare del male alla mia mamma! Ti prego!…

Jackson fece del suo meglio per ignorare la supplica di Lisa, così come il suo pianto, che lentamente andava esaurendosi in sommessi singhiozzi. Aveva visto Lisa quando era un’infante di otto mesi di vita, la rivedeva ora, sbocciata in una splendida bambina. Se LuAnn non avesse accettato la sua offerta, quasi certamente Lisa sarebbe finita in un orfanotrofio. Ma ora era lì da sola, legata su una sedia e bendata, il capo chino sul petto, tentando di combattere l’angoscia. Davvero troppo, per una bambina di dieci anni. Forse sarebbe stato addirittura meglio crescere in una famiglia di estranei, senza aver mai conosciuto la sua vera madre.

Jackson non avrebbe voluto fare del male a Lisa, ma così girava il mondo. La vita è ingiusta, aveva detto a LuAnn nel corso del loro primo incontro. Se si vuole qualcosa, bisogna prenderla, prima che lo faccia qualcun altro. Solo i più furbi, i più dotati possono sopravvivere. Gli altri sono destinati a soccombere.

Cercò di rilassarsi, conservando le energie per le mosse successive. Non mancava molto all’inizio. Né alla fine.

57

Era la prima volta che LuAnn metteva piede in un ospedale, ma quel giorno non aveva tempo per rifletterci. Il suo unico pensiero era per l’uomo che stava cercando: Charlie. Superò quasi di corsa il cartello con le indicazioni per i vari reparti nel vasto atrio dell’Ospedale dell’Università della Virginia, dotata di una rinomata unità traumatologica.

C’era un poliziotto in uniforme a piantonare la stanza privata del paziente Robert Charles Thomas. S’irrigidì nel vedere LuAnn che puntava verso la porta a passo di carica.

— Mi dispiace, signora — disse l’agente sbarrandole la strada. — Non sono ammesse visite.

LuAnn stava per reagire violentemente quando sopraggiunse Riggs.

— Come va, Billy?

L’agente si voltò e la sua espressione si distese. — Non male. E tu?

Riggs indicò la fasciatura. — Niente pallacanestro, almeno per un po’. — Accennò a LuAnn. — La signora è nipote del signor Thomas. Ti dispiace se entriamo?

— Matt, sono stati chiari alla centrale: niente visite.

— Solo per un momento — disse LuAnn in tono gentile.

L’agente si fece da parte. LuAnn entrò per prima e Riggs la seguì, stringendo il braccio al poliziotto in segno di ringraziamento.

Charlie era pallidissimo in volto, ma i suoi occhi rimanevano guizzanti e vigili. Quando vide LuAnn, accennò un sorriso.

— È bello rivederti — sussurrò.

LuAnn si avvicinò e gli prese una mano tra le sue. — Grazie a Dio, sei vivo.

La porta si aprì e un uomo di mezza età in camice bianco con una cartellina in mano entrò nella stanza. — Sono il dottor Reese — si presentò.

— Matt Riggs. Lei è la signorina Savage, nipote del paziente.

— Il signor Thomas è stato certamente abile con quel laccio emostatico di fortuna. Ha fermato l’emorragia prima che fosse troppo tardi.

— Questo vuol dire che è fuori perìcolo?

— Senza dubbio. Gli abbiamo praticato parecchie trasfusioni e abbiamo suturato la ferita. Ora tutto ciò che gli serve è il riposo, per recuperare le forze.

— Io sto benissimo — disse Charlie accennando a mettersi seduto. — Quando potrò uscire?

— Ci vorranno almeno un paio di giorni prima che possa rimettersi in piedi.

Charlie assunse un’aria depressa.

— Tornerò domani mattina a darle un’occhiata. — Si rivolse a Riggs e LuAnn. — Nel frattempo, non lo stancate. Deve riposare.

Non appena la porta si richiuse alle spalle del medico, Charlie afferrò la mano di LuAnn. — E Lisa?

Lei riuscì solo a chiudere gli occhi e ad abbassare la testa, mentre lacrime copiose le rigavano il volto.

