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«No, se lo conoscevo bene era più il tipo da comprare piatti già pronti o da andare a mangiare al ristorante.»

«Gli estratti conto della carta di credito lo davano a intendere.» Thora si guardò intorno, ma non vide niente che potesse offrirle altre indicazioni. Anche lo sportello del frigorifero era vuoto, nessun magnete di sorta e perciò nessun foglio attaccato davanti. Lo sportello del suo frigo fungeva invece da centro informazioni per la famiglia. Anzi, non ne ricordava più nemmeno il colore, essendo del tutto ricoperto da orari scolastici, inviti a compleanni e altri messaggi importanti. «Andiamo a vedere il resto?» chiese, insoddisfatta della ricerca in cucina. «Dubito che troveremo qualcosa di prezioso qui.»

«No, certo, a meno che non sia stato ucciso per quel frigorifero», rispose Matthew, e aggiunse in tono ironico: «Dove ti trovavi la notte dell’omicidio?»

Thora si accontentò di fargli un sorrisetto di compassione. «A giudicare dalle uscite registrate sulla carta di credito, aveva fatto acquisti in alcuni negozi di piccoli animali. Ma Harald aveva qualche animale domestico?»

Matthew scrollò il capo sorpreso. «No, qui non c’erano né animaletti, né altro che indicasse una loro presenza recente.»

«Avevo pensato che avesse comprato qualcosa da mangiare per il suo animale domestico.» Thora guardò dentro il frigorifero in cerca di cibo per cani, gatti o roba del genere. Niente.

«Telefona», suggerì Matthew. «Forse si ricordano di lui, chissà mai?»

Thora prese il telefono, ottenne il numero del negozio dal centralino, chiamò il negozio, parlò con alcuni commessi e riattaccò. «Strano. Si ricordavano di lui e hanno detto che aveva comprato dei criceti, più di una volta», riferì. «Sei sicuro che non abbiano trovato una gabbietta per roditori durante la perquisizione?»

«Sicuro al cento per cento», rispose lui.

«Stranissimo», ripeté Thora. «Il commesso ha aggiunto che Harald aveva chiesto se avevano da vendergli anche un corvo.»

«Un corvo?» esclamò stupito. «Per farne cosa?»

«Il tizio non ne aveva la più pallida idea. Comunque non hanno corvi in vendita, cosicché non se ne parlò più. Gli era sembrata solo un’uscita bizzarra da parte di un ragazzo altrettanto bizzarro.»

«Non mi meraviglierei se per Harald il corvo fosse uno dei simboli legati alla sua passione per la magia», ribatté Matthew.

«È probabile, ma che c’entrano i criceti?» obiettò Thora.

I due lasciarono la cucina e passarono al corridoio, nel quale si aprivano le porte delle altre stanze. Matthew aprì quella del bagno, a cui Thora diede solamente una breve occhiata e che, ultramoderno com’era, non sembrava nascondere segreti di sorta. Poi passarono alla camera da letto di Harald, che invece si dimostrò più interessante delle ultime due.

«Qualcuno ha fatto le pulizie oppure è sempre stato così ordinato questo appartamento?» chiese Thora indicando il letto rifatto alla perfezione. Un letto insolitamente basso, come il divano della sala.

Matthew si sedette sul bordo, ma le ginocchia quasi gli toccavano il mento, così dovette stendere le gambe in avanti. «Aveva una donna delle pulizie che gli metteva sempre tutto a posto. Purtroppo lo fece anche il fine settimana in cui Harald venne ucciso, con poca gioia della polizia. Naturalmente lei non poteva sapere niente dell’accaduto, come d’altronde nessuno dei suoi conoscenti. Si era presentata al lavoro come aveva sempre fatto e non aveva notato niente di insolito. Parlando con lei mi è parso che non avesse niente di che lamentarsi per quanto riguardava Harald, invece le altre donne impiegate nella sua impresa di pulizie non volevano lavorare in quell’appartamento.»

«Ma che strano!» commentò l’avvocatessa in tono sarcastico, indicando le immagini appese alle pareti. Anche qui si potevano ammirare quadri simili a quelli nella sala, ma in questo caso le figure mostravano per lo più torture inflitte a donne, che venivano punite o giustiziate. Alcune di esse erano state denudate fino alla vita, altre del tutto. «Questa è proprio la normale stanza da letto di una persona per bene, non credi?»

