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Thora entrò nell’edificio e si guardò intorno: la maggior parte degli scolari se n’era chiaramente già andata a casa. La cosa non la sorprese, però la riempì di quel rimorso che assale di solito le madri quando pensano di trascurare i loro figli. Madre, donna… Il collegamento le venne in mente prima di rendersi conto che la parola «donna» di certo non le si addiceva in quel momento. Negli ultimi due anni, dopo il divorzio, non aveva quasi toccato un uomo. Thora venne improvvisamente assalita dal desiderio di fare all’amore. Scrollò di nuovo le spalle. Che posto poco appropriato per farsi venire certe idee di sesso! Che le aveva preso?

«Soley!» chiamò una maestra che aveva avvistato Thora. «Tua madre è arrivata.»

La bambina, che sedeva con le spalle girate, sollevò lo sguardo dal suo lavoretto di perline e voltò il capo verso Thora. Poi sorrise stanca e si tolse un ciuffo biondo dagli occhi. «Ciao, mamma. Guarda, sto mettendo le perline per farci un cuoricino.» Thora sentì una stretta al cuore e si ripromise di andarla a prendere in orario il giorno seguente.

Dopo una breve sosta in un negozio di alimentari, le due arrivarono finalmente a casa. Gylfi, l’altro figlio, era chiaramente lì anche lui. Lo si poteva capire molto bene dalle scarpe da ginnastica lasciate in bella vista al centro dell’ingresso, e dal giaccone di piumino che, sicuramente appeso con estrema noncuranza all’attaccapanni accanto alla porta, era scivolato sul pavimento.

«Gylfi!» gridò Thora piegandosi per rimettere al loro posto quei reperti. «Quante volte devo dirti di sistemare le tue cose quando arrivi a casa!»

«Non sento!» si sentì rispondere dall’interno dell’appartamento.

Thora ebbe uno scatto di rabbia. Certo che non poteva sentire niente: il frastuono di un qualche gioco elettronico avrebbe stordito un elefante. «Abbassa, allora!» gli gridò per tutta risposta. «Ti rovinerai l’udito con questo baccano!»

«Vieni qui, non sento niente!» fu l’unico risultato che ottenne.

«Dio mio!» mormorò Thora scuotendo il capo per la disperazione. Sua figlia nel frattempo aveva messo a posto ogni suo vestito, marcando ancor più la grande differenza con Gylfi. Lei era sempre stata ordinatissima, mentre il sogno del fratello sarebbe stato quello di vivere sopra un ammasso di vestiti sporchi su cui potersi gettare stanco e felice la sera per dormire il sonno del giusto! Una cosa, comunque, i due avevano in comune, e riguardava la frequenza a scuola e i compiti a casa. La diligenza negli studi era per così dire ovvia e innata per Soley, ma a Thora veniva da sorridere quando Gylfi, con i suoi capelli lunghi e scarmigliati e i giubbotti con i teschi, diventava isterico per aver dimenticato a scuola un quaderno o qualcosa di simile.

Thora entrò nella camera di suo figlio. Gylfi sedeva incollato allo schermo del suo computer, strapazzando il mouse. «Santi numi, abbassa un po’ il volume», urlò Thora pur essendo vicinissima a suo figlio. «Non sento neppure i miei pensieri con questo fracasso.»

Senza distogliere lo sguardo dallo schermo, né smettendo di torturare il povero mouse, suo figlio allungò la mano sinistra verso l’amplificatore e abbassò il volume. «Va bene così?» chiese distrattamente.

«Sì, meglio», rispose Thora. «Spegni un attimo questo gioco e vieni a cenare. Ho comprato della pasta e non mi ci vorrà niente a prepararla.»

«Lasciami terminare questo livello», fu la risposta del ragazzo. «Un paio di minuti ancora.»

«Due minuti, allora», acconsentì sua madre andandosene. «Ricordati che funziona così: un minuto. Poi due minuti. Non: un minuto, tre, quattro, cinque, sei e poi due.»

