E improvvisamente il volto di Lisa spuntò fra i suoi pensieri, proprio mentre altre parole le tornavano alla memoria. Parole maledette, pronunciate dal fantasma di un uomo maledetto in un cimitero deserto.
Prendi quei fottuti soldi, ragazzina!
Un uomo maledetto di nome Benjamin Herbert Tyler.
Papà ti dice di prenderli! All’inferno tutti e tutto! Dammi retta! Usa quel cervello di gallina che hai. Usalo, cazzo!
LuAnn tirò le redini, facendo fermare Joy. Rimase china in avanti, le mani guantate strette attorno al pomo della sella. Immagini distorte e crudeli continuavano ad accavallarsi nella sua mente.
Lisa, tesoro mìo, tutta la tua vita è un’indecente bugia. Il tuo cognome non è Savage, è Tyler. Tu sei venuta al mondo in una sporca roulotte, parcheggiata in mezzo a una radura disseminata di immondìzie alla periferia di Rikersville, in Georgia. E lo sai il perché? Perché tua madre era una miserabile disgraziata che non poteva permettersi altro.
LuAnn smontò di sella e si sedette su una grossa pietra a lato del sentiero.
E tuo padre, il signor Duane Harvey, era un fetente ubriacone puttaniere. Un buono a nulla che si è fatto tagliare la gola per una storia di droga.
Il capo di LuAnn oscillava ritmicamente da destra a sinistra, come seguendo il ritmo di una nenia malefica.
La tua mamma ti sistemava sotto il bancone di una tavola calda per camionisti, la Number One Truck Stop, mentre lei serviva ai tavoli. E poi la tua cara mamma ha ammazzato un uomo sfondandogli il cranio ed è scappata per non farsi prendere dalla polizia.
LuAnn raccolse una manciata di ciottoli da terra e si rialzò lentamente, volgendosi verso il piccolo stagno poco distante.
E per finire, la tua cara mamma ha rubato tutto questo denaro, una somma che tu non puoi neanche immaginare. Ogni cosa che noi possediamo proviene da quel denaro rubato. Quand’è che la mamma ti ha mai mentito, tesoro mio? La mamma ti vuole bene…
LuAnn prese a lanciare nervosamente dei ciottoli a pelo d’acqua. Li osservò rimbalzare lasciandosi dietro una scia di cerchi concentrici.
Non c’era niente a cui fare ritorno. Si era creata una nuova vita, ma a un prezzo esorbitante. Il suo passato era pura invenzione. Il suo futuro era pura incertezza. Il suo presente era un angosciante equilibrio instabile fra due terrificanti abissi: il completo collasso del sottilissimo velo che mascherava la sua vera identità e l’acuto senso di colpa per ciò che aveva fatto. Lisa era il suo unico fulcro. E lei doveva fare in modo che Lisa non venisse danneggiata, e che non soffrisse in alcun modo delle sue azioni passate o future.
Dieci anni prima Lisa, Charlie e lei, dopo uno scalo a Londra, si erano immediatamente imbarcati su un aereo per la Svezia. Per i dodici mesi successivi non avevano mai deviato dal rigoroso programma di spostamenti predisposto da Jackson. Erano saltati da un paese all’altro dell’Europa occidentale, passando molto tempo in Olanda, nel Principato di Monaco e in Francia. Erano rientrati nuovamente in Svezia, dove quella donna alta e dai capelli chiari non appariva minimamente fuori posto. Gli ultimi due anni li avevano trascorsi in Nuova Zelanda, immersi in uno stile di vita quieto, educato, quasi ottocentesco. L’inglese era rimasta la lingua madre di Lisa. Era stata LuAnn a volere che fosse così, poiché loro erano, e sarebbero rimaste, americane.
