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Da qualche parte alle sue spalle udì un lamento. Lisa! Dov’era Lisa? Poi ci fu un altro suono, qualcosa che poteva essere un fruscio. La mano del killer aveva cominciato a muoversi, a sollevarsi. Verso Lisa! LuAnn buttò via la bustina con la polvere bianca e si precipitò per il corridoio. Usando il braccio buono strappò dal pavimento il seggiolino in cui si trovava sua figlia, che nel vedere sua madre era scoppiata a urlare, e si gettò fuori dalla Airstream. La zanzariera sbatté contro l’esterno della roulotte con uno schianto che parve lo scoppio di un petardo.

LuAnn sfrecciò davanti alla macchina da pappone, e quando fu oltre gettò una frenetica occhiata dietro di sé. L’imponente massa di carne che lei aveva abbattuto con il telefono non era apparsa sulla porta per darle la caccia. O perlomeno non ancora. Gli occhi di LuAnn volarono al cruscotto, alle chiavi lasciate nel quadro. Investito dai raggi del sole, l’acciaio nichelato scintillava come una tentazione ricoperta di diamanti. LuAnn esitò solo un istante, dopodiché lei e Lisa erano già a bordo. Il motore a otto cilindri si avviò con un ruggito e il retrotreno sbandò sul terreno intriso di pioggia, mentre i pneumatici facevano volare fango scuro in ogni direzione. Cercando di tenere a bada i propri nervi, LuAnn imboccò lo sterrato e superò il dosso. Lasciò dietro di sé il killer, la droga e la Airstream. E Duane Harvey.

L’improvvisa ricchezza di Duane faceva parecchio pensare. Vendere droga rendeva evidentemente molto di più che svuotare automobili lungo l’interstatale. Solo che Duane aveva tentato di tenere per sé un po’ troppa polvere bianca, o un po’ troppa grana verde. O entrambe.

LuAnn svoltò sulla statale, facendo stridere le gomme della macchina da pappone. Doveva avvertire la polizia. C’era ancora una remota possibilità che Duane non fosse morto, anche se salvarlo significava garantirgli un lungo soggiorno nelle patrie galere. Ma se non era morto, lei non poteva permettere che lo diventasse. Quanto all’energumeno, non poteva fregargliene di meno. L’unica cosa che le scocciava era di non aver avuto a disposizione qualcosa di più pesante con cui sfondargli il cranio.

LuAnn lanciò un’occhiata a Lisa. Vide un visino terrorizzato, labbra e gote che ancora tremavano per la paura. Allungò il braccio malconcio per calmare la piccola. Un gesto semplice, breve. Eppure, per non urlare di dolore fu costretta a mordersi le labbra. Quanto al collo, le doleva come se ci fosse passato sopra un camion. Il suo sguardo si spostò sul telefono cellulare. Doveva avvertire, dare l’allarme.

Fermò la macchina in una piazzola di sosta, staccò il ricevitore dal supporto e armeggiò nervosamente con l’apparecchio prima di riuscire a comporre il numero.

— Nove-uno-uno — disse una voce di donna. — Qual è la vostra emergenza?

LuAnn Tyler staccò la comunicazione. Stava osservando le proprie dita, che tremavano così convulsamente da non riuscire a stringersi in un pugno. Sangue suo. E di qualcun altro. In quella storia c’era dentro anche lei. In pieno. Quel maledetto energumeno aveva cercato di rialzarsi, d’accordo, ma per quanto ne sapeva lei, poteva essere crollato nuovamente e aver tirato le cuoia dieci secondi dopo. E in quel caso era stata lei a farlo fuori. Legittima difesa? Certo, ma chi le avrebbe creduto? Era un trafficante di droga. E lei adesso era al volante della sua macchina.

Si girò di scatto, guardandosi intorno. Alcune auto stavano arrivando in senso inverso. La cappotta. Doveva chiuderla. Subito! LuAnn scavalcò lo schienale e si protese oltre i sedili posteriori. Afferrò per l’estremità la bianca copertura, la trasse prima verso l’alto e poi a chiudersi su Lisa e su di lei come una valva protettiva. Infine serrò le maniglie di bloccaggio, si lasciò cadere di nuovo dietro al volante e ripartì di gran carriera.