«Okay, okay», rispose il ragazzo spazientito, riprendendo immediatamente il suo gioco.

Quando la cena arrivò in tavola, un quarto d’ora dopo, Gylfi fece la sua apparizione e crollò sgraziatamente al suo solito posto. Soley era già seduta e sbadigliava davanti al suo piatto. Thora non aveva voglia di iniziare la cena sgridando il figlio per non aver rispettato l’ordine di finire il «livello» in due minuti, ma doveva ricordargli l’importanza per la famiglia di trovarsi riuniti a tavola la sera. Stava aprendo la bocca, quando suonò il cellulare. Si alzò per rispondere. «Cominciate a mangiare e non mettetevi a litigare. Quando siete tranquilli siete tutti e due molto più carini.» Thora prese il telefono poggiato sopra la credenza, diede un’occhiata al display e vide che il numero non era comparso. Allora uscì dalla cucina e rispose: «Thora».

«Guten Abend, Frau Gudmundsdottir», sentì dire dall’altra parte della linea. Era la voce secca di Matthew, che proseguì chiedendo se avesse disturbato.

«No, no, non si preoccupi», mentì. Quell’uomo aveva un fare così cortese che non se la sentiva di parlargli della cena interrotta.

«Ha avuto il tempo di dare un’occhiata al dossier che le ho fatto avere?»

«Sì, ma non abbastanza per entrare nei particolari della vicenda», gli rispose. «Comunque mi sono subito accorta che i dati ricevuti dalla polizia investigativa non sono esaurienti. Propongo che venga inoltrata richiesta formale per ottenerli al più presto. È particolarmente seccante doverne leggere soltanto una frazione.»

«Senz’altro.» Seguì un imbarazzante silenzio. Nel momento in cui Thora stava per aggiungere qualcosa, Matthew riprese la parola.

«Ciò vuol dire che ha deciso, o mi sbaglio?»

«Sulla faccenda, intende dire?» domandò Thora.

«Sì. Ha deciso di prendersi a cuore questo incarico?»

Thora ebbe un attimo di esitazione prima di rispondere affermativamente. Le era sembrato di percepire un sospiro di sollievo da parte di Matthew nel sentire che accettava. «Sehr gut», disse l’uomo insolitamente lieto.

«A dire il vero ancora non ho potuto esaminare il contratto. Me lo sono appunto portato a casa per leggerlo stasera, ma se è vero, come dice, che è equo e onesto, non vedo come potrei rifiutarmi di sottoscriverlo domani.»

«Benissimo.»

«Aspetti. C’è una cosa che mi incuriosisce. Perché il fascicolo dell’autopsia non si trova nel dossier?» Thora sapeva perfettamente che si trattava di una questione che avrebbe potuto rimandare fino al giorno dopo, ma le premeva conoscerne subito i termini precisi.

«Abbiamo dovuto inoltrare una richiesta ufficiale per ricevere i documenti relativi all’autopsia, ma ci hanno consegnato solo un breve riassunto con i principali dettagli. Anche a me era sembrato troppo poco, e per questo ho già inoltrato un’altra richiesta per vedere il referto completo», rispose Matthew. «Il fatto di non essere un parente della vittima, ma soltanto un rappresentante della sua famiglia, ha creato non poche complicazioni nell’intera faccenda, ma ora penso proprio che le cose si siano risolte. È per questo che le telefono a quest’ora invece che attendere fino a domattina per sentirla, come da accordi.»

«Come dice?» chiese Thora, non avendo compreso affatto il nesso.

«Voglio dire che ho ottenuto un appuntamento con il medico legale per domani mattina alle nove. È il patologo che ha eseguito l’autopsia sul corpo di Harald. Intende consegnarmi il referto e discutere con me di alcuni punti oscuri. Vorrei che lei mi accompagnasse.»

«Davvero?» chiese Thora stupita. «Non saprei… sì, va bene, verrò.»

«Perfetto, allora passo a prenderla in ufficio alle otto e mezzo.»