«Strane persone devi frequentare», ribatté Matthew stando al suo gioco.

«A parte gli scherzi», riprese Thora dirigendosi verso un ampio schermo appeso alla parete antistante il letto, «mi vengono i brividi solamente al pensiero di cosa potesse avere nel suo lettore DVD.» Piegandosi sull’apparecchio incastonato in un basso tavolino sotto il televisore, lo accese e spinse il tasto di espulsione, ma non uscì niente.

«Il disco l’avevo già estratto io», lo informò Matthew.

«Che film stava guardando?» chiese Thora girandosi verso di lui.

«Il Re Leone»,rispose l’uomo senza battere ciglio e alzandosi a fatica dal letto. «Ora andiamo, è arrivato il momento di mostrarti la camera degli ospiti e il suo studio. Lì potremmo finalmente trovare qualcosa di più utile per la nostra indagine.»

Prima di seguirlo, Thora decise di dare un’occhiata al comodino di fianco al letto. Estrasse l’unico cassetto, e vide numerosi vasetti di crema e tubetti di vaselina, oltre a un pacchetto di preservativi da cui mancavano alcuni pezzi. C’erano dunque delle donne che non si facevano spaventare da qualche ornamento murale, pensò chiudendo il cassetto e rimettendosi a seguire Matthew.

10

Laura Amaming guardò l’orologio. Per fortuna mancavano ancora quindici minuti alle tre, sicché aveva tempo a sufficienza per portare a termine le pulizie e presentarsi alla lezione alle quattro in punto, in perfetto orario. Dopo aver vissuto per un anno in Islanda, finalmente quell’autunno si era decisa a iscriversi ai corsi di lingua islandese per studenti stranieri. Il corso veniva tenuto presso l’edificio principale dell’università, a poca distanza dall’Istituto Arni Magnusson dove lei svolgeva la sua attività di donna delle pulizie. Se le lezioni si fossero svolte da qualche altra parte non avrebbe potuto frequentarle, dato che finiva di lavorare solo mezz’ora prima dell’inizio dei corsi, e ancora non poteva permettersi l’acquisto di un’automobile.

Laura mise lo straccio nel lavandino e sciacquò lo sporco con un getto di acqua calda. Fra sé e sé ripeté tra le labbra le parole heitt, cioè caldo, e kalt, cioè freddo, maledicendo al contempo la difficilissima pronuncia dura di quella lingua.

Strizzò lo straccio e lo immerse nel secchio di acqua clorata, poi prese lo spray puliscivetri e tre strofinacci puliti: la aspettavano i vetri interni di tutte le finestre del secondo piano, per cui uscì dallo stanzino e salì le scale.

Era stata fortunata, dal momento che i primi tre uffici erano vuoti. Era molto meglio lavorare quando non c’era nessuno in giro, soprattutto nelle giornate di pulizia dei vetri, quando era costretta a salire sopra le sedie o altri mobili per arrivare nei punti più alti. Si vergognava a compiere tali operazioni sotto gli occhi vigili di impiegati con i quali non poteva neppure comunicare le sue difficoltà linguistiche. Nella sua patria lontana, le Filippine, era stata una persona loquace, che amava chiacchierare del più e del meno senza alcuna timidezza. Qui in Islanda invece non si sentiva mai a suo agio, se non con i suoi connazionali; anzi, sul lavoro aveva l’impressione di essere un oggetto qualunque piuttosto che un essere umano. La gente attorno a lei parlava come se lei non esistesse affatto. Tutti a eccezione del soprintendente alle pulizie, Tryggvi, uno che si comportava sempre con la massima gentilezza e faceva tutto quello che poteva per intrattenere rapporti, seppur superficiali, con Laura e le sue compagne di lavoro, anche se spesso non si superava il limite della pura e semplice gestualità e delle risate di incomprensione. Tryggvi non se la prendeva se loro ridevano di continuo mentre cercavano di indovinare il senso delle sue mimiche e delle frasi incomprensibili che le seguivano. Era veramente un gentiluomo, e Laura non vedeva l’ora di potergli dire qualcosa nella sua ostica lingua il prima possibile. Una cosa era certa: il suo nome non l’avrebbe mai potuto pronunciare nemmeno se avesse frequentato tutti i corsi di islandese, dal primo all’ultimo. Ripeteva continuamente a bassa voce: «Tryggvi», e non poteva far altro che sorridere nel sentire come quella parola le uscisse dalle labbra.