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Rikersville stava morendo. E quella maledetta roulotte in rovina, circondata da altre rovine, era la tomba ancora scoperchiata di Duane Harvey. Lui non se ne sarebbe mai tirato fuori. Anzi, ci sarebbe ancor più sprofondato.

Può diventare anche la tua tomba, LuAnn Tyler.

No, non sarebbe accaduto. Non dopo quell’appuntamento. LuAnn ripiegò il fogliettino e lo mise nella borsetta. Da una piccola scatola in un cassetto prelevò gli spiccioli necessari per l’autobus. Finì di sistemarsi i capelli e di aggiustarsi il vestito. Infine prese Lisa e uscì piano piano dalla Airstream.

Si lasciò dietro la radura disseminata di rottami.

E Duane Harvey.

3

Qualcuno bussò alla porta. Colpi secchi e decisi.

L’uomo si alzò da dietro la scrivania, si aggiustò il nodo alla cravatta e aprì il dossier che aveva davanti. Esili fili di fumo azzurrino si sollevavano dai resti di tre sigarette schiacciate nel posacenere.

— Avanti.

LuAnn Tyler entrò, dandosi una rapida occhiata intorno. La mano sinistra era serrata intorno al manico del seggiolino portatile in cui si trovava Lisa. Anche gli occhi della bambina esploravano in ogni direzione, pieni di curiosità. Dalla spalla destra di LuAnn pendeva una grossa borsa. L’uomo osservò il percorso di una vena superficiale che scendeva lungo il bicipite ben tornito di lei. Ne studiò le biforcazioni e le ramificazioni nel labirinto di vene più piccole sul suo avambraccio, ugualmente ben definito. Nessun dubbio che quella donna fosse fisicamente forte. E mentalmente? Sarebbe stata altrettanto forte?

— È lei Jackson?

LuAnn glielo chiese senza levargli gli occhi di dosso, attendendo che anche lui, come ogni altro uomo prima di lui, completasse l’inventario: collo, seni, ventre, fianchi, gambe eccetera. Livello culturale, posizione sociale, nessuna di queste cose aveva la minima importanza: di fronte a lei, ogni uomo si comportava puntualmente nell’identico modo.

Ma non questo uomo.

— Sì, sono Jackson — e i suoi occhi non si staccarono nemmeno un istante da quelli di lei. Le tese la mano.

LuAnn la strinse con vigore.

— Grazie per essere venuta, signorina Tyler. Si accomodi, la prego. Sua figlia è bellissima. — Jackson accennò a un angolo della stanza. — Perché non la sistema lì?

— Si è svegliata appena adesso. Prima la camminata, poi la corsa con il bus… lei è abituata ad addormentarsi in questi casi. Me la tengo vicina, se non le dà noia.

Come a sottolineare la propria approvazione, Lisa emise gridolini eccitati, indicando chissà cosa d’interessante.

— Naturale che non mi dia noia, signorina Tyler.

LuAnn posò il seggiolino accanto a sé e diede a Lisa un paio di grosse chiavi di plastica perché ci giocasse. Poi si raddrizzò e concentrò la propria attenzione su Jackson. Indossava un abito costoso. Una linea di sudore gli attraversava la fronte in orizzontale, simile a un filo di microscopiche perle. Per qualche ragione, LuAnn credette di percepire qualcosa in lui. In qualsiasi altra circostanza, lo avrebbe definito nervosismo. Di fronte a lei gli uomini avevano quasi sempre due sole linee di condotta: comportarsi da idioti per fare colpo, oppure rinchiudersi come lumache nel loro guscio.

Non questo uomo.

— Non ho visto l’insegna di fuori. — LuAnn lo osservò con espressione incuriosita. — Senza l’insegna, nessuno sa che siete qui.

— Fa parte della mia linea professionale. — Jackson le mostrò un sorriso contratto. — La discrezione è un elemento chiave. Non è importante che la gente che frequenta questo centro commerciale sappia se noi siamo qui o no. Il nostro giro di affari si sviluppa strettamente per appuntamenti, contatti telefonici e questo genere di cose.

