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— Ora vorrei chiedere nuovamente il suo aiuto.

Riggs inclinò leggermente la testa.

— Ecco, io apprezzerei molto se lei dimenticasse l’incidente di questa mattina. Lasci che siamo Charlie e io a occuparcene. Con lei di mezzo, le cose potrebbero essere ancora più difficili.

Riggs impiegò qualche secondo ad assimilare quella richiesta. — Lei lo conosce, il tizio della Honda?

— Preferirei non parlarne.

— Quello è venuto addosso anche a me — aggiunse Riggs con una certa precipitazione passandosi una mano sul mento. — Io ci sono già di mezzo.

LuAnn gli si avvicinò un poco.

— Se ne tenga fuori, Matthew. La prego.

Riggs dovette fare uno sforzo per non spostarsi a sua volta verso di lei. Un grosso sforzo. Mentre lo sguardo di lei sembrava essersi incollato al suo, la luce del sole che allagava la grande finestra parve perdere intensità, come nel pieno di un’eclissi totale.

— Mettiamola così, signorina Savage: se quel tizio si tiene alla larga da me, farò finta che non sia successo niente.

La tensione nelle spalle di LuAnn si allentò. — La ringrazio, Matthew.

Si scostò da lui e si diresse alla scala. Il suo profumo coprì il sentore della vernice da legno, simile a un filtro magico. Riggs avvertì una strana sensazione, qualcosa che non gli succedeva da troppo tempo.

— È molto bella la sua casa.

— Mai quanto Wicken’s Hunt.

— L’ha rimessa a posto da solo?

— Più o meno.

— Perché non passa da me domani? In modo da fare due chiacchiere su degli altri lavori.

— Signorina Savage…

— Catherine.

— Non c’è bisogno che lei compri il mio silenzio, Catherine.

— Verso mezzogiorno — disse lei ignorando la battuta. — Potremo mangiare un boccone insieme.

Riggs annuì, senza interrompere il contatto dei loro sguardi. LuAnn cominciò a scendere le scale.

— Catherine — la chiamò lui in cima alla scala.

LuAnn si fermò a metà dei gradini, voltandosi a guardarlo.

— Il tizio della Honda… non s’illuda che abbia rinunciato.

Lei osservò per un attimo il fucile, poi tornò a guardare Riggs. — Ho smesso di farmi illusioni da un bel pezzo. Su tutto e su tutti, Matthew.

Charlie si massaggiò un ginocchio dolorante. — Ho sentito che faceva il poliziotto.

— Chi te l’ha detto?

— Non sei stato tu a dire che le voci girano, John?

— Be’, se era davvero un poliziotto, non dovrebbe essere difficile verificarlo. Ma se era una spia… — Pemberton fece una specie di gesto d’addio.

— Per cui Riggs non ha parlato con nessuno qui del suo passato?

— Solamente in termini molto vaghi. Forse è per questo che è venuta fuori la tua storia del poliziotto. Quello che la gente non sa, se lo inventa.

— Proprio vero. — Charlie tornò ad appoggiarsi allo schienale, continuando a esibire un’apparente calma.

— Sia come sia, Riggs il suo mestiere lo fa alla grande. Siete in buone mani, su a Wicken’s Hunt — disse Pemberton ridacchiando. — A meno che non si metta a ficcare il naso dappertutto. Deformazione professionale, non si dice così? E poi, chi non ha qualche scheletro nell’armadio?

Charlie si schiarì la voce prima di rispondere. — Alcuni più di altri. — Poi si protese verso Pemberton, con tono confidenziale. — Ho un piccolo favore da chiederti, John.

— Non hai che da parlare. — Il sorriso di Pemberton si allargò. — E puoi considerarlo fatto, Charlie.

— L’altro giorno si è presentato da noi un tizio. Voleva una donazione per un’attività di beneficenza che ha dichiarato di mandare avanti.

Pemberton assunse un’espressione sorpresa. — Come si chiamava?

— Non era uno di qui — rispose Charlie in modo frettoloso. — Mi ha dato un nome, ma credo sia fasullo. Insomma, l’intera cosa puzzava, mi segui?

