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«Buongiorno», disse con malcelata allegria.

La segretaria non rispose al saluto, rimase con lo sguardo fisso sullo schermo del computer e continuò a strapazzare il mouse. Sempre la solita simpaticona, pensò Thora e maledì in silenzio per l’ennesima volta l’atmosfera sgradevole che questa segretaria creava continuamente. Non aveva alcun dubbio che lo studio legale stesso ne subisse notevoli ripercussioni negative, visto che tutti i clienti si lamentavano della ragazza, che non era soltanto maleducata ma anche particolarmente poco attraente. Non che fosse bassa, anzi era più alta della media, ma aveva un aspetto totalmente trasandato. Come se ciò non bastasse, i suoi genitori l’avevano battezzata, forse per pura e semplice cattiveria, con l’assurdo nome di Bella. Se solo si fosse licenziata di sua spontanea volontà! Era chiaro che non era affatto felice della sua posizione in quello studio legale e che avrebbe sicuramente voluto cambiare vita, benché Thora faticasse a immaginare che tipo di occupazione avrebbe potuto tirarla su di morale. Ma di licenziarla, loro stessi, non ne potevano neppure parlare.

Quando Thora e Bragi, suo socio più anziano e più esperto, avevano deciso di fondare assieme il nuovo studio legale, erano stati talmente affascinati dall’immobile della futura sede, da lasciarsi convincere dal proprietario di includere, nel contratto di locazione, la clausola di assunzione permanente di sua figlia in qualità di segretaria. Certo non avrebbero mai immaginato allora le conseguenze cui andavano incontro. La ragazza aveva una magnifica lettera di raccomandazione da parte dell’agenzia immobiliare che per ultima aveva affittato gli uffici. Thora si era ormai convinta che quella dannata agenzia si fosse trasferita da quel bellissimo angolo del centro di Reykjavik solamente per sbarazzarsi di quella segretaria infernale. Sicuramente stavano ancora sbellicandosi dalle risate per il modo in cui li avevano abbindolati. Certo, facendo causa all’agenzia avrebbero potuto far cancellare la clausola evidentemente estorta con raccomandazioni false o per lo meno esagerate, ma, in quel caso, quel minimo di rispettabilità che lo studio legale si era procurato con il tempo sarebbe andato in malora. Chi si sarebbe più rivolto ad avvocati che si proclamavano esperti di contratti… ma che non avevano saputo concludere al meglio i propri? Senza parlare del fatto che, pur liberandosi di quella piaga, non è che fuori ci fosse la fila di segretarie in gamba pronte a farsi assumere.

«Ha telefonato qualcuno», bofonchiò Bella incollata allo schermo.

Thora distolse lo sguardo dall’attaccapanni su cui stava appendendo il suo piumino: «Ah, sì?» rispose e aggiunse con flebile speranza: «Hai una qualche idea di chi fosse?»

«No, parlava tedesco, penso. Non ho capito niente.»

«Ti ha detto per caso se richiamava?»

«Non lo so. Ho riattaccato. Senza volerlo.»

«Se per un caso fortuito quella persona dovesse richiamare, sebbene tu gli abbia sbattuto il telefono in faccia, ti dispiacerebbe passarlo a me personalmente? Ho studiato in Germania e parlo tedesco.»

«Hmpf», grugnì Bella, scrollando le spalle. «Forse non era affatto tedesco. Poteva benissimo essere russo. E poi era una donna. Mi pare. O magari un uomo…»

«Bella, chiunque chiami, una donna dalla Russia o un uomo dalla Germania, fosse anche un cane dalla Grecia, mi faresti il favore di passarmelo? Ok?» Thora non attese la risposta (sarebbe stato comunque inutile) e si affrettò verso il suo ascetico ufficio privato.

