«L’inglese lo parlo eccome», fu la sua risposta, pronunciata ancora in tono sommesso.
«Perfetto», disse Thora. «Se però non capissi qualcosa di quello che diciamo o ti trovassi in difficoltà a formulare la risposta in inglese diccelo, così ripassiamo semplicemente all’islandese.»
Thora si voltò verso Matthew per riferirgli che la conversazione poteva proseguire in inglese. Matthew non se lo fece dire due volte, si chinò in avanti e cominciò perentorio: «Hugi, per prima cosa raddrizza la schiena e guardaci dritto in volto. Piantala con quell’aria da gatta morta e prendi un contegno civile, almeno per quel poco che stiamo qui con te».
Thora ebbe un sussulto. Che razza di discorso machista era quello? Non si sarebbe stupita se il ragazzo fosse scoppiato a piangere o se ne fosse andato in cella, lasciandoli lì come due stupidi, anche perché nessuno lo costringeva a parlare con loro. Ma mentre stava per intervenire Matthew riprese a parlare. «Ti trovi in un brutto guaio, non c’è bisogno che te lo rammenti. Davanti a te hai la tua unica speranza di uscirne, per cui ti conviene mettercela tutta per aiutarci e rispondere con sincerità alle nostre domande. Nelle tue condizioni attuali è normale sprofondare nell’autocommiserazione, ma al momento ti conviene comportarti da uomo e non da bambino. Fa’ come ti ho detto, raddrizza la schiena, guardami in faccia e rispondi scrupolosamente a ciò che ti chiediamo. Ti sentirai meglio anche solo a riprendere un aspetto umano. Dài, provaci.»
Thora seguì con stupore Hugi compiere esattamente i gesti ordinatigli da Matthew. Si tirò su da quella posa moscia che aveva assunto in precedenza e fece il possibile per ricomporsi. Il suo aspetto da ragazzino rimase, ma la metamorfosi fu quasi completa. Quando riprese la parola, la sua voce era diventata più ampia e matura. «Faccio fatica a mantenere l’attenzione. Mi hanno dato dei calmanti che mi hanno rintronato.» Thora lo guardò bene negli occhi, velati e con le palpebre cascanti. «Comunque cercherò di rispondervi.»
«Come vi incontraste, tu e Harald?» chiese Thora.
«Lo conobbi in una discoteca del centro. Ci parlai per un po’ e mi sembrò subito un tipo simpaticissimo. Di lì a poco lo presentai anche a Halldor.»
«Chi sarebbe questo Halldor?» riprese Thora.
«Halldor Kristinsson. Uno studente di Medicina», rispose Hugi con un tono di fierezza. «Siamo amici da una vita. Da piccoli eravamo vicini di casa, a Grafarvogur. Lui sì che è uno intelligente, per niente il tipo del professore. Voglio dire, uno sempre disposto a divertirsi con noi.»
Thora prese nota. Hugi stava parlando del ragazzo che non era potuto andare alla festa la sera in cui Harald venne ucciso, quello che invece aveva aspettato i suoi amici al bar. «Eravate molto amici, tu e Harald?»
«Sì, certo. Ma non così intimi come Harald e Halldor. Harald veniva qualche volta da me per comprare…» Hugi si fermò di colpo a metà frase e assunse un aspetto turbato.
«Non gliene importa niente a nessuno del tuo ridicolo spaccio di droga, per come stanno le cose al momento. Vai pure avanti», intervenne Matthew brusco.
Il pomo di Adamo di Hugi andava su e giù mentre lui decideva come proseguire. «D’accordo. Ogni tanto mi diceva che ero il suo migliore amico; penso però che lo dicesse solo per scherzare, quando doveva comprare della roba da me. Comunque era uno tosto, completamente diverso da tutti quelli che ho conosciuto.»
«In che senso?» domandò Thora.
«Per prima cosa aveva le tasche piene di soldi e stava sempre a offrirci da bere o altro. Poi il suo appartamento era una cosa mai vista, e la sua auto…» Prima di proseguire, ci pensò un po’ su. «Ma non era solamente questo, anzi. Era molto, molto più fico di tutti quelli che ho incontrato. Non aveva paura di niente, inventava sempre qualche nuova pazzia e riusciva non so come a trascinarci tutti con sé. E poi quella roba che si era fatto impiantare su tutto il corpo… nessuno osava imitarlo. Nemmeno Halldor, che ne aveva una voglia matta, ma aveva paura di rovinarsi la carriera. Figuratevi che si pentiva persino di un piccolo tatuaggio sul braccio. Mentre invece ad Harald non importava nulla del futuro, niente di niente.»
