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Gylfi la guardò pensoso, ma non osò parlare. Thora vide microscopiche gocce di sudore spuntargli sulla fronte e le venne in mente la possibilità che avesse preso l’influenza. «Hai la febbre?» gli chiese sollevando il palmo della mano per sentirgli la fronte.

Gylfi si sottrasse al contatto con un guizzo. «No, no, assolutamente. Ho appena ricevuto una brutta notizia.»

«Non mi dire!» si fece sfuggire Thora. «Chi era al telefono?»

«Sigga… cioè Siggi», rispose Gylfi abbassando gli occhi. Poi si affrettò a dire: «L’Arsenal ha perso contro il Liverpool…»

Thora non era certo nata ieri e si rese immediatamente conto che si trattava di una scusa poco convincente, inventata lì per lì. Per prima cosa non conosceva nessun Siggi nel suo giro di amici, anche se comunque ultimamente non era al corrente di tutte le sue nuove frequentazioni. Invece conosceva suo figlio abbastanza bene da sapere che non era mai stato tanto appassionato di calcio da farsi sconvolgere per qualche risultato del campionato inglese. Thora valutò in silenzio se continuare a fargli domande o se invece lasciarlo in pace. Alla fine optò per la seconda soluzione, che le parve più adatta alla situazione. «Ah, che peccato. Quei maledetti del Liverpool.» Lo fissò negli occhi. «Se dovessi sentire la necessità di parlarne, tesoro mio, promettimi di non esitare a farlo.» Vedendo che suo figlio tratteneva il fiato aggiunse: «Voglio dire della partita. Dell’Arsenal. Lo sai che ti puoi sempre confidare con me, amore. Anche se non posso certo risolvere tutti i problemi del mondo, potrei comunque cercare di affrontarli quando ci capitano addosso.»

Gylfi la guardò senza dirle niente. Sorrise debolmente e mugugnò qualcosa su una tesina da finire. Thora infine uscì dalla cameretta e si chiuse la porta alle spalle. Non riusciva a capire quale problema potesse affliggere tanto un ragazzo di sedici anni. Era la prima volta che doveva affrontare un simile grattacapo, senza contare che dei suoi anni di teenager non ricordava che pochissimi particolari. L’unica cosa che le venne in mente erano le questioni d’amore. Probabilmente Gylfi si era preso una cotta per una ragazza che non ricambiava i suoi sentimenti. Thora decise però di scoprire la verità con calma e perizia. L’indomani avrebbe potuto tastare il terreno durante la colazione. Sempreché l’indomani mattina la crisi non fosse già passata. Poteva trattarsi, in fondo, di una tempesta in un bicchier d’acqua, una questione ormonale.

Dopo aver lavato i denti a sua figlia e letto per lei una favola, Thora si lasciò cadere sulla poltrona davanti al televisore. Per prima cosa sbrigò l’onere della telefonata serale a sua madre, che era partita per un mese di vacanza invernale alle Canarie assieme al marito. Sempre le stesse lagne, quando la sentiva. Nell’ultima chiamata si lamentava perché non trovava da nessuna parte lo yogurt islandese, ora invece, a sua detta, il papà era diventato teledipendente per Discovery Channel alla televisione dell’albergo. Infine si congedò dicendo che tornava sul divano accanto al marito per erudirsi insieme a lui sulle tecniche di copulazione dei bruchi. Thora sorrise, riappese la cornetta e si mise a guardare a sua volta la televisione. Nel momento in cui stava per addormentarsi sopra un ridicolo reality, squillò il telefono. Si rialzò sul divano e sollevò il ricevitore.

«Thora», rispose assicurandosi che la sua voce non rivelasse che si era assopita.

«Sì, ciao, sono Hannes», giunse dall’altra parte della linea.

«Oh, ciao.» Thora si sentiva sempre a disagio parlando con il suo ex marito. Il fastidio che tali rapporti le provocavano nasceva indubbiamente dal brusco passaggio obbligato dall’intimità del passato alla cortesia forzata del presente, simile all’imbarazzo che si prova incontrando un vecchio fidanzato o qualche amante estemporaneo. E in un piccolo Paese come l’Islanda capitava spesso.