— Assolutamente.

— Una donna nella posizione della signorina Savage deve essere cauta. Ci sono un sacco d’imbroglioni in giro.

— A chi lo dici. Che episodio increscioso.

— In ogni caso, questo tizio ha detto che sarebbe rimasto in zona, almeno per un po’. Ha chiesto un altro incontro, direttamente con la signorina Savage.

— Spero che non abbiate acconsentito.

— Non ancora. Ci ha lasciato un numero di telefono di fuori e l’ho chiamato. Ma era solo un servizio di segreteria telefonica.

— Il nome della fondazione di beneficenza, almeno quello lo ha lasciato?

— Non lo ricordo con esattezza. Qualcosa che ha a che fare con delle ricerche mediche.

— Tutta roba molto facile da inventarsi di sana pianta — fece Pemberton con aria esperta. — Voglio dire, non che io abbia esperienza in materia di frodi simili, ma so che ne succedono tutti i momenti.

— Proprio quello che pensavo anch’io. In ogni caso, John, visto che questo tizio ha detto che sarebbe rimasto nei paraggi, mi sono detto che forse è in affitto da qualche parte. Un albergo, specie di quelli buoni, fa in fretta a diventare un lusso che non ci si può permettere.

— Per cui tu vorresti che io cercassi di scoprire dove sta?

— John, non te lo chiederei se non pensassi che è importante. Con questo genere di cose, bisogna andarci con i piedi di piombo. Se si presentasse di nuovo, mi piacerebbe sapere con chi ho a che fare.

— Più che giusto. — Pemberton bevve un sorso di tè. — Nessun problema, Charlie, farò sicuramente qualche indagine. Tu sai che io sono dalla parte della signorina Savage. E anche tua, è chiaro.

— E noi ti saremo enormemente grati per l’assistenza. Ho già menzionato alla signorina Savage quegli altri istituti di beneficenza di cui mi avevi parlato. E lei ha reagito in modo molto positivo.

— Perché non mi dai subito una descrizione di quel tizio? — Pemberton sembrava sul punto di levitare. — Ho la mattinata libera, e potrei cominciare da subito a fare qualche ricerca. Se si trova entro un raggio di cinquanta chilometri, con i miei agganci stai tranquillo che te lo trovo.

— Fantastico, John. Grazie.

29

Trovare un parcheggio a Georgetown era come vincere alla Lotteria Nazionale. Da M Street, Thomas Donovan svoltò in Wisconsin Avenue, con gli occhi che frugavano a destra e a sinistra alla ricerca di uno spazio libero nel quale infilare la sua seconda macchina a nolo, una Chrysler ultimo modello. Per chissà quale colpo di fortuna, riuscì a trovare un posto in una strada laterale, a non troppa distanza da dove stava andando.

Una leggera pioggia scendeva sul ricco quartiere residenziale caratterizzato da torreggianti ville vittoriane di mattoni scuri e legno scavato dal tempo, i cui lindi vialetti di accesso attraversavano prati accuratamente tenuti. Era una delle molte enclavi per uomini d’affari e politicanti vari disseminate tutt’attorno al nucleo che era Washington D.C. Dietro le finestre di squisita fattura, Donovan poteva immaginare eleganti signori rilassarsi al calore del caminetto, sorseggiando whisky di marca, meritato premio dopo un’altra dura giornata passata a cercare di cambiare le sorti del mondo, o a gonfiare ulteriormente i propri traboccanti portafogli.

Da quelle ville, denaro e potere sembravano trasudare nel mondo esterno, spingendo Donovan ad allungare il passo. Denaro e potere non avevano mai fatto parte delle sue ambizioni, anche se la sua professione lo portava continuamente a stretto contatto con entrambi. E con la gente che li deteneva. Da quella sua trincea, Donovan poteva bellamente permettersi di fare la parte dell’altruista, e questo per un unico motivo: credeva in ciò che faceva. Il che dava luogo a un paradosso: senza i ricchi e i potenti, senza la loro malvagità e la loro corruzione, contro chi altri avrebbe potuto lanciare i suoi moralistici strali?