Charlie non aveva idea di quanto il tizio sapesse. Di sicuro sapeva il vero nome di LuAnn. Ma che altro? I due cadaveri nella roulotte? Il mandato di cattura per duplice omicidio? E poi, come diavolo aveva fatto a rintracciarla dopo tutto quel tempo? E peggio di tutto, era al corrente della frode alla lotteria?
LuAnn aveva raccontato a Charlie l’intera storia del suo breve incontro con l’individuo che si era fatto chiamare Arcobaleno. L’aveva vista comprare il biglietto fatidico, partire a razzo per New York e vincere la fortuna da cento milioni di dollari. Poteva entrare anche questo Arcobaleno in tutto ciò? Sapeva anche lui della frode? Lo aveva detto ad altri? Impossibile avere delle risposte. Da quello che LuAnn aveva saputo sulla limousine dopo la conferenza stampa, Jackson doveva averlo ammazzato.
Charlie serrò le labbra. Lui stesso non aveva mai veramente conosciuto Jackson, né lo aveva mai incontrato. Gli aveva solo parlato per telefono. La voce era quella di un uomo calmo, misurato, padrone di se stesso. La voce di un uomo che non provava alcun bisogno di sbraitare, di accusare, di minacciare. La voce di un uomo che poteva staccarti la testa dal collo, dopodiché andare tranquillamente a dar da mangiare ai suoi pesciolini rossi.
Arcobaleno era stato sul libro paga di Jackson, ma a un certo punto aveva voluto giocare con le carte truccate. Adesso era svanito nel nulla. Ovunque si trovasse, non era certo più tra i vivi, di questo Charlie era tremendamente sicuro. Continuò a guidare, perso fra pensieri vecchi e nuovi.
28
LuAnn arrestò la BMW nel vialetto di accesso e rimase immobile al volante, il motore acceso. Il pick-up non si vedeva da nessuna parte. Matt Riggs doveva essere andato al lavoro. Lo sguardo della donna si posò sulle linee pulite ed eleganti della casa, risultato di accurate opere di restauro. LuAnn spense il motore e scese dall’auto. Era una casa alla quale valeva la pena di dare un’occhiata più da vicino. Anche in assenza del proprietario.
LuAnn raggiunse l’ampio porticato, lasciando correre le dita sull’elaborata venatura del legno del corrimano. Aprì la zanzariera e bussò. Esitò un attimo, quindi provò a ruotare il pomolo. Il successo di quel tentativo le procurò un lieve sorriso. Lei stessa era cresciuta in un luogo in cui la gente non chiudeva a chiave la porta di casa. E ora, con tutte le sue paranoie sulla sicurezza, non era male scoprire che al mondo continuava a esistere gente così. LuAnn indugiò di nuovo. Varcare quella soglia era violazione di domicilio. Ma lo sarebbe stata solamente se Riggs lo avesse scoperto. E se tutto fosse andato liscio, lei avrebbe avuto la possibilità di saperne di più su di lui, e magari evitare guai ancora peggiori.
Varcò la soglia e richiuse piano la porta alle proprie spalle, mentre già il suo sguardo esplorava il soggiorno. Pavimento in vecchio legno di quercia, le assi segnate dal tempo. Mobili fine secolo, anche quelli in legno e in perfette condizioni. Forse Riggs li aveva presi mezzo malandati per poi rimetterli a posto lui stesso, così come doveva aver fatto con il resto della casa. Nell’aria aleggiava un vago odore di vernice da legno. Tutto era ordinato, pulito. Addirittura troppo ordinato e pulito. Niente foto di famiglia, o ritratti di padre, madre, moglie, figli. Per chissà quale ragione, questo le parve singolare.
LuAnn raggiunse il locale adibito a ufficio. Altro legno lucidato, altro lieve odore di vernice. Da qualche parte, dentro la casa, ci fu un rumore. LuAnn si immobilizzò. Il cuore prese a martellarle nel petto e considerò la possibilità di scappare. Il rumore però non si ripeté. LuAnn si calmò e si sedette alla scrivania. La prima cosa che notò fu un fogliettino sul quale Riggs aveva preso appunti. LuAnn lesse il proprio nome e altre informazioni che la riguardavano. Poi altre informazioni sulla Honda nera. Si appoggiò allo schienale. Riggs non era certo il tipo che se ne stava con le mani in mano ed era anche abile a ottenere informazioni dalle fonti appropriate. La cosa la turbò.