Si sedette e accese il computer. Sul tavolo non c’era la solita confusione di sempre. Il giorno precedente aveva passato un’ora buona ad archiviare i documenti che si erano ammassati nell’ultimo mese. Gettò nell’icona del cestino sullo schermo tutta la spazzatura e le barzellette stupide inviatele da amici e conoscenti, arrivate per e-mail. Rimanevano in tutto solamente tre messaggi da parte di clienti, uno da parte della sua amica Laufey con il titolo «Facciamo baldoria sabato prossimo» e infine uno dalla banca. Accidenti, sicuramente il conto corrente era in rosso o il tetto della carta di credito superato. Thora decise codardamente di non aprire la posta.

Il telefono squillò.

«Studio legale Centro Storico. Thora.»

«Guten Tag, Frau Gudmundsdottir.»

«Guten Tag.» Thora cercò carta e penna. Tedesco puro. Una donna.

L’avvocatessa strizzò gli occhi sperando che il tedesco che aveva imparato a suo tempo quasi alla perfezione, durante il master di giurisprudenza all’Università di Berlino, le tornasse in mente abbastanza per continuare la conversazione. Pronunciò le parole il più chiaramente possibile. «Come posso esserle utile?»

«Sono la signora Amelia Guntlieb. Ho ricevuto il suo nome dal professor Anderheiss.»

«Sì, era uno dei miei insegnanti a Berlino.» Thora sperava di aver formulato la frase correttamente, ma si rendeva conto che la pronuncia era diventata un po’ grezza. In Islanda non c’erano molte occasioni per parlare il tedesco.

«Per l’appunto.» Dopo un imbarazzante silenzio la donna proseguì: «Mio figlio è stato assassinato e io e mio marito gradiremmo il suo aiuto».

Thora si mise a pensare in fretta. Guntlieb? Non si chiamava appunto Guntlieb lo studente tedesco rinvenuto cadavere all’università?

«Pronto?» La donna temeva forse che fosse caduta la linea.

Thora si affrettò a rispondere: «Sì, mi scusi. Suo figlio. È successo qui in Islanda?»

«Sì.»

«Credo di aver capito di che omicidio si tratta, ma riconosco di saperne poco, e solamente tramite i quotidiani. È sicura di essersi rivolta alla persona giusta?»

«Lo spero proprio. Noi quaggiù non siamo per niente contenti dell’indagine della polizia islandese.»

«Come?» disse Thora stupita. L’omicida era stato catturato a meno di tre giorni dall’orribile assassinio. «Non ha saputo che è stato eseguito un arresto?»

«Siamo perfettamente a conoscenza del fatto che qualcuno è già stato arrestato. Invece non siamo per niente convinti che si tratti del vero colpevole.»

«Perché mai?» chiese Thora incredula.

«Abbiamo le nostre ragioni. Non posso dirle altro.» La donna si schiarì garbatamente la gola. «Desideriamo che qualcun altro si prenda cura del caso, qualcuno neutrale e che parli tedesco.» Silenzio. «Lei deve capire quanto tutto ciò sia difficile per noi.» Di nuovo silenzio. «Harald era nostro figlio.»

Thora cercò di esprimere solidarietà abbassando la voce e parlando più lentamente. «Certo, la capisco benissimo. Anch’io ho un figlio. Mi è ovviamente impossibile mettermi nei vostri panni, di genitori colpiti dalla tragedia, comunque vi porgo le mie più sentite condoglianze. Ma a dire il vero non sono sicura di potervi aiutare in qualche modo.»

«Grazie per le belle parole nei nostri riguardi.» La voce era di ghiaccio. «Il professore Anderheiss afferma che lei è dotata del talento che stiamo appunto cercando. Ci ha riferito della sua fermezza, della sua decisione e della sua grande forza morale.» Silenzio. Thora non poté fare a meno di pensare alla parola «testardaggine», che il professore non aveva osato utilizzare. La donna proseguì. «E soprattutto della sua comprensione. Il professore è un caro amico di famiglia e gode della nostra fiducia. Sarebbe disposta ad accettare l’incarico? La ricompenseremmo lautamente», e la signora pronunciò una cifra.