Выбрать главу

Soley, che aveva seguito sua madre entrando, si era già tolta le scarpe e il piumino e aveva riposto tutto ordinatamente al suo posto. Guardando i ragazzi, si mise le mani sui fianchi e chiese loro con fare da matrona: «Avete fatto i salti sul letto? Non si può, il materasso così si rompe.»

Suo fratello arrossì violentemente e sbraitò: «Perché proprio io devo avere una famiglia così ritardata? Siete tutte e due insopportabili». E andò a chiudersi nella sua camera, sbattendo forte la porta. I suoi amici, congelati un attimo in quell’imbarazzante situazione, terminarono di vestirsi il più in fretta possibile.

«Ciao», disse Patti uscendo per ultimo. Prima che la porta si chiudesse ebbe un ripensamento e, tornato sui suoi passi, fece capolino. «Voi non siete ritardate come la mia famiglia», comunicò. «Gylfi questi giorni ha un diavolo per capello.»

Thora gli rivolse un sorriso e lo ringraziò di cuore. Perlomeno lui aveva tentato di mostrare un pizzico di cortesia, anche se la scelta delle parole non era stata felice. «Allora», propose poi a sua figlia, «prepariamo qualcosa da mangiare?» La piccola annuì compostamente e cominciò a trascinare in cucina una sporta della spesa.

Dopo avere cenato tutti e tre insieme (lasagne precotte e riscaldate che Thora aveva appositamente comprato al supermercato e un po’ di pane-naan che aveva preso per sbaglio, credendolo una baguette all’aglio), Soley si mise a giocare da sola, mentre Gylfi sparecchiava. Era evidente che si vergognava della sua sfuriata, ma non se la sentiva di chiedere scusa. Thora fece finta di niente, sperando che fosse lui a prendere l’iniziativa di parlarle dei suoi problemi. Ma evidentemente il ragazzo non era ancora pronto per confidarsi. Ringraziandolo per l’aiuto in cucina, gli diede un bacio esitante sulla guancia e ottenne in risposta un sorrisetto impacciato.

Thora decise allora di approfittare del momento di tranquillità che si era creato in casa per dare un’occhiata ai file che aveva scaricato dal computer di Harald. Andò a prendere il portatile e si accomodò sul divano del soggiorno. Le prime foto che guardò erano quelle della cucina e dell’operazione alla lingua, che erano datate il 17 settembre. Le aprì una dopo l’altra e ingrandì quelle che a prima vista le sembravano più promettenti. Il soggetto principale di tutte era l’intervento chirurgico, ma intorno alla mandibola di Harald ora Thora poteva intravedere altri particolari. Era chiaro che il tutto si era svolto in una casa privata, dato che l’ambiente che compariva ai margini delle foto non somigliava affatto a una sala operatoria o a qualche studio dentistico. Si scorgeva persino un tavolino ricoperto da bicchieri semivuoti o vuoti, lattine di birra e altri rifiuti, assieme a un portacenere strapieno di mozziconi. Inoltre non c’era alcun dubbio che quello non fosse l’appartamento di Harald, dato che era un interno molto più disordinato e di cattivo gusto dell’impeccabile dimora dello studente tedesco.

Su una delle foto si vedeva il torace di chi aveva eseguito o perlomeno assistito all’operazione. La persona in questione indossava una maglietta marrone chiaro con una scritta che Thora non riuscì a leggere, distorta com’era dalle pieghe della stoffa. Le riuscì comunque di leggere il numero 100 e un «… lico…» Le prime due foto erano state scattate prima dell’intervento, mentre la terza mostrava il risultato del bisturi: dalla bocca di Harald sgorgava sangue a fiotti, che era andato a chiazzare di rosso il braccio che compariva in primo piano. Se una ferita alla lingua era come un normale taglio alla testa, doveva aver sanguinato in maniera incontrollabile. Thora si mise a osservare il braccio più meticolosamente e ne ingrandì un’area sulla quale aveva intravisto un tatuaggio. Aveva ragione: sulla pelle si poteva leggere la parola crap. Niente disegni né decorazioni, solamente crap, merda. E questo era tutto quello che si poteva ricavare dalle foto della lingua.