«Anche perché, come abbiamo visto, di futuro non gliene rimaneva poi così tanto», intervenne Matthew. «Che cosa facevate insieme, di cosa parlavate?»
«Non mi ricordo niente di preciso. Le solite cose.»
«Ti ha messo qualche volta al corrente delle sue ricerche sulle persecuzioni alle streghe?» chiese Thora speranzosa.
«Streghe?» Hugi sbuffò. «All’inizio non parlavano d’altro. Anzi, quando cominciai a frequentare il suo gruppo, mi invitò a far parte del loro circolo di magia.»
Matthew lo interruppe. «Circolo di magia? Di che stai parlando?»
«Malleus qualcosa. Doveva essere una società di dilettanti di pratiche magiche, me l’aveva presentata come una roba filosofica…» Hugi cercò di evitare lo sguardo di Thora, arrossì un poco e si rivolse a Matthew. «Invece era tutta un’altra cosa. Non pensate che fossimo come Harry Potter, anzi. La nostra setta era imperniata su quattro elementi: sesso, stregoneria, droga e ancora sesso.» Sorrise. «Per questo mi piaceva partecipare. A me della storia, della filosofia o della magia nera non interessava proprio un fico secco, né delle rune o delle formule magiche che recitavano. Io volevo solamente divertirmi. Le ragazze erano carine.» Hugi perse per un attimo la concentrazione, probabilmente per richiamare alla memoria dolci momenti trascorsi con quelle affascinanti creature. «In ogni caso, alcune delle storie che raccontavano erano forti. Mi ricordo quella di una donna incinta che era stata condannata al rogo, e che partorì avvolta dalle fiamme. Dei monaci salvarono il neonato dalla pira, ma poi decisero di ributtarcelo perché poteva essere contaminato dall’indole stregonesca della madre. Harald giurava che era la verità.»
Thora fece una smorfia e riportò Hugi al presente. «Chi faceva parte di questa setta segreta? Chi erano le ragazze caline?»
«Harald era la nostra guida spirituale; poi veniva Halldor, una specie di braccio destro del capo; io; Briet, studentessa universitaria di Storia, penso l’unica che ne faceva parte per interesse reale; Brian, anche lui studente di Storia; Andri, che studiava Chimica; e Marta Mist, che era tutta presa da queste nuove teorie femministe. Lei sì che è una spina nel fianco, insopportabile, sempre a parlare di donne qui, donne là, e di come siano da sempre oppresse, discriminate e bla bla bla. Con i suoi discorsi non faceva altro che deprimerci e rovinarci tutto il divertimento. Harald la prendeva spesso in giro, la chiamava Nebel, il che la faceva innervosire parecchio. Significa ‘nebbia’ in tedesco. Come Mist in islandese, capito il gioco di parole?» Thora annuì, mentre Matthew rimase fermo come una statua di sale. «Questo era il nucleo del gruppo, anche se ogni tanto entravano dei nuovi adepti, che però non duravano molto come noi. Comunque non seguivo bene quello che facevano, come ho detto non mi interessava per niente la magia, ma solo il contorno.»
«Tu dici che Halldor era il suo braccio destro. In che senso?» chiese Thora.
«Loro due stavano sempre insieme a lavorare su qualcosa. Credo che Halldor lo aiutasse con delle traduzioni o qualcosa di simile. Era sottinteso che nel momento in cui Harald fosse tornato in patria, il suo braccio destro avrebbe preso il suo posto, il che lo rendeva molto fiero. Halldor era come stregato da Harald.»
«Halldor è omosessuale?» chiese Matthew.
«No, sicuramente no. Ma stravedeva per lui, non so se mi spiego. Halldor proviene da una famiglia povera, come me d’altronde. Harald lo riempiva di denaro, di regali costosi e di elogi e Halldor in cambio lo adorava. Si vedeva bene che ad Harald la cosa era assai gradita. Ma con Halldor non era sempre così buono e caro. C’erano delle volte in cui lo umiliava volutamente davanti a noi. In ogni modo, poi pensava a farsi perdonare in modo che Halldor non se la prendesse troppo. Era un rapporto alquanto strano.»