Il sopracciglio di Beth che s’inarcava evidenziò quanto lei fosse d’accordo con Erankie.
— E tante grazie per volermi dire com’è che devo vivere la mia vita — disse LuAnn folgorandoli entrambi, e si accinse ad andare a cambiarsi. — E ora, con il vostro permesso…
Più tardi, seduta a un tavolo in un angolo, LuAnn spinse da parte il piatto con il poco che restava di quanto Beth le aveva messo insieme; rimase immobile a sorseggiare il caffè appena fatto.
Fuori, la pioggia continuava a cadere sul paesaggio verde scuro della Georgia. Il suo tamburellare contro la copertura di alluminio del locale aveva un che di rassicurante.
LuAnn si strinse nel golf leggero che teneva intorno alle spalle e lanciò uno sguardo all’orologio a muro dietro il bancone. Ancora due ore prima di montare. Di solito, quando arrivava al Number One in anticipo, l’idea era di raggranellare un po’ di straordinari. Ma adesso il direttore non ci stava più.
Abbiamo toccato il fondo, mia cara, era stata la sua spiegazione.
Be’, gli aveva risposto lei senza tanti complimenti, se è per questo anch’io ho toccato il fondo.
Non era servito. Perlomeno, continuava a permetterle di tenere Lisa con sé. In caso contrario, LuAnn non avrebbe avuto nemmeno quell’infimo impiego. L’altro aspetto positivo era che veniva pagata in nero. E niente busta paga, niente tasse. Ci mancavano solo quelle… Tra l’altro, LuAnn Tyler non aveva mai presentato una denuncia dei redditi. Con l’intera vita trascorsa al di sotto della soglia della povertà, si riteneva pienamente in diritto di non dover pagare le tasse.
LuAnn allungò una mano e rimboccò la coperta di lana intorno a Lisa, addormentata accanto a lei nel suo seggiolino. Le aveva dato un po’ del suo cibo. Lisa cominciava a tollerare davvero bene il nutrimento solido. Forse, però, non stava riposando nel modo giusto. Forse, il tenerla infilata sotto il bancone di quella tavola calda rumorosa, fumosa e puzzolente, le stava procurando chissà quali danni a venire. Forse la sua personalità ne avrebbe risentito. LuAnn era certa di aver letto qualcosa del genere su una rivista, o magari di averlo visto in TV. Era un’idea che le dava gli incubi.
Ma c’era di più. Quando avrebbe dovuto nutrire Lisa con cibo solido con ritmi da adulto, ce ne sarebbe stato abbastanza? Sarebbe davvero riuscita a dare da mangiare a sua figlia? Senza macchina, sempre su e giù da quei dannati autobus, che cosa sarebbe accaduto se sua figlia si fosse ammalata? O se lei stessa si fosse ammalata? E se avesse perduto il lavoro? Che ne sarebbe stato di Lisa? LuAnn Tyler non aveva alcun tipo di sussidio di disoccupazione, né di assicurazione sanitaria. Per le visite e le vaccinazioni portava Lisa all’ospedale della contea. Per contro, lei non vedeva un medico da oltre dieci anni. D’accordo, era giovane e di buona salute, ma tutto poteva andare in pezzi nel tempo di uno schioccare di dita. Non si poteva mai sapere.
Naturalmente c’era Duane Harvey. Il grande, generoso Duane Harvey che si prendeva cura della lista senza fine delle necessità quotidiane di Lisa. Certo! Alla sola remota prospettiva di cambiare un pannolino, quel povero idiota fradicio di birra sarebbe scappato urlando nei boschi. Le venne quasi da ridere. Ma non era proprio il caso.
LuAnn studiò il ritmo del respiro di Lisa, che dormiva con la boccuccia semiaperta. Sentì come una mano di ghiaccio stringerle lo stomaco. Sua figlia dipendeva da lei per tutto. Letteralmente tutto. Ma la realtà era che LuAnn non aveva nulla. La realtà era che lei, giorno dopo giorno, si avvicinava sempre più al confine del nulla. E per il collasso finale era solo questione di tempo.
Un ciclo. Questo aveva detto Jackson.
