«Come ti faceva sentire il fatto che il tuo migliore amico si fosse morbosamente legato al nuovo arrivato? Non ti sei mai ingelosito?» chiese Thora.
Hugi sorrise. «No, per niente. Eravamo sempre buoni amici. Harald sarebbe rimasto qui in Islanda solamente per un breve periodo e sapevo che, partito lui, le cose sarebbero tornate come prima. Anzi, ammetto che mi faceva piacere vedere Halldor nella parte dell’ammiratore. Fino ad allora lui era stata la persona che io ammiravo di più, cosicché ritrovarlo ora nei miei stessi panni, per così dire, era una gradita novità. Non che Halldor mi trattasse come Harald trattava lui, né dal punto di vista della generosità, né da quello della cattiveria.» Il volto di Hugi si scurì all’improvviso. «Non l’ho ammazzato per riconquistarmi il mio amico. Non era una faccenda del genere.»
«No, ci credo», lo rassicurò Matthew. «Ma dimmi piuttosto una cosa. Se non l’hai ucciso tu, chi l’avrebbe fatto? Non puoi non avere dei sospetti. Certo non è stato né un suicidio né un incidente.»
Lo sguardo di Hugi cercò di nuovo il pavimento. «Non ne ho idea. Se sapessi qualcosa l’avrei già detto. Non mi piace stare rinchiuso qui dentro.»
«Pensi che lo abbia ucciso il tuo amico del cuore?» domandò Thora. «Lo stai proteggendo?»
Hugi fece di no con il capo. «Halldor non sarebbe capace di ammazzare una mosca. Non se ne parla neppure. Poi ve l’ho detto che idolatrava Harald.»
«Sì, ma ci hai anche detto che spesso Harald si comportava malignamente nei suoi confronti, umiliandolo persino di fronte a tutti gli altri. Chissà, forse gli è saltata la mosca al naso e non si è più potuto controllare. Cose del genere capitano», insisté Thora.
Hugi risollevò lo sguardo, più caparbio di quanto lo fosse stato fino ad allora. «No. Halldor non è uno di quelli. Sta studiando per diventare medico. Lui vuole aiutare la gente a vivere, non a morire.»
«Hugi mio, mi dispiace darti questa delusione, ma ti posso garantire che anche i medici hanno fatto morire la gente nel corso dei secoli. Tutte le professioni hanno la loro mela bacata», intervenne Matthew con sarcasmo. «Ma se non è stato Halldor, chi allora?»
«Forse Marta Mist», balbettò Hugi senza convinzione. Era evidente che la ragazza non era tra le sue predilette. «Forse Harald l’aveva chiamata Nebel una volta di troppo.»
«Marta Mist, sì», disse Matthew. «Sarebbe un’ipotesi ineccepibile, se la ragazza non avesse un alibi di ferro. Come tutti gli altri della setta magica. Eccetto Halldor, il cui alibi è il più debole. Non è da escludere che sia potuto uscire dal bar e rientrarvi dopo aver ucciso Harald, senza che nessuno se ne accorgesse.»
«E ritrovare lo stesso posto di prima? Alla Kaffibrennslan il sabato sera? Non penso proprio!» rispose Hugi con altrettanto sarcasmo.
«Però a te non viene in mente nessun altro al momento…» continuò Thora.
Hugi riempì d’aria le guance e sbuffò lentamente. «Forse qualcuno dell’università. Non lo so. O qualcuno dalla Germania», disse evitando di guardare in viso Matthew, casomai avesse offeso il suo amor patrio. «So che Harald stava festeggiando qualcosa quella sera. Me l’aveva detto lui stesso e per questo voleva acquistare della roba da me.»
«In che senso?» riprese Matthew stizzito. «Cerca di essere un po’ meno generico. Ripeti esattamente le sue parole.»
Hugi si incaponì a sua volta. «Esattamente? Non me lo ricordo affatto per filo e per segno, ma so che si riferiva a una qualche cosa che aveva finalmente ritrovato. Gridava in tedesco e saltava dalla gioia. Poi mi abbracciò, stringendomi talmente forte da farmi male. Intanto mi chiedeva di rifornirlo di pillole, perché era al settimo cielo e gli andava di darsi alle follie quella notte.»
«Fu allora che ve ne andaste dal party?» domandò Thora. «Dopo che ti strinse e ti chiese le pillole?»
