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— Ora però veniamo a noi — disse LuAnn dopo una breve pausa. — Le cose stanno così: se io non parlo, lei mi dà in pasto a Bill Harvey.

— Che ci creda o no — Donovan diede un colpetto sul cruscotto — a me proprio non potrebbe fregare di meno della droga, di Duane, di Bill Harvey e della sua legittima difesa.

LuAnn lo guardò al di sopra delle lenti a specchio. — Che cosa le interessa, allora?

Donovan si protese verso di lei. — La Lotteria Nazionale degli Stati Uniti.

— Cioè?

— Dieci anni fa, lei ha vinto cento milioni di dollari.

— E allora?

— E allora, come ha fatto a vincere?

— Ho dato i numeri al lotto. Erano i numeri giusti.

— Non intendo questo. Lasci che le spieghi una cosa. Senza entrare in dettagli tecnici, ho compiuto ricerche sui vincitori della Lotteria Nazionale. Sono risalito a molti e molti anni fa. È emersa una costante: nove vincitori su dodici sono finiti economicamente a gambe all’aria. Falliti. Nove su dodici, ogni singolo anno… E questo finché non mi sono imbattuto in un unico anno anomalo, dieci anni fa, in cui tutti e dodici i vincitori sono vissuti felici e contenti, senza problemi. E lei, LuAnn, era una di loro. Come è stato possibile?

— E che ne so? Ho avuto ottimi consiglieri finanziari. Forse li hanno avuti anche gli altri undici.

— Visto che lei non ha pagato tasse negli Stati Uniti per nove anni su dieci, non c’è da stupirsi che continui a vivere da regina.

— E questo chi glielo ha detto?

— Le informazioni sono tutte disponibili, gliel’ho già detto. Basta sapere dove e come cercarle. E io lo so fare.

— Forse sa anche che esistono profitti non tassabili negli Stati Uniti.

— Balle. Ho scritto fin troppi articoli sul sistema finanziario americano. Non esiste pressoché nessun tipo di profitto su cui lo Zio Sam non metta gli artigli. Se ne è al corrente.

— Scritto fin troppi articoli? — LuAnn serrò la mascella. — Ma lei chi accidenti è?

— Ha ragione. E non le ho ancora nemmeno detto perché ho voluto mettermi in contatto con lei. Mi chiamo Thomas Donovan. Non credo che lei abbia già sentito il mio nome. Sono un giornalista del Washington Tribune da trent’anni, e, modestia a parte, anche bravino. Un po’ di tempo fa decisi di scrivere un pezzo sulla Lotteria Nazionale. La mia opinione è che l’intera cosa sia una sporca farsa. Una colossale presa in giro che i nostri governanti riservano ai più disgraziati tra di noi. Ti agitano la carota sotto il naso, la pubblicità più seducente, i trucchi più ignobili. E tutto questo pur di spingere la povera gente a diventare ancora più disgraziata facendo fuori gli assegni della Sicurezza Sociale con il miraggio di quell’unica probabilità vincente su decine di milioni. Mi chiami illuso, ma io lavoro solamente su cose nelle quali credo. E comunque — continuò Donovan — il mio punto di partenza era che i ricchi continuano a succhiare sangue ai poveri anche dopo che questi hanno avuto il colpo di fortuna. Credo lei sappia di che cosa sto parlando: avvocaticchi, pseudoesperti finanziari, imbroglioni. E per chiudere in bellezza, di nuovo lo Zio Sam. Perché quando la situazione di quei poveracci raggiunge il punto critico, quando loro non possono più pagare, arriva il fisco a dare il colpo di grazia, lasciandoli ancora più miserabili di quanto non fossero all’inizio. È una storia vera. Che deve essere raccontata. E stavo proprio cercando i dati necessari quando sono saltati fuori i dodici vincitori del suo anno. Che non hanno perso nulla. Non solo: adesso quei dodici, lei inclusa, sono addirittura più ricchi. Molto ma molto più ricchi. Così sono riuscito a rintracciarla ed eccomi qua. Quello che io voglio è semplice: la verità.

— E se non gliela racconto, lei fa quella famosa telefonata di cortesia a Billy Harvey?

