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LuAnn tuffò la mano nella tasca, estrasse la .44 Magnum e tentò di sollevarla, ma Jackson la bloccò a metà. La dinamica dei loro movimenti li trascinò entrambi contro la finestra, sfondandola.

Avvinghiati l’uno all’altra, ricaddero pesantemente sull’impiantito di assi del porticato. Nell’urto, LuAnn perse la stretta attorno al calcio della pistola e l’arma scivolò sul legno, arrestandosi fuori portata.

Jackson tentò la presa di strangolamento, ma LuAnn gli piantò un gomito sotto la mandibola, assestandogli simultaneamente un calcio all’inguine. Rotolarono contro la balaustra del porticato. Qualcosa di caldo, dal sapore metallico le gocciolò in faccia. Sangue. Di Jackson. Il palmo della sua mano sinistra era squarciato. Doveva essergli accaduto mentre sfondavano la finestra.

Approfittando dell’inefficacia della stretta di lui, con un movimento esplosivo che lo sorprese LuAnn riuscì a divincolarsi, lo afferrò per la cintura e per il colletto della camicia e lo scaraventò faccia avanti contro la parete esterna del villino. Jackson rimbalzò all’indietro tramortito, e crollò sulle assi come una marionetta dai fili tagliati. Senza perdere un istante, LuAnn gli montò sulla schiena e gli piantò un ginocchio al centro della colonna vertebrale. Le mani di lei si chiusero in una morsa attorno alla faccia di Jackson e cominciarono a tirare all’indietro sempre di più. Uno strappo, uno solo, e gli avrebbe spezzato la schiena.

Fu in quel momento che le mani di LuAnn persero all’improvviso la presa, e lei si trovò proiettata all’indietro, atterrando di schiena in mezzo ai vetri. Si sentì gelare il sangue quando guardò giù: tra le mani aveva la faccia di Jackson.

Lui si rialzò barcollante. Per un terribile istante i loro sguardi restarono agganciati e per la prima volta LuAnn Tyler vide il vero volto dell’uomo che si faceva chiamare Jackson.

Jackson guardò fra le mani di lei. Si toccò il volto e sentì la propria pelle, i propri capelli, mentre il respiro si faceva quasi rantolante. Adesso lei conosceva il suo vero volto. Doveva morire.

Colta dallo stesso pensiero, LuAnn si gettò a tuffo sulla .44 Magnum. Allora Jackson si lanciò su di lei, ed entrambi si ritrovarono a strisciare verso l’arma ostacolandosi furiosamente.

— Lasciala, bastardo!

Jackson girò la testa e vide Matt Riggs, mortalmente pallido, fradicio di sangue e con il coltello che ancora gli sporgeva dal corpo, puntare verso di lui la pistola con le mani tremanti.

Jackson schizzò in piedi un istante prima che Riggs facesse fuoco, e i proiettili si dispersero nel legno e nell’aria mancando il bersaglio.

— Merda! — biascicò Riggs cadendo in ginocchio.

Jackson era letteralmente volato oltre la balaustra del porticato, rotolandosi sul suolo fangoso della radura. Si era velocemente rimesso in piedi e un attimo dopo era già sparito nel bosco.

— Non farlo, Matthew! Non toccare la lama! — gridò LuAnn precipitatasi accanto a lui. Si tolse la giacca, strappò una delle maniche e aiutandosi con i denti la ridusse in rudimentali strisce. Poi gli strappò i vestiti e scoprì la ferita. Tastando con le dita sotto l’ascella di Riggs, trovò l’arteria e la compresse. L’emorragia si arrestò quasi completamente.

— D’accordo — disse sospirando. — Adesso viene la parte peggiore.

Lentamente, centimetro dopo centimetro, LuAnn estrasse la lama. La gettò sulle assi arrossate, quindi afferrò la mano sinistra di Riggs e ne guidò le dita sotto l’ascella.

— Ora premi qui… Non così forte. Un minimo di circolazione deve restare attiva. In macchina ho una cassetta per il pronto soccorso — LuAnn si rimise in piedi. — Ti rattoppo alla meno peggio e ti porto da un dottore.

— Dimmi un po’ — fece Riggs — dove hai imparato la medicina da campo, guardando le repliche di E.R.?

