Si incamminò con passo deciso e raggiunse la Cherokee. Nel buio, ebbe la percezione di essere passato molto, troppo vicino a una minaccia mortale, quella notte. C’era stato un tempo in cui non aveva avuto altro compagno di strada se non il pericolo, ma il suo istinto doveva essersi arrugginito, ormai. Non era che una casa vuota, nient’altro.
Jackson uscì dall’armadio. Era vestito completamente di nero. Un passamontagna, nero anch’esso, gli avvolgeva il capo e il volto, lasciando scoperta solamente una stretta fessura per gli occhi. Scivolò pressoché senza rumore sulle assi del pavimento, raggiunse una finestra e osservò la sagoma di Riggs scomparire al limitare della radura.
Rinfoderò il coltello. Depennare Riggs dalla lista degli intrusi sarebbe stata la cosa più rapida e più semplice. Ma non necessariamente la più utile, perlomeno non in quel momento. In un futuro, le cose tra loro sarebbero andate in modo ben diverso.
Jackson aveva frugato nel passato del signor Matthew Riggs. Aveva trovato, esattamente come aveva detto Pemberton, solamente nebbia. Un sorriso contrasse i suoi lineamenti sotto il passamontagna. Quella nebbia rendeva il personaggio ancora più interessante. Ma di lui si sarebbe occupato dopo.
Ritornò verso l’armadio nel quale si era nascosto e da esso prelevò una valigetta di cuoio nero. La posò sul pavimento e la aprì. All’interno era sistemato un apparato per il rilevamento delle impronte digitali identico a quelli usati dai laboratori della polizia scientifica. Puntò un proiettore laser sull’interruttore a lato della porta del soggiorno. Le impronte digitali latenti si disegnarono nel fascio verdastro, tracce fantasma lasciate da un fantasma. Jackson lavorò con polvere nera e un pennello con setole di vetroresina, definendo le impronte. Poi passò a esaminare le maniglie e il ripiano di lavoro. Sorrise nel rilevare le impronte, particolarmente nitide, lasciate sul ricevitore del telefono. La vera identità di Matthew Riggs non sarebbe rimasta un mistero ancora a lungo. Ciascuna serie di impronte venne trasferita su nastro adesivo trasparente, collocata in una bustina e opportunamente etichettata.
Infine Jackson rimosse ogni traccia della sua ricerca, ogni traccia di polvere, ogni traccia di collante. Metodo, prima di tutto. Non sopportava le cose fatte male.
Nel tornare alla macchina, pensò che la fortuna gli era stata amica quella notte. Due piccioni con una fava. Quella breve visita gli sarebbe stata molto, molto utile.
36
— Vuoi sapere una cosa, mamma?
— Che cosa, cara?
— Mi piace il signor Riggs.
— Ma se non lo conosci! Come fai a dire che ti piace?
— Ho un certo fiuto per queste cose.
— Davvero? — LuAnn sorrise e sedette sul bordo del letto di sua figlia, seguendo distrattamente il bordo delle coperte con la punta del dito. — Perché non mi parli, di questo tuo fiuto?
— Dico sul serio — anche Lisa sorrise. — Spero che torni a trovarci presto.
— Ecco… — LuAnn abbe un’esitazione. — Forse noi, presto, potremmo essere costretti ad andare via.
Il sorriso di Lisa svanì. — Andare via? E dove?
— Non lo so ancora. Non è ancora deciso. Lo zio Charlie e io stiamo ancora parlandone.
— E non avete pensato di includere anche me in quei discorsi?
C’era una nota tagliente nella voce di Lisa che fece irrigidire LuAnn. — Vale a dire?
— Quante volte siamo… andati via negli ultimi sei anni, mamma? Otto volte? E quelle sono solo le volte che ricordo io. Dio solo sa quante altre volte siamo andati via quando ero più piccola. — Il volto di Lisa si accese. — Non è giusto, ecco!
LuAnn le circondò le spalle con le braccia. — Tesoro, ho detto forse.
— Non è questo il punto, mamma. D’accordo, è forse per adesso. O magari forse per il mese prossimo. Ma poi, un bel giorno, dovremo andare via. Di nuovo. E io non ci posso fare niente, non è così?
LuAnn affondò il viso nei lunghi capelli di sua figlia. — Lo so che è difficile per te, bambolina.
