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Thora e Matthew annuirono all’unisono.

Il medico proseguì: «Non sarà un problema, dato che ho fatto i miei studi di perfezionamento in America. Il tedesco invece non lo parlo dal giorno dell’esame orale alla maturità, e per questo ve lo risparmio».

«Come le ho detto al telefono, l’inglese va bene», lo rassicurò Matthew e Thora tentò di trattenere un sorriso per il suo forte accento tedesco.

«Ottimo», decretò il medico prendendo un fascicolo giallo in cima a un mucchio di fogli sulla scrivania. Lo appoggiò sul tavolo e fece per aprirlo. «Veramente dovrei cominciare scusandomi per il ritardo con cui avete ottenuto il permesso di vedere la perizia autoptica nella sua interezza!» disse con un sorriso imbarazzato. «Le trafile burocratiche che accompagnano casi di questo genere sono spesso insormontabili, anche perché non è per niente chiaro in che modo bisogna agire in circostanze, come dire… inusitate come la presente.»

«Inusitate?» disse Thora con tono dubbioso.

«Eh sì», rispose il medico. «Inusitate nel senso che i congiunti della vittima agiscono tramite un rappresentante, e per di più sono cittadini stranieri. C’è stato un momento in cui credevo che ci volesse la firma del deceduto per far passare il permesso tra le maglie del sistema burocratico…» rispose sorridendo ancora.

Thora ricambiò cortesemente il sorriso, ma si accorse che il volto di Matthew era rimasto di pietra.

Il medico abbassò lo sguardo e continuò: «Comunque non è solamente la burocrazia a rendere questo caso così particolare; mi sembra giusto farvelo sapere prima di iniziare a discutere la faccenda. Sì è trattata di una delle autopsie più strane e incredibili che abbia effettuato in vita mia, e potete credermi che di cose bizzarre ne ho viste ai tempi dei miei studi americani!»

Thora e Matthew attesero in silenzio il proseguo del racconto. Thora era chiaramente molto più emozionata del compagno, che in quel frangente avrebbe potuto benissimo essere scambiato per una statua.

Il medico si schiarì la gola e aprì il fascicolo. «Allora non ci resta altro che dare avvio alla lettura, partendo dalle solite informazioni generali.»

«Cominci pure», grugnì Matthew, mentre Thora non seppe nascondere un gesto di disappunto perché avrebbe preferito sentire subito i dettagli più bizzarri.

«Allora, la causa del decesso è stata asfissia da strangolamento», annunciò il medico tamburellando sulla copertina gialla della cartella. «Quando abbiamo finito vi consegnerò una copia della perizia autoptica, dove potrete procurarvi ulteriori informazioni sulle nostre conclusioni nei minimi particolari, se vi interessa. Ciò che conta ora è la causa specifica della morte, cioè in che modo la vittima è stata strangolata; ebbene, noi riteniamo assai probabile che l’atto finale sia stato compiuto tramite una cintura di finta pelle o una striscia di tessuto. L’autore del delitto deve aver fatto ricorso a tutte le sue forze nello stringere, viste le contusioni lasciate sul collo di Harald. Non è da escludere che la pressione sulle vie respiratorie sia durata più a lungo di quanto bastasse per ucciderlo, per un qualche motivo a noi ancora sconosciuto; forse un eccesso di furia incontenibile.»

«Come fate a saperlo?» chiese Thora.

Il medico scartabellò il fascicolo e ne estrasse due fotografie. Dopo averle posate sulla scrivania davanti a sé, le girò in direzione di Thora e Matthew. Erano particolari del collo di Harald. «Vedete come in alcuni punti la pelle abbia ceduto alla stretta della cintura e in altri no, mentre l’epidermide ha subito dei tagli profondi. Questo significa che la superficie della cintura era qua e là ruvida. Notate inoltre la forma irregolare di ciò che io sto chiamando cintura ma potrebbe essere qualsiasi altra cosa.» Il medico si interruppe e indicò la prima foto. «Un altro aspetto che ci sorprende è il fatto che, qui sotto il collo, ci siano i segni di ferite superficiali meno recenti; non si tratta di lesioni gravi, ma comunque alquanto interessanti…» Guardandoli negli occhi, il medico chiese: «Ne sapete qualcosa voi?»

