Thora cercò di non far trapelare il suo sconcerto. Il particolare del sangue sui vestiti di Hugi l’aveva presa alla sprovvista. In nessuna delle cartelle del dossier investigativo e nemmeno nelle deposizioni dei testimoni e nelle altre documentazioni in suo possesso se ne faceva cenno. Si appigliò dunque all’ultima affermazione dell’ispettore per prendere tempo. «Non vi sembra un particolare preoccupante il fatto che ancora non abbia confessato il delitto?»
Il poliziotto la guardò con occhi sìnceri. «No, assolutamente. E sa perché?» Dal momento che Thora non pareva intenzionata a rispondere, proseguì: «Perché non se lo ricorda. Lui stesso si aggrappa alla tenue speranza di non aver commesso il delitto. Perché mai dovrebbe confessare un crimine che non si ricorda nemmeno di aver perpetrato, tenendo soprattutto conto delle condizioni in cui è stato rinvenuto il cadavere? Non siete d’accordo?»
«Come si spiega il trasferimento del corpo fino all’università?» intervenne Matthew. «E come ha fatto un piccolo spacciatore ad accedere così facilmente alla sede centrale? Era un fine settimana e sicuramente era tutto chiuso a chiave.»
«Ha rubato la chiave ad Harald. Molto semplice. Abbiamo trovato il suo portachiavi sul cadavere, e nel mazzo c’era quella che disattiva l’allarme. E sul pannello di controllo abbiamo potuto vedere che quella chiave era stata usata poco prima del delitto.»
Matthew si schiarì la gola. «Che intende dire con poco prima del delitto? I tempi constatati in questo caso non sono certo precisi.»
«No, è vero, ma non cambia niente», rispose l’ispettore più perentoriamente di prima.
Matthew proseguì, per niente intenzionato ad arrendersi di fronte a quell’ostacolo. «Supponiamo allora che Hugi abbia sottratto il mazzo di chiavi alla vittima e trasportato il cadavere dalla sua abitazione, che, lo ammetto, si trova là nelle vicinanze, fino alla sede universitaria. Come pensate che sia avvenuto il trasporto? Credete che si sia limitato a chiamare un taxi?»
L’ispettore sorrise. «Il corpo l’ha trasportato con la sua bicicletta, che abbiamo rinvenuto proprio fuori l’Istituto Arni Magnusson, con addirittura il manubrio sporco del sangue di Harald come poi hanno dimostrato gli esami di laboratorio. Per fortuna la bici era stata gettata sotto una pensilina, il che ha evitato che venisse ricoperta dalla neve.»
Matthew non obiettò e lasciò che Thora riprendesse la parola. «Come fate a sapere che la bicicletta appartiene a Hugi?» e aggiunse immediatamente: «E se anche lo fosse, come potete dimostrare che sia stata abbandonata lì proprio quella notte?»
L’ispettore ora sorrise ancor più apertamente. «La bicicletta era stata gettata davanti alla porta del deposito dei cassonetti dell’immondizia. I netturbini avevano svuotato i cassonetti il venerdì precedente e tutti quanti erano d’accordo di non aver visto nessuna bicicletta in quel frangente. Hugi ha poi riconosciuto la bici di persona e ha ammesso che era rimasta chiusa nel deposito delle biciclette del suo palazzo per tutta la giornata di sabato. Abbiamo anche la testimonianza di un’inquilina del condominio, che ci ha confermato che la bici si trovava al suo posto quando lei era scesa in cantina, verso l’ora di cena, per andare a prendere la sua carrozzina e uscire a passeggio con il bambino.»
«Come diavolo fa un testimone a ricordarsi dove si trovava una bicicletta e dove no? Io ho abitato in un condominio per anni e non penso che avrei mai potuto fornire una testimonianza del genere», obiettò Thora.
«La bicicletta di Hugi si notava molto e veniva usata in ogni stagione. Dato che il ragazzo non aveva la patente, non aveva altre alternative. Però non era certo la persona più riguardosa nei confronti degli altri inquilini, e così anche quel sabato aveva messo la sua bici proprio davanti alla carrozzina. La teste si ricorda appunto di aver dovuto spostarla per poter far uscire la sua carrozzina.»
Matthew si rischiarò di nuovo la gola. «Ma se Hugi ha rubato una chiave e se la chiave era quella del sistema di allarme, presumo comunque che all’allarme fosse abbinato un codice segreto da digitare, no? Come faceva Hugi a conoscerlo?»
«Questa è appunto una delle domande che ci siamo posti all’inizio della nostra indagine», rispose immediatamente l’ispettore. «Dalle deposizioni degli amici di Harald è venuto alla luce che Harald l’aveva detto a tutti loro!»
Thora lo guardò incredula. «E noi dovremmo crederci? Perché diamine lo avrebbe fatto?»
«Da quello che mi hanno riferito, Harald riteneva il codice a lui riservato una coincidenza beffarda. Pensate un po’, gli avevano assegnato lo 0666, un numero perfetto, vista la sua passione morbosa per il satanismo.»
«Per la verità si trattava di magia nera, non di satanismo», precisò Matthew, il quale però, cambiando subito argomento, volle prevenire una lunga discussione sulla natura delle arti magiche. «Una cosa invece ci potrebbe dire. Ci siamo imbattuti in una e-mail che Harald aveva inviato a un certo ‘Mal’. Avete poi saputo chi era?»
L’ispettore li guardò perplesso. «Devo confessare che non mi ricordo affatto di questo particolare. Abbiamo dovuto vagliare così tanti documenti. Se volete posso dare un’occhiata nel dossier e farvi sapere.»
Thora gli descrisse a grandi linee il contenuto della lettera, pur sapendo che non li avrebbe potuti aiutare molto al riguardo. Helgason avrebbe dovuto ricordarsi della corrispondenza in questione, se le indagini avevano portato a qualcosa. Invece lui minimizzò la questione: «Forse si riferiva semplicemente a qualche ragazza che aveva adocchiato, o qualcos’altro del genere. Ma per passare ad altro, avete per caso intenzione di continuare il vostro lavoro a lungo?»
«Tanto quanto lo riteniamo necessario», rispose Matthew con espressione impenetrabile. «Ancora non sono convinto che il detenuto sia il vero colpevole, nonostante tutte le nuove informazioni che ci ha riferito. Ma naturalmente potrei sbagliarmi.»
Markus sospirò. «Vi saremmo grati se ci teneste al corrente, per favore, dei vostri movimenti, dato che le indagini sono ancora aperte. Non vorremmo che si creassero dei conflitti di interesse tra le parti, e preferiremmo che si trattasse invece di una collaborazione.»