— Allora sono io il solo appuntamento adesso. Ho visto che la stanza d’aspetto è vuota.

— Scaglioniamo gli incontri in modo da evitare attese inutili. — Jackson appoggiò la mano sul mento, contraendo appena un angolo della bocca. — Io sono il rappresentante unico per questa città.

— Cioè, voi fate affari anche in altre città?

— Signorina Tyler, le dispiace riempire questo modulo? — Jackson aveva semplicemente ignorato la domanda. — Nient’altro che un questionario personale, uno standard — e intanto aveva fatto scivolare verso di lei uno stampato e una penna. — Nessuna fretta.

Con movimenti della penna rapidi e secchi, LuAnn scrisse quanto era richiesto. Jackson la osservò impassibile. Quando LuAnn ebbe finito, lui diede una rapida scorsa al modulo. Non era necessario. Jackson sapeva già tutto quello che c’era da sapere su LuAnn Tyler.

Lei diede un’altra occhiata in giro. Si era sempre ritrovata a essere il non così oscuro oggetto del desiderio degli uomini, per cui, dovunque si trovasse o in qualsiasi posto entrasse, era solita studiare la forma e le dimensioni dell’ambiente. Lo faceva per un’unica ragione: individuare la più rapida via di fuga.

— Qualcosa non va, signorina Tyler?

Jackson aveva colto quel suo modo di guardarsi intorno.

— Strano.

— Che cosa è strano?

— Questo ufficio.

— In che senso?

— Non c’è dentro niente. Nessun orologio sul muro, nessun cestino dei rifiuti, nessun calendario… Nemmeno il telefono. Be’, non è che ho lavorato in quei posti dove gli uomini devono portare sempre la cravatta, ma perfino Red giù alla tavola calda dei camionisti ha il calendario. E poi lui sta sempre attaccato al telefono.

— E la segretaria qui fuori… Diavolo, con quelle unghie lunghe dieci centimetri, come fa a usare la macchina da scrivere?

E adesso Jackson la stava veramente osservando. LuAnn si morse il labbro inferiore. Anche altre volte si era ritrovata a parlare troppo, ma questo era un colloquio di lavoro al quale lei non poteva permettersi di fare fiasco. Certamente non per cento dollari al giorno.

— Senti, non volevo dire niente — aggiunse facendo rapidamente marcia indietro. — Giusto per parlare. Cioè, sono un po’ nervosa, ecco tutto.

Le labbra di Jackson si contrassero lievemente. — Complimenti per il suo acuto spirito d’osservazione, signorina Tyler.

— Be’, ho due occhi come tutti.

— Come tutti, certo. — Jackson ignorò la sua occhiata e posò il modulo sulla scrivania. — Lei ricorda i termini della sua collaborazione con noi, dalla nostra conversazione telefonica?

— Cento dollari al giorno per due settimane. — LuAnn era tornata a bomba sul fronte affari. — E dopo, forse, delle altre settimane alla stessa paga. Io adesso lavoro fino alle sette di mattina. Va bene se vengo al pomeriggio presto? Mettiamo alle due?…

Quasi seguendo un riflesso condizionato, LuAnn raccolse le chiavi di plastica che Lisa aveva gettato per terra e gliele ridiede perché potesse continuare a giocare. La piccola la ringraziò con un grugnito.

— E poi va bene se mi porto dietro la mia bambina? Quella lì è proprio l’ora del suo sonnellino. Non disturba nessuno, sa? Potessi morire…

Jackson si alzò e si infilò le mani in tasca. — D’accordo, d’accordo. Dunque… lei è figlia unica ed entrambi i suoi genitori sono deceduti. È esatto?

LuAnn abbe un involontario sussulto a quell’improvvisa sterzata nel dialogo. Socchiuse gli occhi. Infine annuì.