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— Ho fatto a Pemberton qualche domanda su Riggs — riprese Charlie — in modo da capire che tipo è, qual è la sua storia.

— Non è un poliziotto. Gliel’ho chiesto e lui ha risposto di no, al contrario di quanto pensavi tu.

— D’accordo, Riggs mi aveva fuorviato.

— Ma allora chi diavolo è? E poi, perché tutta questa segretezza?

— Simpatica domanda, fatta da te. — LuAnn gli diede un colpetto di gomito sorridendo. — E comunque, Pemberton ritiene che Riggs fosse un agente segreto.

Il sorriso di LuAnn scomparve di colpo. — Cia?

— Nessuno lo sa per certo. Il suo passato è nebbia. E non credo che Riggs metta annunci sul giornale per informare la cittadinanza.

LuAnn rabbrividì al ricordo di quegli appunti su di lei e sulla Honda che Riggs aveva raccolto così rapidamente. Rapidità che ora cominciava ad avere un senso. — Uno 007 che adesso costruisce recinti nella Virginia rurale… Da quando in qua alle spie viene permesso di andare in pensione?

— Tu hai visto troppi film sul Kgb. La Guerra Fredda è finita, LuAnn. Quella gente soffre della disoccupazione come tutti quanti. E ben poco del lavoro di spionaggio coinvolge impermeabili con il bavero rialzato, pistole sotto l’ascella e colpi di Stato contro i dittatori cattivi. Per quel che ne sappiamo, Matthew Riggs può essere stato un impiegatuccio qualunque in un ufficio qualunque che passava i suoi giorni a decifrare fotografie di Mosca prese dai satelliti.

— Quanto a questo, Riggs ha già fatto saltar fuori informazioni sulla Honda — disse LuAnn. — E su di me.

— Su di te…

— Su Catherine Savage. La copertura sembra tenere. Per ora.

— E la Honda?

— Presa a nolo a Washigton D.C., con un nome falso. Un vicolo cieco.

— Però, si muove in fretta, il nostro amico.

— Molto più in fretta di quanto pensavamo — dichiarò LuAnn. — E non è il tipo dello scornacchiato da ufficio, a giudicare da come maneggia il fucile. Per non parlare della sua conoscenza delle armi, del suo modo di fare domande e della sua freddezza.

— Puoi spiegarti meglio?

LuAnn si appoggiò allo stipite della porta dell’ufficio, con i pollici infilati nei passanti dei jeans. Spiegò a Charlie del suo incontro ravvicinato con il fucile di Riggs.

— Cristo, LuAnn! Se lui è davvero uno 007, t’è andata davvero bene che non t’abbia fatto saltare la testa. — Charlie serrò la mandibola. — Tu e il tuo maledetto vizio di correre rischi. Come quando hai voluto essere presente alla dannata estrazione della lotteria!… E cos’altro è successo?

— Ho ammesso la faccenda dell’inseguimento in macchina. Gli ho detto che tu e io ce ne stavamo occupando.

— E lui ci ha creduto? — Charlie continuava a essere scettico. — Nessuna domanda? Nessun dubbio?

— Stavo dicendo la verità, Charlie — ribatté lei in tono tagliente. — Una volta tanto.

— D’accordo, d’accordo, cerchiamo di non andare su di giri — disse lui roteando gli occhi. — Gesù, sembriamo una vecchia coppia sposata.

LuAnn sorrise. — Noi siamo una vecchia coppia sposata. Con qualche tonnellata di segreti in più della media.

Charlie sogghignò e finalmente trovò il momento buono per accendersi il sigaro. — Quindi, per farla breve, tu ritieni che Riggs la pianterà di ficcare il naso.

— È uno che vorrebbe saperne di più, ma mi ha anche detto che non insisterà. Non mi dà l’idea del tipo che conta balle. Non so esattamente perché, ma gli credo.

— E quindi, è per ringraziarlo che lo hai invitato a pranzo.

LuAnn studiò l’espressione di Charlie attraverso il fumo del sigaro. C’era forse anche una nota di gelosia in quelle parole?

— È solo un modo per tenerlo d’occhio, per capire che tipo è. Sembra proprio che anche lui abbia qualcosa da nascondere.

Charlie esalò una boccata fumosa. — Magnifico. Quindi, visto che con Riggs adesso siamo amiconi, ci rimane solo il tizio della Honda di cui preoccuparci.

— Perché, non basta?