— Non sono una bambolina, mamma. Non più. — Lisa si staccò da lei. — E mi piacerebbe davvero sapere da che cosa stiamo scappando.
— Scappando? — LuAnn cercò il suo sguardo. — Lisa, che cosa ti fa credere una cosa del genere?
— Speravo fossi tu a dirmelo. A me piace, qui. Molto. E se non mi dai una buona ragione del perché dobbiamo andare via, io non vado proprio da nessuna parte.
— Lisa, quanti anni hai?
— Dieci.
— Bene. Sei di certo molto intelligente e molto matura per la tua età. Ma hai pur sempre dieci anni. E allora dove vado io, che sono tua madre, vieni anche tu, che sei mia figlia. Fine della trasmissione.
Lisa girò la faccia dall’altra parte.
— Sei stata ai quattro angoli del mondo — continuò LuAnn. — Hai visto posti e hai fatto cose che il novantanove per cento della gente non riuscirà mai a fare in dieci vite.
— Vuoi sapere un’altra cosa, mamma? — ribatté Lisa, sempre senza guardarla.
— Dimmi.
Lisa si girò di scatto, con aria di sfida: — Non so proprio che farmene.
— Lisa!
— Se non sbaglio riceverò un grosso fondo quando sarò maggiorenne, non è vero?
— Non sbagli.
— E allora quando avrò diciotto anni e quei soldi saranno miei, avrò una casa tutta per me. E farò le cose che voglio io con gli amici che voglio io…
— Falla finita, Lisa!
— E ti proibirò di venirmi a trovare! — Lacrime di rabbia striavano le guance della bambina. — E rimarrò in quella casa fino a quando morirò!
LuAnn, rossa in viso, torreggiò su di lei per un lungo momento, respingendo a sua volta ondate di rabbia e di profonda frustrazione. Indietreggiò, fermandosi sulla soglia della stanza, la mano sulla maniglia.
— E adesso voglio restare sola — singhiozzò Lisa nascondendo la testa sotto il cuscino.
LuAnn era immobile, la schiena appoggiata alla parete della cabina doccia, investita da un getto di acqua calda. Non era il primo scontro che aveva con sua figlia, e di certo non sarebbe stato l’ultimo. Il bagaglio genetico che le aveva trasmesso non si limitava al corpo, si allargava al senso d’indipendenza, alla testardaggine. Cercò di convincersi che il suo rapporto con Lisa stava semplicemente seguendo le tappe di un normale conflitto generazionale.
Chiuse gli occhi. Un altro rapporto era già completamente incrinato. Due volte Matthew Riggs aveva rischiato la sua vita per lei, e due volte lei gli aveva dimostrato la propria gratitudine prendendolo a calci. Ormai doveva essersi convinto che Catherine Savage fosse pazza. O quantomeno disonesta. Si sentiva attratta da Riggs, questo non poteva non ammetterlo con se stessa. Un uomo forte, coraggioso, onesto. C’era qualcosa di oscuro nel suo passato. E dolore. Le medesime cose che c’erano in quello di lei. Ma come poteva anche solamente pensare a una relazione? Significava abbassare la guardia, aprirsi, dire la verità. Impossibile: si era lasciata la verità alle spalle dieci anni prima.
Le dita di LuAnn scivolarono lungo le cosce mentre si insaponava, e nel contempo cercava di scrollarsi di dosso il senso di frustrazione. Movimenti duri, quasi violenti, che la turbarono. Si era lasciata anche qualcos’altro alle spalle, da molto tempo. Duane Harvey era stato il suo ultimo uomo. Più di dieci anni prima. Mentre la sua mano sinistra risaliva fino a un seno, il volto di Riggs riaffiorò nella sua mente. Scosse la testa rabbiosamente, poi chiuse gli occhi e appoggiò la testa sulle piastrelle, calde e umide. Rimase in quella posizione, come paralizzata dal turbinio dei propri pensieri. Quasi inconsciamente le mani presero a scendere lungo il corpo, fino alla vita, intorno alle natiche, massaggiandole dolcemente, mentre il volto di lui continuava a dominare i suoi pensieri. La mano destra s’insinuò tra le gambe, il respiro si fece più pesante. Dieci anni… Sotto lo scrosciare dell’acqua, un gemito trovò un varco tra le labbra tirate. Dieci maledetti anni! Indice e medio si insinuarono in profondità dentro di lei, cominciarono a muoversi ritmicamente, dolcemente…