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Erano le otto del mattino del giorno zero quando LuAnn, con Lisa nel seggiolino, scese dall’autobus. Non era la sua solita fermata, e si trovava a una mezzoretta di cammino dalla Airstream. La pioggia era cessata. La tempesta aveva lasciato dietro di sé un cielo blu cobalto a sovrastare vasti paesaggi color verde cupo.

In qualsiasi direzione si guardasse, erba novella e germogli cominciavano ad apparire dalla terra scura. Un altro, lento inverno era finito. Stormi di uccelli volavano cinguettanti sui campi, festeggiando il cambiamento di stagione. Questo era il momento della giornata che LuAnn preferiva. Calmo, rilassante.

Sembrava alimentare la speranza.

LuAnn osservò le ampie ondulazioni erbose davanti a sé. Superò un portale ad arco, oltre una lastra di marmo con una scritta scolpita a lettere dai contorni ben definiti:

HEAVENLY MEADOWS CEMETERY

Camposanto dei Pascoli del Cielo. Come per volontà propria, i suoi piedi affusolati la guidarono verso il Campo 14, Sezione 21, Area 6. La tomba si trovava sulla sommità di una delle collinette, al cospetto di un’antica quercia sulla quale sarebbero presto tornate le foglie, portatrici di una fresca, grande ombra.

LuAnn posò il seggiolino su una panchina di pietra e prese Lisa in braccio. S’inginocchiò sull’erba piena di rugiada e tolse dalla lapide alcune foglie, umide di pioggia. La vita di Joy Tyler era stata breve, meno di trentasette anni, ma era stata anche un’eternità di sofferenza. Gli anni passati al fianco di Benny Tyler avevano accelerato l’uscita di Joy da questo mondo. LuAnn ne era assolutamente certa.

— Ti ricordi, Lisa? — LuAnn puntò il piccolo indice della bambina verso la lapide. — È qui che dorme la tua nonna. Non siamo venute a trovarla per un po’ perché c’è stato il tempo cattivo. Ma adesso che c’è la primavera, veniamo da lei di nuovo. E quando veniamo, anche se dorme, è come se lei si alza. E se tu apri bene le tue orecchiette, se tu chiudi gli occhi stretti stretti come quelli di un uccellino, se tu ascolti bene, ma proprio bene, allora senti che la nonna ci parla. Senti che ci dice come la pensa sulle cose.

LuAnn andò a sedersi sulla panchina di pietra, con Lisa sulle ginocchia, proteggendola dall’aria fredda del primo mattino. Lisa era ancora insonnolita. Le ci voleva sempre un po’ per svegliarsi, dopodiché non avrebbe più cessato di muoversi e di parlare per parecchie ore. Intorno a loro, il Camposanto dei Pascoli del Cielo era deserto. Un’unica solitaria figura, un giardiniere in sella a una motofalciatrice, era visibile a distanza. Lo scoppiettare del motore lontano si perdeva nel vento. Sulla collinetta regnava la pace. Così anche LuAnn chiuse gli occhi stretti stretti, come quelli di un uccellino.

E si mise in ascolto…

Avrebbe fatto quella telefonata.

Aveva pensato di chiamare non appena finito di lavorare alla tavola calda. Jackson aveva detto in qualsiasi momento. Probabilmente era rimasto in attesa, pronto a rispondere al primissimo squillo. L’ora non aveva alcuna importanza. Chiamare Jackson, certo.

Dirgli che accettava il contratto.

La cosa più semplice di tutte. E la più intelligente. Era il suo turno. Dopo vent’anni passati negli abissi della delusione, della sofferenza e del dolore, finalmente la fortuna le stava sorridendo. Fra miliardi di nomi era proprio uscito il suo: LuAnn Tyler. Un’occasione da cogliere al volo. Ed era questa la prima certezza: una simile occasione non si sarebbe ripresentata mai più. Seconda certezza: anche gli altri vincitori, dei quali LuAnn aveva letto nei microfilm, avevano fatto quella telefonata. Terza e ultima certezza: per quella gente lei non aveva trovato traccia di guai successivi. E quello era proprio il genere di notizia che avrebbe avuto una vasta risonanza specialmente in un’area depressa come Rikersville, dove tutti giocavano alla lotteria in modo quasi ossessivo, nel tentativo di evadere dalla prigione senza sbarre della povertà.