Prima sua madre. Poi lei, LuAnn. Perfino Duane Harvey cominciava ad assomigliare a Benny Tyler, in tutti i sensi. E Lisa, la creatura per la quale lei non avrebbe esitato a uccidere, o si sarebbe fatta uccidere, era l’ultima dell’appello. Benvenuti in America, terra delle opportunità. Ma certo, bastava solo aprire la porta giusta. Il problema era che a lei, LuAnn Tyler, qualcuno si era dimenticato di dare le chiavi. O forse quel qualcuno non si era affatto dimenticato. Forse c’era piena premeditazione. Perlomeno, era questa la prospettiva secondo la quale LuAnn vedeva le cose quando tutto andava male, come adesso.
Scosse il capo, come a voler scuotere via anche il carico di quei pensieri. Vedere le cose a quel modo, qui e ora, non le sarebbe stato di nessun aiuto. Frugò nella borsa e tirò fuori il notes con gli appunti ricavati dai microfilm. Appunti che davano molto da pensare.
Sei vincitori della Lotteria Nazionale. LuAnn era partita da quelli dell’autunno scorso per risalire fino al presente. Aveva trascritto i loro nomi e le loro storie personali. Gli articoli sul giornale erano corredati delle loro foto scattate al momento della vincita. Sorrisi che sembravano brillare di luce propria.
Judith Davis, trentasette anni, madre di tre figli ancora piccoli, sopravvivenza affidata agli assegni familiari.
Herman Rudy, cinquantotto anni, ex camionista infortunatosi sul lavoro e strangolato da colossali spese mediche.
Wanda Tripp, trentasei anni, vedova, disoccupata, esistenza grama appesa a quattrocento dollari al mese di sussidio di disoccupazione.
Randy Stith, trentuno anni, vedovo da poco, padre di un bimbo in tenera età, operaio appena licenziato da una fabbrica.
Bobbie Jo Reynolds, trentatré anni, cameriera a New York; dopo la vincita da sessantacinque milioni di dollari aveva deciso di abbandonare i suoi sogni di gloria come attrice, scegliendo di dipingere nature morte in qualche località del Sud della Francia.
Raymond Powell, l’ultimo vincitore in ordine di tempo, quarantaquattro anni, costretto da una bancarotta a vivere in un ospizio per senzatetto.
LuAnn si rilassò contro lo schienale, come se fosse di colpo priva di forze.
LuAnn Tyler, vent’anni, madre di una bambina in fasce, niente marito, niente soldi, niente futuro.
Perfetta, assolutamente perfetta per completare, o forse per continuare, quella pattuglia di gente disperata.
Le sue ricerche erano arrivate solamente a sei mesi prima. Quanti altri ne esistevano? Come colpi giornalistici, erano formidabili: tutta gente alla canna del gas, che di colpo si ritrovava al settimo cielo. Vecchi proiettati in una nuova ricchezza. Bambini piccoli improvvisamente al cospetto di un radioso futuro. Sogni, tanti sogni, di colpo divenuti realtà.
Qualcuno sarà il vincitore.
La faccia di Jackson, cosi calma, così controllata.
Perché non lei, LuAnn?
La voce di Jackson. Così perfetta, così seducente.
LuAnn aveva l’impressione di scivolare sempre più rapidamente giù da una diga senza fine. E acque profondissime, insondabili. Il fascino dell’ignoto. Qualcosa che nel contempo la spaventava e la attraeva. Guardò di nuovo Lisa. E di nuovo fu preda di un incubo ricorrente: una bambina che diventa donna, in una roulotte assediata da giovani lupi famelici.
— Che succede, tesoro?
Beth la stava osservando con materna simpatia, eseguendo un formidabile numero di equilibrismo con troppi piatti in bilico per due sole braccia.
— Non molto. Davo solo un’occhiata alle mie fortune. Beth sogghignò lanciando uno sguardo al blocco per appunti.
LuAnn si affrettò a richiuderlo.
— E allora lascia che ti dica una cosa, signorina LuAnn Tyler. Quando alla fortuna grossa ci arriverai, non dimenticarti dei tuoi primi e soli amici di Rikersville, Georgia — e si rimise in movimento con le portate per i vari tavoli.
— Puoi starne certa — disse LuAnn rivolgendole un sorriso incerto. — Te lo giuro.