LuAnn distolse per un attimo lo sguardo dalla guida e gli rivolse un sorriso. — Corso di sopravvivenza di Rikersville, Georgia. Il primo dottore che ho visto in vita mia è stato nel dare alla luce mia figlia. E per non più di venti minuti. Se non hai denaro, devi imparare a cavartela da solo.

Raggiunsero il Pronto Soccorso di un piccolo ospedale poco distante dalla Statale 29. LuAnn fermò la macchina sulla corsia di accesso, spense il motore e aprì la portiera accingendosi ad aiutare Riggs a scendere.

— Vado dentro da solo — disse improvvisamente lui. — Sono già stato in questo posto, mi conoscono. Sul lavoro, i costruttori si fanno male in continuazione. Gli dirò che sono scivolato, che sono caduto sul mio coltello da caccia.

LuAnn annuì. — Ti aspetto qui fuori, okay? Non me ne vado, Matthew!

Lui si limitò a sorriderle e si avviò verso l’entrata dell’ospedale, illuminato da fredde lampade alogene.

LuAnn rimise in moto e spostò la BMW nell’area di parcheggio, in modo da tenere d’occhio l’entrata. Quindi bloccò la serratura delle portiere e si abbandonò sullo schienale. Appena chiuse gli occhi imprecò a denti stretti. Era quasi riuscita a convincere Jackson. Era quasi riuscita a venirne fuori. Questo prima che Matthew Riggs venisse in suo aiuto di nuovo. Certo, poteva ancora tentare di convincere Jackson. Dirgli che Riggs aveva creduto che lei incontrasse Donovan. Ma Matthew aveva fatto qualcos’altro, qualcosa che lei non poteva spiegare, in nessun modo. LuAnn sospirò sonoramente nel guardare il traffico sulla statale.

Di fronte a Jackson, Riggs l’aveva chiamata LuAnn. E quella sola parola aveva distrutto tutto. Adesso Jackson sapeva che lui sapeva. Sapeva che lei aveva mentito di nuovo, tradito di nuovo. LuAnn non aveva dubbi su quale sarebbe stata la punizione per tutto ciò.

Lo sguardo le cadde su un cartoncino bianco abbandonato sul sedile. Era il biglietto da visita di Thomas Donovan. Un brav’uomo che voleva solo la verità. LuAnn attivò il telefono cellulare e compose il numero. Al segnale acustico della segreteria, lasciò un lungo messaggio in cui spiegava ciò che era avvenuto e lo pregava ancora una volta di scomparire, assumendosi lei tutto l’onere delle relative spese.

Non voleva che morisse, non voleva che nessuno morisse per causa sua. Sperò con tutto il cuore che Donovan fosse ancora vivo per poter ascoltare quel messaggio.

Jackson avvolse un fazzoletto attorno alla profonda ferita alla palma della mano. Se l’era procurata quando lui e LuAnn avevano sfondato la finestra. E non bastava: aveva segni anche sul suo vero volto, segni causati da quella maledetta donna.

Era stato un elemento imprevedibile, con il quale si era misurato. Ore di palestra, a lavorare con i pesi, non riuscivano a sviluppare una potenza del genere. Doveva essere qualcosa di genetico. Oppure il frutto di un sistema nervoso trascinato ai limiti estremi. LuAnn Tyler l’aveva. Non l’avrebbe dimenticato. E non avrebbe cercato di superarla su quel terreno, bensì, come sempre, si sarebbe adattato.

Ma intanto, poco prima, era stato disposto a lasciarla andare, con tutta la ricchezza che lui le aveva concesso. Per scoprire poi che LuAnn Tyler gli aveva mentito in merito a Matt Riggs. Gli aveva rivelato il suo vero nome. C’erano poche cose che imbestialivano Jackson più dell’insubordinazione da parte dei suoi uomini: la slealtà non poteva e non doveva essere tollerata. A quel punto, non c’era alcuna ragione di credere che LuAnn non gli avesse mentito anche in merito a Thomas Donovan, e che il cronista fosse vicino alla verità. Andava fermato. In quel momento il telefono cellulare suonò. Jackson lo aprì lasciando tracce purpuree sulla plastica grigia. Dopo aver ascoltato, fece alcune domande e impartì altrettante istruzioni. Quando ebbe finito, un sorriso apparve sul suo vero volto. Il sincronismo non sarebbe potuto essere migliore: la sua trappola era appena scattata.