Le immagini «gastronomiche» avevano attratto l’attenzione di Thora perché erano datate mercoledì, tre giorni prima dell’omicidio di Harald, cioè in quel periodo in cui, a detta di Hugi, la vittima aveva preferito rimanere da solo ed evitare gli amici. Thora controllò due foto in maniera particolare, quelle con le mani che stavano preparando l’insalata e tagliando il pane. Persino un orbo avrebbe potuto rendersi conto del fatto che si trattava di due persone diverse. Due mani erano ricoperte di cicatrici formate da tatuaggi che creavano, tra le altre cose, una stella a cinque punte e un omino con un ampio sorriso e delle corna. Dovevano essere quelle di Harald. Le altre due erano invece più piccole, femminili, con dita esili e unghie corte e ben curate. Zoomando, Thora distinse sull’anulare un anellino con un diamante o una pietra preziosa chiara. L’anello aveva un aspetto troppo tradizionale per poter attrarre l’attenzione, ma chissà, forse chiedendolo a Hugi si sarebbe ricordato a chi apparteneva.

Thora venne colta da un’improvvisa inquietudine. C’era qualcosa che la assillava sin da quando era entrata per la prima volta nell’appartamento di Harald: la rivista tedesca Bunte nel bagno. Era ovvio che Harald non era tipo da rotocalchi rosa, e d’altronde la lingua l’avrebbe resa una lettura improbabile per un islandese. Per questo doveva essere arrivato un qualche ospite dalla Germania, una donna. Sulla copertina Tom Cruise e Katie Holmes sorridevano per una futura nascita nella loro famiglia. Un indizio temporale che le sarebbe stato utile per datare l’ipotetica visita dalla Germania, durante la quale Harald si era tenuto alla larga dai suoi amici. Thora compose il numero di cellulare di Matthew, che rispose al terzo squillo.

«Dove sei, ti sto disturbando?» chiese sentendo dei rumori di sottofondo.

«No, no», rispose lui con la bocca palesemente piena. Dopo aver ingoiato il boccone, riprese: «Sono andato a cena fuori. Sto mangiando della carne. Che è successo? Vuoi venire a prenderti il dolce con me?»

«Eh? No, grazie», rispose Thora a malincuore. Le piaceva molto andare a cena fuori, indossare abiti eleganti e brindare in bicchieri che sarebbe poi toccato a qualcun altro lavare. «Domani è un giorno di scuola e devo provvedere a mandare i miei figli a letto a un’ora decente. No, ti ho telefonato solamente per chiederti se avevi il numero della donna delle pulizie di Harald. Ho il sospetto che in casa ci fosse qualcuno pochi giorni prima dell’omicidio, qualcuno che probabilmente vi pernottava. E tutte le indicazioni portano a concludere che si trattasse di una donna tedesca.»

«Sì, dovrei averlo nella memoria del mio cellulare. Vuoi che la chiami io? L’ho già sentita un paio di volte e parla un ottimo inglese. Forse è la cosa più semplice da fare. Lei non ti conosce per niente, ma di me si ricorda di certo perché sono stato io a pagarle l’ultimo conto in sospeso.»

Thora accettò l’aiuto di Matthew, che promise di richiamarla subito. Per sfruttare l’attesa mise il pigiama a sua figlia, e stava lavandole i denti quando lui la richiamò. Thora ancorò il cellulare tra la spalla e la guancia, così poté sia parlare sia continuare a occuparsi dell’igiene dentale della prole.

«Ascolta, la signora mi ha detto che il letto della stanza degli ospiti era stato usato. E che nel bagno c’erano degli oggetti, come un rasoio da donna monouso, che confermerebbero la tua teoria.»

«L’ha fatto sapere alla polizia?» chiese Thora.

«No, pensava che non importasse, dato che Harald non era stato ucciso a casa sua. Inoltre ha confermato un certo andirivieni di ospiti nell’appartamento, spesso più di uno per volta. Quell’ultimo in particolare non le aveva creato gli stessi problemi degli altri, che spesso organizzavano serate scatenate dentro casa.»