— Ho detto alla polizia tutto quello che sapevo — Charlie si rivolse a Riggs. — Però non prenderanno quel figlio di puttana nemmeno in cent’anni. Dobbiamo fare qualcosa. Si è messo in contatto con voi?

— Sarò io a contattarlo — disse LuAnn. — Ma prima dovevo venire da te, Charlie. Mi avevano detto che eri in pericolo di vita.

— Ci vuole ben altro — accennò Charlie con una smorfia. — Mi dispiace, LuAnn, ci sono cascato come l’ultimo degli idioti. Ha chiamato nel mezzo della notte, imitando la voce di Matthew. Ha detto che i Federali aveva beccato Jackson. Ha detto di fare i bagagli e di mettersi immediatamente in strada per Washington, in modo da incontrare voi all’Hoover Building. Così ho abbassato la guardia, ma avrei dovuto capire che era una trappola…

— Hai rischiato di morire per Lisa e anche per me. — LuAnn gli passò una mano sulla fronte.

Charlie allargò le braccia e la strinse forte a sé.

— Andrà tutto bene — aggiunse LuAnn, con più ottimismo di quanto non provasse in quel momento.

— Conosci quell’uomo. Può farle qualunque cosa.

— Lui vuole me. — LuAnn scambiò uno sguardo con Riggs. — L’Fbi sa qual è la sua vera identità, gli sta addosso e sta mandando a pezzi il suo intero sistema. È stato costretto a uccidere: Donovan, Bobbie Jo Reynolds e probabilmente sua sorella… E ritiene che la causa dei suoi problemi sia io.

— È pazzo!

— Ma lo pensa davvero.

— Quale sarebbe il piano d’attacco, LuAnn? — disse Charlie con determinazione. — Vai semplicemente a buttarti tra le sue grinfie?

— È proprio quello che pensavo anch’io — s’intromise Riggs. — LuAnn, non puoi fargli una telefonata dicendo: “Non si preoccupi, signor Jackson, arrivo lì subito così può ammazzare anche me”.

LuAnn tacque.

— Riggs ha ragione — disse Charlie sbarazzandosi delle coperte.

— Cosa diavolo stai cercando di fare? — insorse LuAnn.

— Mi vesto.

— Non hai sentito cosa ha detto il dottore?

— Sono vecchio, e il mio udito non è più quello di una volta.

— Ma Charlie…

— Ascolta, LuAnn — riprese Charlie inciampando nel tentativo di infilarsi i pantaloni. LuAnn lo sostenne per il braccio sano, mentre Riggs lo reggeva dall’altra parte. — Io non ho nessunissima intenzione di restarmene qui sdraiato in un letto mentre Lisa è nelle mani di quell’uomo. Che tu lo approvi o no, non mi interessa.

LuAnn annuì. — Sei un vecchio orso testardo. Lo sai vero?

— Un braccio funziona ancora — continuò Charlie. — Lascia che riesca a metterlo attorno al collo di quel figlio di puttana…

— Ehi, con il mio, di braccia che funzionano ne abbiamo due — disse Riggs alzando il suo braccio ferito.

— E come la mettiamo con il tipo lì fuori? — chiese LuAnn appoggiandosi le mani sui fianchi.

— Ci penso io — disse Riggs.

LuAnn raccolse il resto della roba di Charlie, incluso il cellulare, e infilò tutto in una borsa di plastica dell’ospedale.

Quando Charlie si fu rivestito, Riggs si avviò alla porta della stanza. — Ehi, Billy, non è che andresti giù al bar a prendermi un paio di tazze di caffè e qualcosa da mettere sotto i denti? Ci andrei io, ma con questo braccio non ce la faccio a portare niente. E poi — aggiunse abbassando la voce — lei ha i nervi a pezzi e non mi va di lasciarla sola.

— Vedi, Matt, il fatto è che non potrei abbandonare il posto…

— Do io un’occhiata, non ti preoccupare — replicò Riggs tirando fuori dei soldi dalla tasca. — E prenditi qualcosa anche tu. L’ultima volta che abbiamo giocato insieme, ti sei divorato un’intera pizza da solo. — Riggs lanciò un’occhiata sorniona al fisico massiccio dell’ex collega. — Ehi, non vorrei proprio che tu corressi il rischio di dimagrire.