Matthew prese immediatamente la parola. «No, niente.» Thora rimase in silenzio, pur sospettando il motivo di quella secca risposta.

«Beh, probabilmente non ha niente a che vedere con l’omicidio. Ma non si può mai essere sicuri». Il medico sembrò accontentarsi della risposta di Matthew, o perlomeno non insistette oltre, e indicò la seconda foto, che mostrava anch’essa il collo della vittima, questa volta in un ingrandimento. «Questa foto è eccellente, dato che vi si può scorgere l’impronta di qualche oggetto metallico, forse una fibbia o qualcosa di simile, premuto con forza sulla gola di Harald. Se guardate bene, potrete riconoscere una specie di minuscolo pugnale, anche se porrebbe trattarsi di tutt’altro. La pelle non è certo un calco di gesso!»

Thora e Matthew si allungarono verso la foto per osservarla meglio. Il medico aveva ragione, si poteva chiaramente notare sul collo l’impronta di un oggettino. Dalla scala indicata in calce all’immagine si poteva calcolare una lunghezza di otto-dieci centimetri, e una forma assai simile a quella di un piccolo pugnale o una croce. «E questo cos’è?» chiese Matthew puntando l’indice sulle ferite intorno all’impronta.

«Può darsi che all’oggetto in questione fosse attaccato qualcosa che ha lacerato l’epidermide al momento dello strangolamento. Di più però non posso ricavarne.»

«Che ne è stato di questa cintura, o cos’altro era?» domandò Matthew.

«Purtroppo non è stata ancora ritrovata», rispose il medico. «L’aggressore se ne è liberato, forse per non correre il rischio che ne ricavassimo dei campioni di DNA.»

«Ma avreste potuto farlo?» chiese Thora.

Il medico si strinse nelle spalle. «Chi lo sa?» Si schiarì la gola. «Per quanto riguarda l’ora esatta della morte, invece, si tratta di una questione tecnica complicata.» Il medico sfogliò i documenti ed estrasse delle pagine dal fascicolo. «Non so se conoscete la prassi seguita solitamente per stabilire l’ora di un decesso, vale a dire in che modo la calcoliamo», disse poi guardando i due negli occhi.

«Non ne so assolutamente niente», si affrettò a rispondere Thora, che notò come la sua risposta urtasse i nervi a Matthew, il quale però non fece commenti. Thora non si scompose.

«Allora è meglio che ve lo spieghi in poche parole. Voglio che vi rendiate conto che le nostre conclusioni non sono il risultato di qualche formula magica né un dato di fatto incontrovertibile. Si tratta per lo più, invece, di un calcolo delle probabilità nel quale la precisione delle conclusioni dipende, in tutto e per tutto, dall’attendibilità delle varie informazioni raccolte o delle prove emerse dall’indagine.»

«Raccolte? Emerse?» ripeté Thora.

«Esattamente. Per poter arrivare a delle conclusioni dobbiamo raccogliere prove evidenti sul corpo, dentro di esso o nelle sue vicinanze, e nei dintorni del luogo in cui è stato rinvenuto. Poi utilizziamo le informazioni che abbiamo sulla vita della vittima, per esempio quando è stata vista per l’ultima volta in vita, quando ha mangiato per l’ultima volta, quali erano le sue abitudini e altro di questo genere. Come capirete, il tutto è estremamente importante quando si ha a che fare con una morte così tragica come quella su cui stiamo indagando.»

«È ovvio», disse Thora con un sorriso al medico.

«Tali prove evidenti, o informazioni che siano, vengono poi utilizzate in vario modo per ottenere una valutazione, la più precisa possibile, dell’ora esatta del decesso.»

«In che modo?» domandò la donna.

Il medico si appoggiò di nuovo allo schienale della sedia, visibilmente contento di aver risvegliato un interesse nei suoi interlocutori. «I metodi usati sono di due tipi: si basano da un lato sulla determinazione dei cambiamenti che il corpo subisce rispetto a parametri noti, come l’irrigidimento post mortem, il raffreddamento della temperatura corporea e la velocità di decomposizione. Dall’altro, invece, sono basati sul raffronto dei dati cronologici in nostro possesso, per esempio se la vittima ha mangiato, a che punto si trova il processo digestivo e così via.»