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LuAnn ebbe una risata piena di amarezza. — Macché! Era roba da poco. La droga non c’entra assolutamente niente con tutto questo.

Riggs respirò a fondo. Sapeva che c’era dell’altro. Qualcosa di molto più grosso e di molto più complesso. Ma sapeva anche quando era il momento di allentare la pressione.

Quando lei si alzò e si diresse alla porta, lui la chiamò: — LuAnn.

Lei si fermò sulla soglia, voltandosi a guardarlo.

— È davvero quello il tuo nome?

— LuAnn Tyler. E avevi ragione sull’accento della Georgia: è la mia vita precedente. Dieci anni fa ero molto diversa.

— Quell’uppercut destro però dev’essere rimasto uguale.

Riggs tentò un sorriso, ma non funzionò molto bene. Frugò nella tasca dei pantaloni, ne tolse le chiavi della BMW e gliele lanciò. LuAnn le prese al volo.

— Grazie per avermela prestata — le disse. — Ma ora sei tu ad aver bisogno di una macchina potente.

40

Michie’s Tavern era una vecchia e tipica costruzione della Virginia, risalente al tardo XVIII secolo. Negli anni Venti, era stata trasportata in blocco dall’originaria collocazione lungo la strada per Monticello e quindi sistemata nel centro urbano di Charlottesville, tra la casa di Thomas Jefferson e il museo coloniale di Ash Lawn.

LuAnn, soprabito di pelle nera, cappello a tesa larga, Ray-Ban a specchio, si aggirava tra l’immancabile folla di turisti che affollava l’Ordinary, il ristorante interno. Era l’ora del pranzo e un grande fuoco ardeva nel raffinato caminetto al centro del locale. Nell’attesa della successiva visita guidata, i turisti stavano riscaldandosi al calore delle fiamme, rimpinzandosi di pollo fritto e patatine. L’uomo della Honda non era in vista. LuAnn risolse di aspettarlo fuori. Non fu un’attesa lunga. Anche senza barba, le ci volle solo un momento per riconoscerlo mentre si dirigeva verso di lei.

— Andiamo — disse Thomas Donovan senza preamboli.

— Dove?

— Mi segua con la sua auto. E se nello specchietto retrovisore io dovessi avere anche la più vaga impressione che qualcuno ci stia seguendo… — le sventolò sotto il naso un telefono cellulare — lei finisce dritta in galera.

— Io non vengo da nessuna parte — replicò LuAnn.

Lui la fissò intensamente. — Le consiglio di ripensarci.

— Io non so chi è lei, come si chiama e che cosa vuole. Voleva incontrarmi? Eccomi qua.

— C’è troppo rumore qui.

— Il posto lo ha scelto lei.

Thomas Donovan tacque, sentendosi improvvisamente a disagio.

Fu LuAnn a prendere l’iniziativa. — Allora glielo dico io che cosa facciamo: prendiamo la mia macchina e andiamo a fare un giro. — Lo guardò di sbieco e abbassò la voce. — Ma non tenti qualche giochino strano, perché potrei farle del male.

Donovan grugnì e la seguì verso la macchina.

— Lo ha fatto veramente?

— Fatto cosa?

Donovan distolse lo sguardo dall’Interstatale 64 e lo portò sul profilo di lei. — Assassinare quei due uomini nella roulotte.

— Io non ho assassinato nessuno — ribatté LuAnn rabbiosamente. — È stata legittima difesa.

Donovan respirò a fondo. Quando riprese a parlare il suo tono era più calmo e misurato.

— LuAnn, non ho passato gli ultimi mesi a rintracciarla solamente allo scopo distruggere la sua esistenza.

— E allora a quale altro scopo?

— Cominci col dirmi che cosa è veramente successo in quella roulotte.

L’espressione di LuAnn rimase granitica.

— Ascolti — riprese Donovan — è da trent’anni che ho a che fare con la feccia del mondo e ho imparato molto bene a leggere tra le righe. E a giudicare la gente. Non credo che lei abbia assassinato qualcuno. Non sono un poliziotto, se è questo che lei pensa. E se vuole perquisirmi per vedere se ho un microfono addosso, faccia pure. Ho letto tutto quello che c’era da leggere sui due morti di Rikersville, ma qui, adesso è la sua versione che voglio sentire.