— E avanza. Ma se Pemberton riesce a rintracciarlo, faremo un grosso passo avanti.

— Metti che ci riesca — disse LuAnn. — A quel punto cos’hai intenzione di fare?

— A quel punto giochiamo a carte scoperte e gli chiediamo che accidenti vuole. Se sono soltanto soldi, potrebbe anche andarci bene.

— Metti che non siano solo dei soldi. — LuAnn dovette compiere uno sforzo per tirare fuori il resto. — Metti che sappia della frode alla lotteria…

— Come potrebbe? — Charlie si tolse il sigaro dalle labbra e la fissò intensamente. — E anche in quella probabilità su un miliardo che lo sappia, ci sono mille altri posti al mondo dove andare, LuAnn. Nel peggiore dei casi, possiamo dileguarci da qui in ventiquattr’ore.

— Per ricominciare a fare i nomadi? — La sola idea la faceva rabbrividire.

— Sempre nomadi in prima classe — aggiunse Charlie. — Qual è l’alternativa, la galera?

LuAnn gli tolse il sigaro di bocca, tirò una lunga boccata a sua volta e glielo restituì. — Allora, come sei rimasto con Pemberton?

— Ci farà sapere. Domani, o tra una settimana…

— O mai — concluse LuAnn voltandosi per andarsene.

— A proposito… — accennò Charlie. — Sono invitato anch’io al pranzo di domani?

— Perché non tiri a indovinare?

Riggs aveva deciso per pantaloni kaki ben stirati, camicia oxford azzurra con il colletto abbottonato e pullover a rombi colorati. Aveva considerato giacca e cravatta, abbigliamento che riservava per serate formali in città, ma ci aveva ripensato. Che diavolo, si trattava solo di un pranzo. E poi la padrona di casa avrebbe anche potuto chiedergli di rimboccarsi le maniche e di mettersi al lavoro. Il suo pick-up era in carrozzeria, così si era fatto prestare una jeep Cherokee, veicolo comunque più appropriato per frequentare gli ambienti altolocati di Charlottesville.

Prima di smontare e dirigersi all’ingresso di Wicken’s Hunt, si ravviò i capelli lavati di fresco. Probabilmente lo stavano osservando con videocamere da quando aveva imboccato il vialetto di accesso.

Sally Beecham, la domestica in uniforme, lo accolse sul portone e lo precedette fino alla biblioteca. Rimasto solo, Riggs tornò subito a domandarsi se anche lì ci fosse una videocamera nascosta e si immaginò Catherine Savage e il suo guardaspalle Charlie seduti in una stanza piena di monitor a seguire ogni suo passo. Poi decise di lasciar perdere quei pensieri oziosi e prese a osservare le ordinate file di volumi che si allineavano sugli scaffali. In molti altri posti del genere nei quali era entrato, i libri erano solo un elemento decorativo. Ma qui non sembrava fosse così.

C’erano alcune fotografie incorniciate sulla mensola del caminetto. Charlie e una ragazzina che assomigliava parecchio a Catherine Savage. Oppure la ragazzina da sola in vari momenti della crescita. Mai Catherine Savage. A Riggs parve strano, almeno quanto lo era la donna in questione.

Alle sue spalle, le doppie porte della biblioteca si aprirono. Matt Riggs realizzò in un istante che il primo incontro avuto con Catherine Savage non era stato sufficiente a prepararlo al secondo.

La donna che venne verso di lui indossava un abito nero lungo fin sotto il ginocchio, che disegnava sapientemente ogni curva del corpo. Un abito semplice, essenziale, che avrebbe potuto funzionare ugualmente bene a un pranzo di campagna come a una cena alla Casa Bianca. Catherine Savage, serici capelli biondi che le ricadevano sulle spalle, indossava scarpe nere con il tacco basso, niente calze. Riggs cercò di allontanare dalla mente l’immagine di una pantera in movimento. Non ci riuscì. Una donna di innegabile bellezza, seppure imperfetta. Ma esisteva davvero qualcosa di perfetto? Quella piccola cicatrice sul mento era proprio la traccia lasciata da una lama seghettata. Una traccia del suo passato? Un segno lasciato da chissà quale pericolo lontano? Forse. Il paradosso era che quella cicatrice la rendeva addirittura più attraente. Poi Riggs notò un altro particolare: non esisteva la minima ruga di espressione attorno alla bocca di lei. Quasi che il volto di Catherine Savage non fosse in grado di sorridere.