Non avevano più avuto alcun contatto con Jackson. Quasi certamente lui sapeva che Charlie era andato con loro, ed era stata una fortuna che lo avesse fatto. La sua vasta esperienza di viaggi aveva tirato LuAnn e Lisa fuori da parecchi guai, anche grossi. E ancora adesso, dopo dieci anni, senza Charlie LuAnn sarebbe stata perduta. Purtroppo Charlie era invecchiato, e LuAnn prima o poi avrebbe perso l’unico altro essere umano con cui condivideva il suo segreto, che voleva incondizionatamente bene a Lisa e a lei e che non si sarebbe fermato di fronte a nulla pur di proteggerle. E quando al suo posto ci fosse stato un vuoto…
LuAnn trasse un profondo respiro. Ce l’aveva messa tutta per consolidare il passato fittizio creato da Jackson per loro. La parte più dura, inevitabilmente, riguardava Lisa. Le aveva fatto credere che suo padre era stato un ricchissimo finanziere europeo scomparso quando lei era ancora in tenera età. E se non esistevano fotografie del facoltoso signor Savage era perché aveva condotto una vita estremamente riservata, quasi da recluso. LuAnn e Charlie avevano discusso a lungo se creare un signor Savage, fotografie finte, lettere finte, tutto finto, ma alla fine avevano deciso di non farne niente perché sarebbe stato troppo pericoloso: qualcosa sarebbe fatalmente rimasto fuori, qualcosa che avrebbe potuto rivelarsi una bomba a scoppio ritardato. Per Charlie, il cui legame di parentela non era mai stato chiaramente definito, l’etichetta di zio aveva calzato a pennello. Così Lisa continuava a essere convinta che sua madre fosse la giovane vedova di quello che era stato un uomo incommensurabilmente ricco, la cui precoce dipartita aveva reso LuAnn una donna incommensurabilmente ricca. E altrettanto generosa.
A Beth, la sua amica cameriera della tavola calda per camionisti, LuAnn aveva fatto pervenire abbastanza soldi da permetterle di aprire una sua catena di ristoranti. Johnny Jarvis, il commesso del centro commerciale di Rikersville, aveva ricevuto fondi per permettersi di conseguire svariate lauree nelle più prestigiose università. I genitori di Duane Harvey non avrebbero avuto il minimo problema finanziario per la loro vecchiaia. In una sorta di ammissione di colpa per averle rovinato la reputazione nell’unico posto in cui aveva l’ambizione o il coraggio di vivere, LuAnn aveva mandato soldi perfino a Shirley Watson. Infine, sulla tomba di Joy, sua madre, era sorto un imponente monumento funerario. La polizia, e forse anche l’Fbi, doveva averle provate tutte per arrivare fino a lei seguendo quelle tracce. Di questo LuAnn era sicura. Ma Jackson, con fredda intelligenza e scaltra lungimiranza, aveva nascosto i soldi dove nessuno sarebbe mai stato in grado di trovarli.
Nelle sue elargizioni LuAnn non si era fermata a Rikersville. Essendo fermamente determinata a fare del bene, per espiare il modo con cui era diventata così ricca, la metà del suoi proventi annui, ottenuti esclusivamente da interessi e investimenti del capitale iniziale, erano stati devoluti a una serie di organizzazioni benefiche scelte insieme a Charlie. In qualche modo, il denaro della Lotteria Nazionale doveva ritrovare la strada di casa, ovvero le povere tasche di chi, di fatto, alimentava quelle colossali vincite. Ciononostante, le entrate erano di gran lunga più rapide e più monumentali delle uscite. La stima iniziale di Jackson, venticinque milioni di dollari all’anno di profitti, si era rivelata fin troppo cauta. Le entrate avevano continuato ad aggirarsi intorno ai quaranta milioni di dollari all’anno. Tutti i soldi che LuAnn non aveva speso erano stati puntualmente reinvestiti da Jackson. Al momento, LuAnn aveva beni per mezzo miliardo di dollari intestati a suo nome. Era una somma di fronte alla quale la sua mente vacillava.
Nel corso di quei dieci anni, a qualsiasi latitudine del mondo lei si trovasse, gli estratti conto che descrivevano l’accrescersi della sua fortuna l’avevano raggiunta con estrema puntualità. Buste sigillate, bilanci farciti di cifre, percentuali e numeri con molti zeri, ma Jackson non si era mai fatto vivo di persona. Il che era un bene. LuAnn non sapeva quali fossero i rapporti di Jackson con la società finanziaria con sede in Svizzera dalla quale provenivano le buste, e nemmeno le interessava saperlo. Aveva visto abbastanza di lui da essere rispettosa della sua evanescenza. E ben sapeva di che cosa quell’uomo poteva essere capace, ricordando fin troppo bene che era arrivato a un passo dal farle piantare un proiettile nel cranio se lei avesse rifiutato la sua proposta iniziale. C’era qualcosa di disumano in lui e negli incredibili poteri dei quali pareva essere in possesso.