Anche Duane trafficava droga. Chi avrebbe creduto che lei non ne sapeva niente? Chi avrebbe accettato quella verità? Nessuno, assolutamente nessuno. Nemmeno lei riusciva ad accettarla. Era in trappola, con le spalle al muro. E questa era un’altra verità, molto più brutale. LuAnn la sentì propagarsi lungo i suoi nervi e dentro la sua mente, divorante come un incendio di sterpaglie. Fu costretta a compiere uno sforzo violento per non mettersi a urlare. Uno sforzo ancora più violento per allontanare l’immagine di sua madre.

Non posso farcela, mamma. Non ho più scelta.

Perché adesso era costretta a fare quella telefonata a Jackson.

Lo sguardo di LuAnn schizzò alla plancia, al piccolo orologio cromato al centro del cruscotto. E di nuovo, si sentì mancare il respiro.

Alle dieci e un minuto…

Come se i suoi polmoni non riuscissero a spingere l’aria dentro e fuori.

l’offerta sarà scaduta.

Come se il suo sangue stesse evaporando all’interno del sistema circolatorio.

Scaduta per sempre.

L’orologio segnava cinque minuti dopo le dieci.

LuAnn arrestò l’auto sulla banchina e si afflosciò in avanti, la fronte contro il volante. Jackson aveva parlato sul serio. Su questo non poteva sussistere neppure l’ombra di un dubbio. Lisa… Che cosa ne sarebbe stato di lei se sua madre fosse finita dietro le sbarre? Duane… Quello stupido, maledetto figlio di puttana. L’aveva fottuta da vivo e la stava fottendo anche da morto, in modo addirittura peggiore.

LuAnn sollevò la testa, si guardò intorno stringendo le palpebre sugli occhi pieni di lacrime. Lentamente, il paesaggio tornò a fuoco.

C’era una banca, dalla parte opposta della strada. Una struttura di cemento dall’aspetto impenetrabile, quasi minaccioso. Se avesse avuto con sé una pistola, LuAnn avrebbe seriamente considerato la possibilità di giocarsi la rapina a mano armata. A questo punto, che cosa aveva da perdere? Solo che oggi era domenica: il parcheggio era deserto, la banca chiusa. La cifra dei minuti scattò sull’orologio digitale sulla parete esterna, e l’improvviso fiotto di adrenalina che ne derivò la scosse come una scarica elettrica ad alto voltaggio.

Le dieci meno cinque.

E i bancari sono gente precisa. E anche i loro orologi devono esserlo.

LuAnn affondò una mano in tasca, frugando freneticamente alla ricerca del foglietto con su scritto il numero di Jackson. Dov’era quel maledetto?… Lo trovò. Strappò dal supporto il ricevitore del telefono cellulare e cercò di premere i pulsanti, con la propria coordinazione motoria che pareva andata in cortocircuito. Tempo… Quanto gliene rimaneva? Il ponte radio completò la connessione. Chissà dove, un telefono doveva essersi messo a suonare. Una volta. Due volte…

— Stavo cominciando ad avere qualche perplessità nei suoi confronti, LuAnn — disse la voce di Jackson.

LuAnn se lo figurò seduto in un locale in penombra, mentre consultava il proprio orologio, meravigliandosi di quanto vicino al limite estremo lei fosse potuta arrivare.

— Penso che… — LuAnn deglutì a fatica, riprendendo fiato — che mi è proprio volato vìa il tempo, ecco. Ho avuto un sacco da fare.

— Quale prodigiosa disinvoltura da parte sua, LuAnn. Quanto mai sorprendente, mi consenta.

— Cosa succede adesso?

— Non sta dimenticando qualcosa?

LuAnn si sentì strangolare. — Che… che cosa? — La mente sembrò piombarle nel buio. Di cosa diavolo stava parlando? E se veramente fosse stato tutto un orribile scherzo?

— Io le ho fatto un’offerta, LuAnn. Se lei e io vogliamo stipulare un contratto che sia legalmente valido, lei deve accettare chiaramente la mia offerta. Forse è una formalità, ma sono comunque costretto a insistere.