Выбрать главу

«Come ben sai, noi siamo in cerca solo della verità. Non ci interessa un bel niente di tutte le idiozie che avete praticato insieme negli ultimi tempi», gli disse per interrompere l’atmosfera impacciata e pesante che si era creata nella stanza. «A grandi linee siamo un po’ tutti d’accordo sul fatto che Hugi sia innocente, o perlomeno accusato di un reato maggiore di quello che potrebbe eventualmente aver commesso, no?»

Halldor evitò il suo sguardo. «Non credo nemmeno io alla sua colpevolezza», disse a bassa voce. «È tutto quanto un malinteso.»

«Se lo vuoi aiutare, la cosa di gran lunga migliore da fare è non nasconderci niente. Ricorda che il tuo amico non può sperare nell’assistenza di nessun altro all’infuori di noi.»

«Ah!» borbottò Halldor in tono vago.

Matthew ritornò e si lasciò cadere sulla poltrona. «Che strano gruppo di amici che ti sei fatto. E quelle due ragazze non avevano certo l’aria di volersi abbracciare, là fuori.»

«Negli ultimi giorni sono sempre stati di cattivo umore.»

«Per l’appunto. Allora, perché non veniamo subito al dunque?»

«Per me è indifferente. Voi chiedete e io cercherò di rispondervi come posso.» Poi prese l’ennesima sigaretta dal tavolo e l’accese. Thora notò che gli tremavano le mani.

«Benissimo, bravo», disse Matthew con tono paterno. «A noi interessano parecchie cose sulle quali ci serve il tuo aiuto. Per primo le ingenti spese di cui Harald si era fatto carico, poi le sue ricerche storiografiche, per le quali godeva della tua assistenza saltuaria. Che cosa ci puoi dire dei soldi spariti?»

«Soldi spariti? Guardate che io non seguivo affatto la sua situazione economica, anche se non ci voleva un genio per capire che Harald aveva denaro da buttare.» Halldor indicò gli oggetti della stanza e riprese a parlare in maniera distratta. «Pochi studenti qui abitano in appartamenti del genere. Nemmeno la sua auto scherzava, e poi lui andava spesso a mangiare fuori. Sfortunatamente, si trattava di uno stile di vita ben lontano da quello che ci potevamo permettere noi.»

«Andava a mangiare fuori da solo?» domandò Thora. «Dato che voi eravate dei poveri studenti…»

La domanda aveva evidentemente colpito nel segno. «Cioè, di solito… Beh, certe volte ci andavo anch’io, ma era lui che offriva.»

«Andava più spesso in tua compagnia che da solo, allora?» Un altro cenno affermativo. «E che cos’altro ti pagava?»

Halldor fu preso da un improvviso interesse per il portacenere, che cominciò a guardare fisso come per leggervi una risposta adatta. «Sì, anche qualcos’altro.»

«Questa non è una risposta», intervenne Thora con tono gentile. «Puoi dircelo senza problemi, non siamo venuti qui per giudicare né te, né Harald.»

Dopo un attimo di silenzio, lui rispose: «Mi pagava tutto quello che volevo, ecco com’era! L’affitto, i libri di testo, i vestiti, i taxi. La droga. Tutto quanto, insomma».

«E come mai lo faceva?» chiese Matthew.

Halldor fece spallucce. «Harald diceva di avere un sacco di soldi e di poterci fare quello che voleva; non era disposto a perdersi qualcosa che aveva voglia di fare solo perché i suoi amici erano al verde. All’inizio la cosa mi faceva star male, ma data la mia precaria situazione finanziaria, alla fine ci presi gusto. Anche perché non c’erano mai problemi di sorta. Io comunque cercavo di ripagare i suoi favori aiutandolo con le traduzioni e cose del genere.»

«Quali altre cose del genere?» insisté Matthew.

«Niente.» Il rossore sulle guance si intensificò. «Niente di sessuale, se è quello che pensate. Né io né Harald siamo… eravamo dell’altra sponda. Le donne ci bastavano e avanzavano.»

Thora e Matthew si guardarono. Le spese che Halldor stava elencando non erano che quisquilie confrontate alla somma scomparsa. «Sai qualcosa dell’investimento che Harald aveva fatto poco prima della sua morte?» chiese Matthew.