LuAnn sospirò e gli lanciò un’occhiata. — Duane Harvey spacciava droga. Io non ne sapevo niente. La sola cosa che volevo fare era andarmene. Arrivai alla roulotte quel giorno, Duane era stato accoltellato. Un uomo mi afferrò e cercò di tagliarmi la gola. Ci fu una lotta. Afferrai la prima cosa che mi capitò a tiro, il telefono, e glielo spaccai sul cranio.

Donovan strinse gli occhi. — Lei non lo ha accoltellato?

— Gliel’ho già detto: gli ho semplicemente rotto la testa.

— LuAnn, non è stato un trauma cranico la causa della morte di quell’uomo.

La BMW sbandò paurosamente, fin quasi a uscire di strada, prima che LuAnn ne riguadagnasse il controllo. Si voltò con occhi sbarrati ed esclamò: — Che cosa?

— Ho visto il rapporto dell’autopsia. Ferite di coltello multiple al torace. Quelle gli sono state fatali. Nessun dubbio in merito.

LuAnn non riusciva a crederci. Arcobaleno! Quel figlio di puttana le aveva mentito! Era arrivato nella roulotte, aveva trovato i corpi ed era stato lui a finire il lavoro. Ma perché sorprendersi? — Per tutti questi anni avevo creduto di averlo ammazzato io.

— È una cosa terribile da tenersi dentro — disse Donovan. — Non mi dispiace di aver contribuito a metterle a posto la coscienza.

— La polizia dovrebbe aver lasciato perdere il caso. — LuAnn scosse il capo. — Sono passati dieci anni…

— Lei non è nata sotto una buona stella. Adesso è lo zio di Duane Harvey lo sceriffo di Rikersville.

— Vuole dire Bill Harvey?

— Lui — confermò Donovan.

— Ma se è uno dei più grossi imbroglioni che ci siano laggiù! — LuAnn ebbe una risata crudele. — Ha mandato avanti di tutto, dalla demolizione di auto rubate alle bische clandestine. Duane avrebbe fatto carte false per entrare nel giro, ma Billy sapeva che Duane era stupido e inaffidabile. Forse è per questo che s’è messo a spacciare nella Contea di Gwinnett.

— La realtà è che Bill Harvey è e rimarrà sceriffo di Rikersville. Quale modo migliore per evitare guai con la legge se non diventare lui stesso la legge?

— Lei gli ha parlato?

— Altroché — confermò Donovan. — E a sentire lui, l’intera famiglia non è mai riuscita ad accettare la dipartita del buon Duane. Secondo lo sceriffo Harvey, era lei, LuAnn, a spacciare, non il suo uomo. E quei soldi che ha mandato? È stato come mettere sale sulle ferite: hanno considerato le sue donazioni come un tentativo di risarcirli, o peggio, di comprarli.

— Però i soldi li hanno spesi, no?

— E con questo? Lo hanno fatto a malincuore, è sempre l’illustre paladino dell’ordine e della legalità Bill Harvey che parla. In conclusione, Harvey mi ha detto che non ha intenzione di mollare fino a quando LuAnn Tyler, assassina e spacciatrice di droga, non verrà assicurata alla giustizia. Per lui, Duane ha cercato di proteggerla e c’è rimasto. Dopodiché, lei ha fatto fuori l’altro balordo, cioè il socio d’affari.

— È una massa di stronzate — si ribellò LuAnn.

— Non cambia niente. Bill Harvey è lo sceriffo, lei è ricercata e a emettere un verdetto sarà una giuria di suoi pari giù a Rikersville, Georgia. Mi correggo — soggiunse Donovan allungando un’occhiata ai costosi e firmati abiti di lei — una giuria di suoi ex pari. Mi permetta un suggerimento: non si presenti al processo così in ghingheri. Qualcuno potrebbe ricevere l’impressione sbagliata. Duane a fare da concime per gli ultimi dieci anni, lei a fare la primadonna come Jackie Onassis. Mi sa che quella brava gente potrebbe avere qualche vago risentimento.