Donovan le rivolse un’occhiata astiosa. — Ho vinto due Premi Pulitzer prima di compiere trentacinque anni. Ho coperto il Vietnam, la Corea, la Cina, la Bosnia, il Sudafrica e sono stato ferito due volte. Non sono uno sporco ricattatore, e quello che le ho detto al telefono l’ho detto solo per spingerla a incontrarmi. Se Bill Harvey le mette le mani addosso, può stare sicura che non sarà con il mio aiuto. Personalmente, spero che non ci riesca.

— La ringrazio.

— Non vuole raccontarmi la verità? Nessun problema: me la dirà qualcun altro. La storia sulla quale sto lavorando verrà fuori ugualmente. Senza che io sappia la sua versione. Ma in quel caso, non le posso garantire quale immagine di lei ne verrà fuori.

— E se invece le raccontassi la verità?

— Almeno una cosa le posso garantire: di fare udire anche la sua campana. Sono un giornalista, LuAnn, non un poliziotto, non un giudice. I giornalisti parlano di fatti. Se lei ha infranto la legge, io non posso farci nulla. Decida lei.

LuAnn continuò a guidare in silenzio, per parecchi minuti. Donovan poteva leggerle in volto il conflitto che la stava dilaniando.

— Non posso.

— Perché no?

— Perché lei, Donovan, è già in estremo pericolo. E se io le parlo, quel pericolo diventerà morte certa.

— Mi sono sbattuto in tutti i luoghi più fetidi del pianeta. Non ho paura. LuAnn, mi risponda, chi c’è dietro tutto questo.

— Voglio che lei lasci il paese.

— Ma di che cosa sta parlando?

— Lei scelga il posto, io le organizzo viaggio e alloggio e in più, le apro un conto in banca.

— Quindi è così che lei risolve i problemi? Li spedisce in Costa Azzurra? Grazie, ma la mia vita è da queste parti.

— È questo il punto. Se lei resta, non avrà più una vita.

— Andiamo, LuAnn. Lavori con me, collabori: tireremo fuori qualcosa di formidabile. Basta che lei parli. Si fidi di me, io non sono qui per tradirla, gliel’ho già detto. Ma non sono qui neppure per sentire una marea di assurdità.

— Le sto dicendo la pura verità: lei è in serio pericolo!

Donovan si grattò il mento e diede voce ai suoi pensieri. — Tutti i vincitori avevano lo stesso retroterra. Tutti poveri disperati. E di colpo sono diventati tutti immensamente ricchi. C’è dietro qualcuno, non è vero, LuAnn? — La fissò insistentemente e l’afferrò per un braccio. — Forza, mi dica chi l’ha aiutata a lasciare il paese, chi ha mandato avanti i suoi investimenti?… Cristo, che storia! Addirittura meglio del rapimento Lindbergh, meglio dell’assassinio di Kennedy! Devo sapere la verità! È il governo, giusto? Incassano miliardi ogni mese e succhiano il sangue al resto della nazione. Quanto in alto arriva, LuAnn? Alla Casa Bianca, eh?

— La smetta!

— Avanti, in due possiamo farcela!

— Non le dirò niente! Raccontarle la verità equivale a puntarle una pistola alla testa e a tirare il grilletto.

Thomas Donovan parve quasi accasciarsi contro lo schienale. — Torniamo indietro, LuAnn. Mi ero sbagliato su di lei, grossolanamente. Lei è cresciuta nella melma, tirando su una figlia, poi ha dato la scalata alle stelle. Pensavo volesse aiutarmi.

LuAnn si spostò sulla corsia di emergenza e fermò la BMW con un sussulto.

— Signor Donovan, lei non ha la minima idea del pericolo che sta correndo. — Il tono della voce era basso, spaventato. — Qualcuno in questo preciso momento sta progettando come ucciderla. Mi ha detto chiaramente che lo farà, perché sospetta che lei sappia qualcosa che non deve sapere. La sua sola via d’uscita è sparire nel nulla. Subito. Perché quest’uomo è in grado di fare qualsiasi cosa.

Donovan impallidì, mentre un lampo attraversava la sua mente. — Anche tirare fuori una povera ragazza-madre dalla melma della Georgia e trasformarla in una delle donne più ricche del mondo? — Vide LuAnn annuire e finalmente capì. — Oh, Cristo… È questa la verità! Può fare qualsiasi cosa… Allora è lui che le ha fatto vincere la lotteria! Una povera ragazza-madre, disperata all’idea di aver ammazzato qualcuno, scappa dalla Georgia con la polizia alle costole…