Halldor alzò lo sguardo e dall’espressione del suo viso si capiva che stava dicendo la verità. «No, non ne ho idea. Non mi aveva detto nulla. Comunque, la settimana prima dell’omicidio non l’avevo incontrato quasi per niente. Lui era occupato, mentre io dovevo studiare per recuperare il tempo perso all’università.»

«Quindi non hai idea dei suoi traffici e di chi avesse incontrato in quei giorni?» intervenne Thora.

«No, ci parlai un paio di volte al telefono e mi rispose di non essere nello spirito di fare qualcosa con me. Ma non so perché.»

«Quindi non lo vedevi da giorni, quando venne ucciso?»

«No, ve lo sto dicendo, ci avevo solamente parlato per telefono.»

«Ma non ti era sembrata una cosa strana che facesse l’eremita per tutti quei giorni? Oppure era abituato?» chiese di nuovo Matthew.

Halldor ci pensò su. «Non avevo dato importanza alla cosa allora, ma ora che me lo chiedete sì, certo, era un fatto insolito. Perlomeno non era mai successo prima, se mi ricordo bene. Gli chiesi che cosa stesse facendo, ma mi rispose solamente di aver bisogno di restare solo per qualche giorno. Però non è che fosse giù di corda, anzi, il contrario.»

«E tu non eri arrabbiato con lui?» chiese Thora. Era ben strano che lui non si fosse offeso a essere messo da parte così, senza spiegazione alcuna, considerata la frequenza dei loro incontri.

«No, niente del genere. Tra l’università e i turni in più all’ospedale, avevo ben altre gatte da pelare.»

«Tu lavori all’Ospedale Universitario di Fossvogur, non è vero?»

Halldor annuì.

«Ma come fai a lavorare là, studiare Medicina all’università e andare così spesso fuori a divertirti?»

«Non è un lavoro a tempo pieno, anzi, prendo solo dei turni sostitutivi, come vacanze estive, situazioni di emergenza, malattie e altre assenze. Per quanto riguarda gli studi, io sono una persona molto organizzata e mi è sempre riuscito facile studiare, per così dire.»

«Quali sono le tue mansioni all’ospedale?» chiese Matthew.

«Un po’ di tutto. Ufficialmente sono un assistente di sala operatoria, ma in realtà lavoro da tuttofare: disinfetto i ferri dopo gli interventi, metto a posto la sala… Niente di eccezionale.»

Matthew lo fissò negli occhi pensieroso. «Metti a posto anche qualcos’altro? Chiedo per pura e semplice curiosità. Gli ospedali li conosco poco.»

«Questo e quello», rispose Halldor mantenendosi sul vago. «Rifiuti e cose del genere.»

«Ah, capisco. Come si chiama il tuo superiore, o comunque la persona da contattare per conoscere nei dettagli le tue mansioni e cosa facevi la sera del delitto?»

Halldor si strappò qualche pellicina dalla mano sinistra, non sapendo se e cosa rispondere. «Gunnur Helgadottir», borbottò alla fine con fare seccato. «Che sarebbe la capoinfermiera della sala operatoria.»

«Una domanda», intervenne Thora mentre si appuntava il nome. «Chi ha praticato il taglio della lingua di Harald? Sei stato tu, non è vero?»

Halldor la guardò intimorito. «Perché? Che ve ne importa?»

«Ci interessa e basta. Harald conservava le foto dell’operazione nel suo computer, e si capiva benissimo che l’intervento era stato compiuto in una casa privata, probabilmente da qualcuno che lo conosceva. Non c’entra niente con la nostra faccenda, ma l’episodio ci ha incuriosito.»

Halldor li guardò titubante, e secondo Thora si stava chiedendo se una tale operazione non avrebbe richiesto un permesso speciale, o se fosse addirittura illegale. Dopo essersi morso il labbro inferiore per qualche attimo, alla fine riprese la parola: «No. Non l’ho fatto io l’intervento.»

«Potresti mostrarci gli avambracci?» chiese Thora con un sorriso, ricordandosi qualcosa che aveva detto Hugi circa il pentimento di Halldor per il tatuaggio che si era fatto fare su un braccio.