«Ma chi era in possesso di lettere di quel tipo? Documenti del genere non si trovano certo nei mercatini d’antiquariato, e non sono beni che la gente serbi nel cassetto per i tempi difficili.»
Matthew non si fece scomporre da quella osservazione. «Non ne ho la più pallida idea. Si tratta comunque di documenti di cui nessuno conosce l’esistenza e di cui non restano accenni di nessun tipo. Non sono schedati da nessuna parte e potrebbero addirittura essere falsi. Creati alla perfezione, in quel caso. Il nonno di Harald non volle mai rivelare i dettagli relativi alla loro compravendita. Le iniziali sulla cartella sono le sue — Niklas Harald Guntlieb — e non rimandano a nessun altro precedente proprietario. Anzi, sospetto che a un certo punto della loro esistenza fossero stati rubati da una chiesa imprecisata.» Matthew percorreva ora la via di Snorrabraut e mise la freccia per segnalare il cambio di corsia. I due intendevano recarsi in via Bergstadastraeti per rimettere il computer al suo posto nell’appartamento di Harald, come avevano convenuto in precedenza. Matthew doveva perciò svoltare a destra, ma nessuna delle auto in arrivo pareva disposta a fargli strada, quasi stessero congiurando per costringerlo a rimanere nella sua corsia e imboccare il viadotto che portava a Fossvogur. «Che avete nel cervello, imbecilli?» mormorò Matthew, inferocito con gli altri automobilisti.
«Cambia corsia senza pensarci», lo spronò Thora, abituata al comportamento dei suoi compatrioti. «Vogliono troppo bene alla loro auto per rischiare di rovinarla per una stupida testardaggine.»
Matthew seguì il consiglio e se la cavò con una serie di clacsonate dell’auto a cui aveva appena tagliato la strada. «Non mi abituerò mai a guidare da queste parti!» disse infine, sconcertato.
Thora gli sorrise sovrappensiero. «Ma tornando al contenuto di quelle lettere: che cosa accadde alla povera donna?»
«Venne sottoposta alle più atroci torture», le rispose laconicamente Matthew.
«Non sapevo che si potesse torturare diversamente», lo punzecchiò Thora, che sperava di ricevere descrizioni più dettagliate. «Voglio dire, a che tipo di sevizie venne sottoposta?»
«L’autore della lettera parla di arti superiori e inferiori maciullati da uno stivale di ferro. Entrambe le orecchie le vennero mozzate. E indubbiamente le fecero anche dell’altro che, al confronto, non valeva nemmeno la pena di nominare, mutilazioni varie e cose del genere.» Matthew distolse brevemente lo sguardo dalla strada per posarlo su Thora. «Mi ricordo ora che nell’epilogo di una delle ultime lettere c’era una frase che suonava più o meno così: ‘Se cercate il male, non lo rinvenirete in ciò che resta della mia amata, giovane e innocente sposa. Esso si trova in colui che la inquisisce’.»
«Mio dio, come te ne ricordi bene», disse Thora con un brivido di terrore che le percorreva la schiena.
«Non si può scordare facilmente il contenuto di quei documenti», rispose Matthew in tono secco e distaccato. «Comunque le torture non sono l’unica cosa lì descritta. Si elencano anche tutti i tentativi per farla liberare, a partire dai cavilli legali per finire alle pure e semplici minacce di morte. Il marito era disperato, e si capiva che amava sua moglie fino all’ossessione, dato che era considerata una delle più belle fanciulle della regione, a credere alle sue parole. Inoltre il loro matrimonio era stato consumato solo poco prima dell’arresto.»
«Ma non ottenne di incontrarla in carcere? Non riuscì mai a mettersi in contatto con lei? Le lettere coprono solo il periodo della prigionia, mi sembra di capire.»
«Sì e no», fu la risposta di Matthew. «No, non ottenne mai di vederla, ma sì, una delle guardie che la custodivano, mossa a compassione, iniziò a passarle i messaggi del marito, messaggi che a poco a poco cominciarono a divenire sempre più disperati, come traspare dalle lettere. Riguardo all’ultima questione, tutte le missive tranne una vennero scritte durante il periodo di detenzione della povera donna, quando il marito tentava di farla liberare. Eppure è l’ultima lettera, scritta dopo la sua scarcerazione, che più fa riflettere sulla frivolezza dei nostri piccoli e insignificanti problemi di ogni giorno.»