«Senti, per quanto riguarda questo fine settimana, sto pensando di passare un po’ più tardi, venerdì, a prendere i ragazzi. Vorrei dare a Gylfi delle lezioni di guida e direi che sarebbe meglio tenerci lontani dal traffico dell’ora di punta. Che ne dici delle otto?»

Thora rispose di sì pur sapendo alla perfezione che il ritardo non aveva niente a che vedere con le lezioni di guida. Hannes doveva forse fare degli straordinari oppure andare in palestra dopo il lavoro. Una delle cause dei loro continui litigi prima del divorzio era per l’appunto la completa irresponsabilità del marito. Qualsiasi problema era sempre colpa di qualcun altro o di qualche motivo esterno e immaginario, che non dipendeva da lui e su cui non poteva esercitare il minimo controllo. Beh, per fortuna ora toccava a Klara, la sua convivente attuale, doverci lottare. «Che pensate di fare questo week-end?» gli chiese tanto per dire qualcosa. «Devo farli venire con dei vestiti pesanti?»

«Sì, penso di portarli con me a cavallo, per cui sarebbe bene che avessero con sé degli abiti adatti», rispose Hannes.

Klara era un’appassionata di equitazione e aveva trascinato anche Hannes in quello sport. Ciò costituiva per Soley e Gylfi una vera e propria spina nel fianco, dato che avevano entrambi ereditato la stessa paura di vivere della madre, una sorta di apprensione innata che, nel salto generazionale, si era addirittura ingigantita. Thora aveva il terrore di guidare sulle strade ghiacciate, di fare scalate in montagna, di prendere l’ascensore, di mangiare cibi crudi e di tutto ciò che secondo lei poteva finire in un disastro. Per motivi incomprensibili, invece, non aveva affatto paura di prendere l’aereo. Lei capiva pertanto il terrore che entrambi i suoi figli provavano solamente al pensiero di dover salire in sella, convinti che ogni cavalcata costituisse la loro ultima ora di vita. Hannes non riusciva ad accettare che quella fosse la loro natura e cercava continuamente di convincere i figli che prima o poi avrebbero preso gusto all’equitazione. «Ma sei sicuro che lo vogliano?» chiese Thora pur sapendo che Hannes non avrebbe certo cambiato idee e progetti. «Gylfi è un po’ giù di morale negli ultimi tempi e non sono sicura che una galoppata sia quello di cui ha bisogno proprio ora.»

«Non dire sciocchezze», rispose infatti Hannes con presunzione. «Anzi, ti dirò che sta facendo grandi progressi a cavallo.»

«Come ti pare. Cerca però di parlargli un po’. Temo che abbia dei problemi di donne, e tu di queste cose ne sai certamente più di me.»

«Problemi di donne? Che ne so io di problemi simili?» Hannes era montato sui nervi e la cosa fece sorridere Thora.

«Voglio dire, spetta a te fargli un discorsetto da padre a figlio…» Il sorriso di Thora si fece ancora più grande.

«Stai scherzando», disse Hannes speranzoso.

«No, affatto», gli rispose decisa. «Conto molto sul tuo intervento. Poi toccherà a me fare lo stesso con nostra figlia, quando cominceranno i suoi guai con i ragazzi. Potresti, per esempio, prendere da parte Gylfi durante la cavalcata e parlargli in tutta calma, senza agitarti.»

Con quell’argomento era certa di aver diminuito drasticamente le probabilità di un fine settimana a cavallo. Conclusa la telefonata, tentò di sprofondarsi di nuovo nell’irrealtà della televisione. Ma la cosa non le riuscì, poiché il telefono squillò ancora.

«Scusa se ti chiamo così tardi, ma mi è venuto in mente che forse pensavi a me», disse Matthew, impassibile, dopo i saluti di rito. «Così ho deciso di concederti di sentirmi.»

Thora ebbe un sussulto. Non sapeva se Matthew fosse uscito di testa, avesse bevuto oppure stesse scherzando. «Non la chiamerei proprio un’ossessione la mia, ma comunque…» Preso il telecomando, abbassò il volume per non fargli sentire i programmi scellerati che stava guardando. «Sai, stavo leggendo.»

«Che cosa leggi di bello?» le chiese Matthew di rimando.

«Guerra e pace, Dostoevskij», mentì Thora.

«Interessante», commentò Matthew. «Assomiglia al Guerra e pace di Tolstoj?»