Improvvisamente ci fu qualcosa. Nient’altro che una percezione indefinita al limite del suo campo visivo. Lo sguardo di LuAnn volò alla grande finestra del locale ed esplorò la zona sul retro della casa. C’era una specie di casotto. La porta era socchiusa, ed era da lì che le era venuta quella sensazione di movimento. LuAnn si alzò con la destra stretta sul calcio della .38 che teneva in tasca.
Appena uscita dalla casa, si stava affrettando verso la macchina quando si bloccò, sopraffatta dalla curiosità, e tornò sui suoi passi. Guardinga, raggiunse la porta socchiusa del casotto.
Da dentro, filtrava una lama di luce. LuAnn sbirciò nell’apertura e vide il fascio di luce di una potente alogena a soffitto che illuminava un ambiente organizzato a officina-magazzino. Banchi da lavoro di meccanica e di carpenteria, con sopra più utensili di quanti ne avesse mai visti, correvano lungo due linee parallele. Legno da costruzione, accuratamente tagliato e suddiviso per dimensioni, era sistemato sulle pareti interamente coperte di scaffali metallici. Una scala contro il muro di fondo portava a un soppalco.
LuAnn superò i banchi da lavoro, arrivò alla scala, la salì velocemente fino al soppalco. Un tempo, doveva essere stato il deposito delle balle di fieno. Adesso pareva una stazione di sorveglianza: una poltrona di pelle con ottomana da un lato, due scaffali e una vecchia stufa a legna dall’altro. Un vecchio telescopio era puntato sul paesaggio che si allargava oltre un’ampia finestra panoramica.
E parcheggiato proprio sotto la finestra, c’era il furgone di Matt Riggs.
Quando LuAnn girò su se stessa per scendere dal soppalco, si ritrovò a pochi centimetri dagli occhi la bocca da fuoco di un fucile calibro 12.
— È per una nobile causa, John — disse Charlie rilassandosi nella poltroncina e bevendo un sorso di caffè caldo. — E la signorina Savage è sempre a favore delle nobili cause.
Erano seduti a un tavolo d’angolo al Boar’s Head Inn, un locale classico su Ivy Road, a pochi isolati dall’Università della Virginia. Davanti a loro c’erano i resti di una robusta colazione a base di uova strapazzate e salsicce.
— Charlie, non posso dirti quanto questo significhi per la comunità di Charlottesville. — L’uomo seduto di fronte a Charlie ebbe un sorriso raggiante. — Averla qui, avervi qui entrambi, è… meraviglioso, ecco.
John Pemberton, capelli ondulati, costoso abito a doppio petto, cravatta a pois e fazzoletto da taschino di seta cruda in tinta, era uno dei cavalli di razza del mercato immobiliare di Charlottesville. Era anche copresidente di parecchi comitati sociali e istituti di beneficenza della zona. Se esisteva un uomo informato di qualsiasi cosa accadesse nell’area di Charlottesville, quell’uomo era John Pemberton, diventato grande amico di Charlie dopo aver intascato la cospicua commissione sulla vendita di Wicken’s Hunt.
— E in un futuro che mi auguro molto prossimo — riprese Pemberton studiandosi le dita ben curate — forse riusciremo addirittura a incontrare la signorina Savage.
— Assolutamente, John, senza dubbio. Anche lei è ansiosa d’incontrare te e tutti quanti nella comunità. Ci vorrà solo un po’ di tempo. Come ti ho detto, è una persona molto riservata. Tu mi capisci, vero?
— Ma naturale. Charlottesville è piena di gente altrettanto riservata. Stelle del cinema, scrittori, imprenditori… Gente che ha talmente tanti soldi da non sapere che cosa farsene.
Un sorriso mellifluo apparve sulle labbra di Pemberton. Probabilmente, il suo registratore di cassa mentale aveva già cominciato a fare i conti di altre grasse commissioni immobiliari a venire nel momento in cui tutta quella gente così riservata avesse deciso di trasferirsi fuori o dentro l’area.