«In che senso?» chiese Thora, che in realtà non era sicura di voler sentire la risposta.
«Non devi dimenticare che a quei tempi la medicina non aveva niente a che vedere con la scienza che tutti conosciamo oggi. Non puoi immaginarti le pene che i malati e i feriti dovevano subire per mano di tanti ciarlatani travestiti da dottori. E poi c’era la sofferenza psicologica di quella giovane donna, che era stata adorata da tutti per la sua grazia e la sua avvenenza. Quando venne liberata, una gamba e tutte le dita erano ormai ridotti in briciole. Niente più orecchie. Il corpo ricoperto di cicatrici da pugnale, perché ogni centimetro di pelle veniva bucato per cercare la zona dalla quale non uscisse il sangue — il marchio del demonio — e altro che viene solamente sottinteso senza essere descritto nei minimi particolari. Come reagiresti tu a un simile trattamento?» Matthew sbirciò di nuovo la sua collega.
«Avevano già avuto dei figli?» domandò Thora toccandosi istintivamente un lobo. In effetti non si era mai posta il problema di quanto le orecchie fossero indispensabili per l’aspetto di una persona.
«No», rispose Matthew. «Come ti ho detto, erano appena sposati.»
«Allora non può che essersi suicidata», affermò Thora perentoria. «Un simile dolore, il ricordo e le conseguenze delle torture… si possono sopportare solamente per il bene dei propri figli, ma non per altro.»
«Esatto! I due abitavano in un podere di campagna dove scorreva un ruscello. Una sera la donna arrancò zoppicando fin sulla sponda del fiumiciattolo e vi si gettò dentro. L’acqua non era molto profonda, ma lei indossava i pesanti abiti di quel periodo e, con una gamba pressoché paralizzata e le mani distrutte, non ci mise molto ad affogare.»
«Che cosa fece allora il marito? C’è scritto sulla lettera?» chiese Thora cercando di scacciare il pensiero della fine ingloriosa di quella misera creatura.
«Sì, in quell’ultima lettera il marito allude al fatto che aveva sottratto all’inquisitore Kramer una cosa più preziosa della sua stessa vita, e che l’aveva spedita sulla lunga via dell’inferno», rispose Matthew. «Non si sa di preciso a che tipo di vendetta si riferisse, né di quale inferno stesse parlando. Le fonti contemporanee non dicono niente al proposito. Alla fine comunque augura al vescovo di riposare in pace, ricordandogli che da persona di Chiesa a suo tempo non era intervenuto come doveva per risolvere il caso, come gli competeva da servo del Dio suo padrone. Citando una frase del Vecchio Testamento, si congeda poi con parole non certo rassicuranti; come ben sai, nella Bibbia non si parla certo di perdono! Non so come spiegarlo, ma nelle parole di congedo si legge tra le righe una sorta di minaccia, e in effetti il vescovo morì di lì a pochi anni. La teoria più probabile è che il religioso stesso si fosse sbarazzato di quella scottante corrispondenza per non rischiare che venisse conservata tra i documenti ufficiali del clero.»
«Il che mi sembra una spiegazione poco convincente», ribatté Thora. «Se si fosse voluto veramente sbarazzare di quelle lettere, le avrebbe potute bruciare, non ti pare? Non mancava certo il fuoco a quei tempi, mi sembra di capire.»
Matthew si concentrò nella guida per trovare un parcheggio vicino all’abitazione di Harald, dato che quelli davanti alla casa erano tutti occupati. «Non lo so, forse aveva sognato san Pietro o Dio in persona, e temeva di attirare la loro attenzione bruciandole. Come ben sai, il fumo sale al cielo…»
«Allora secondo te le lettere sono vere?».
«No, non ne sono sicuro. Ci sono dei particolari che non si spiegano razionalmente.»