Ma quando LuAnn Tyler credeva di avere già preso la propria decisione, qualcosa dentro di sé le aveva impedito di correre al più vicino telefono nel tragitto fra la tavola calda e la fermata dell’autobus. Invece, LuAnn aveva scelto di ascoltare la voce di qualcun altro. Spesso era venuta su questa collinetta, per parlare con sua madre, per deporre fiori sulla sua lapide, per tenere pulito il luogo del suo infinito riposo, arrivando alla convinzione di essere effettivamente in grado di comunicare con Joy. Non si trattava di voci. Erano impressioni, sensazioni, percezioni. A volte, qui sulla collinetta, LuAnn sentiva una grande euforia, oppure una grande tristezza. Alla fine, aveva accettato che quel qualcosa, qualsiasi cosa fosse, continuasse a esistere. Sia per lei, sia per la sua bambina. I dottori, quasi certamente, avrebbero definito quel qualcosa una forma di pazzia, LuAnn lo sapeva. Ma per lei non faceva la minima differenza.

E ora, al mattino del giorno zero, LuAnn sperava che il qualcosa sulla collinetta le parlasse, le dicesse che cosa fare. Sua madre le aveva insegnato molto chiaramente la differenza tra giusto e sbagliato. LuAnn non aveva raccontato menzogne fino a quando non aveva cominciato a vivere con Duane. Da allora in poi le bugie, le mistificazioni e le distorsioni si erano come generate a getto continuo, condizione irrinunciabile della sua sopravvivenza. Tuttavia, in vita sua LuAnn Tyler non aveva mai rubato, né aveva mai fatto alcunché di realmente malvagio. Ed era così che aveva potuto conservare la dignità e il rispetto di sé, traendone sostegno per affrontare un futuro in cui la speranza di un cambiamento andava facendosi di giorno in giorno più flebile.

Ma oggi, giorno zero, quel qualcosa sulla collinetta taceva.

La motofalciatrice si era avvicinata, e il martellare del motore cominciava a filtrare nel vento, disturbandola. LuAnn riaprì gli occhi, con un gran sospiro. Niente da fare. Sua madre sembrava non essere sempre disponibile. Quanto meno, non lo era affatto oggi, giorno zero. LuAnn si alzò e si preparò ad andarsene.

Fu a questo punto che ebbe una percezione.

Non le era mai successo niente del genere, prima d’ora. Il suo sguardo si spostò verso una diversa sezione del cimitero, lontana circa cinquecento metri. Come se un altro qualcosa la stesse richiamando da quella parte. E LuAnn Tyler sapeva perfettamente di che cosa si trattava. Si mosse a passi incerti lungo uno degli stretti sentieri lastricati che serpeggiavano tra le tombe, oltre il crinale della collinetta, mentre il rumore della motofalciatrice veniva nuovamente inghiottito dalla distanza. Tenne Lisa stretta al petto, quasi che quella forza invisibile potesse strappargliela via. LuAnn continuò a camminare sotto un cielo che di colpo pareva diventare color dell’inchiostro, nel vento improvvisamente gelido che soffiava fra le pietre tombali.

La lapide di bronzo era identica a quella di sua madre. Anche parte del nome era lo stesso:

BENJAMIN HERBERT TYLER

LuAnn osservò le lettere incise, dalle quali le intemperie avevano fatto colare frastagliate tracce di corrosione. Dal giorno della sua morte, era questa la prima volta che LuAnn visitava la tomba di suo padre. Al funerale aveva tenuto stretta la mano di sua madre, e tutt’e due avevano esibito la giusta faccia di circostanza per i congiunti e gli amici. Tutt’e due in realtà non provavano la minima tristezza, la minima sofferenza. Per lo strano modo in cui a volte gira il mondo, Benny Tyler era stato enormemente popolare fra la gente di Rickersville per la sua gentilezza e per la sua generosità. Con tutti tranne che con sua moglie e sua figlia. Con loro non era mai stato né gentile né generoso.