«Sì, subito dopo. Io nel frattempo ero uscito di testa, prima avevo bevuto come una spugna e poi assunto dell’amfetamina per cercare di ritirarmi su. Troppa, per la verità. Così prendemmo un taxi per casa mia, ma ricordo che non trovammo nessuna pillola. Io ormai ero completamente partito e non avrei trovato neppure il latte nel frigo. Harald si arrabbiò tantissimo, si mise a urlare che aveva fatto un viaggio a vuoto della malora. Poi ricordo solo che crollai sul divano, con la stanza che mi girava tutta intorno.»
Thora lo interruppe. «Hai detto di non avergli fornito l’ecstasy?»
«No, appunto, non ho trovato niente», ribadì Hugi. «Ero bollito, come ho già detto.»
Thora rivolse uno sguardo a Matthew, ma non osò dire niente. Nella documentazione dell’autopsia era risultato che nel sangue di Harald c’era un’alta concentrazione di ecstasy, cosicché in qualche modo e da qualche parte se l’era dovuta procurare. «Può essere che ne avesse già presa qualcuna quel giorno, prima del party? Oppure che l’abbia trovata a casa tua dopo che tu perdesti conoscenza?»
«Al party era ancora pulito, ne sono sicuro. Non aveva nessun sintomo, credete a un esperto in materia. È anche escluso che ne abbia trovata un po’ a casa mia perché è stata invece la polizia a scovarla nascosta nel mio scantinato, durante la perquisizione. Ce l’avevo nascosta io stesso e avevo la chiave in tasca. Harald non può essere andato a cercarla là perché non poteva affatto sapere dove la tenevo. Forse è tornato a casa sua per rifornirsi. So che ne teneva un po’ di scorta, ma diceva che non era un granché. Perché mi fate tutte queste domande su un particolare così insignificante?»
«Come fai a essere così sicuro che non ti abbia infilato la mano nella tasca dei pantaloni per prendere la chiave? Forse non te lo ricordi, ma potresti anche averglielo detto tu della chiave o della cantina», disse Matthew e aggiunse: «Cerca di rinfrescarti la memoria. Tu giacevi sul divano e la stanza ti girava tutt’intorno. E poi?»
Hugi fece una smorfia, tentando di farsi venire in mente qualcosa. Improvvisamente spalancò gli occhi e li fissò meravigliato. «Che scemo! Certo che mi ricordo. Non ero stato io a dire qualcosa a lui, ma il contrario. Si era chinato sul mio orecchio e mi aveva sussurrato una frase. Mi ricordo che volevo rispondergli, dirgli di aspettarmi, ma non ci riuscii.»
«Che cosa? Cosa ti disse?» incalzò Matthew, infervorato dalla curiosità.
Hugi li guardò titubante. «Probabilmente è una fesseria ma mi pare di ricordare che le sue parole suonassero così: ‘Dormi bene, bambino mio. Festeggeremo un’altra volta. Sono venuto in Islanda alla ricerca dell’inferno e indovina un po’? L’ho trovato!’»
14
«Non fare il cretino.» Marta Mist socchiuse le labbra e lasciò uscire una lunga soffiata di fumo. Fece cadere la cenere dalla sigaretta mezza fumata, poi la spense; per il momento bastava. «Peggiorerai solamente la situazione, e non ti mettere in testa di fare un piacere a qualcuno.» I suoi occhi verdi e a mandorla erano colmi di sfida quando si fissarono sul giovane seduto, o meglio accucciato, sulla sedia dall’altra parte del tavolino. Lui contraccambiò l’occhiata con una altrettanto ostile, ma non disse niente. Marta Mist si raddrizzò e si fece scorrere le dita sottili nei capelli rossi e ondulati. «È inutile che fai quella faccia. È colpa tua se siamo tutti coinvolti in questo casino, per cui non sognarti nemmeno di diventare tutt’a un tratto un cittadino modello e pieno di scrupoli.» Per farsi forza guardò l’amica che le sedeva accanto. Lei si limitò ad annuire. Aveva i capelli biondi tagliati corti e un aspetto un po’ androgino, comunque era carina. Vista da dietro pareva più un bambino, ma di fronte rivelava un seno procace e grandi occhi molto femminili. Marta Mist invece era di statura alta e con un carattere aggressivo. «Che razza di discorsi da stupido fai, mi viene da vomitare. Abbandonare il duello!» La ragazza si riappoggiò allo schienale della sedia, con un’espressione di disprezzo.